Fabio Fornasari: dal Museo del Novecento di Milano a Patti. Come e perchè.

Fabio Fornasari: dal Museo del Novecento di Milano a Patti. Come e perchè.

Giuseppe Giarrizzo

Fabio Fornasari: dal Museo del Novecento di Milano a Patti. Come e perchè.

giovedì 26 Gennaio 2012 - 17:56

L'artista, esperto di architettura museale, ha accettato l'incarico affidatogli dal comune di Patti per la redazione di un progetto di allestimento e organizzazione di spazi museali al San Francesco e al Palazzo Galvagno. Ecco cosa ci ha confidato.

Fabio Fornasari, nato a Bologna il 6 giugno 1964, è noto principalmente per le sue realizzazioni nell’ambito dell’architettura museale. Ma è anche un artista nel senso più ampio del termine, in grado di spaziare dal design alle architetture virtuali, dalla fotografia alla ricerca in campo artistico. Nel 2010 ha realizzato con Italo Rota, il Museo del Novecento (ex Arengario in Piazza Duomo) a Milano. Suo l’allestimento nel 2006 del Museo dell’Ottocento (GAM) in via Palestro a Milano. Attualmente collabora con il CNR con il quale ha progettato e realizzato installazioni sul racconto della ricerca in diversi contesti scientifici (Festival della Scienza, Light, CERN Ginevra, SISSA Trieste e altri ancora). Alterna la pratica professionale con la didattica presso la NABA – Nuova Accademia di Belle Arti – di Milano. Ha insegnato presso la Facoltà di Sociologia dell’Università di Urbino “Carlo Bo” e l’Accademia di Belle Arti di Bologna. Nel giugno 2011 è stata inaugurata una personale presso il Museo di Arte Sacra a San Giovanni dei Fiorentini. È inoltre autore di numerosi allestimenti e installazioni. Tra queste è in corso la mostra per i 25 anni della PIXAR a Milano.
Recentemente gli è stato affidato dal comune di Patti un incarico per la redazione di un Piano Generale relativo agli allestimenti e all’organizzazione di spazi museali all’interno dell’ex convento di San Francesco e del Palazzo Galvagno e per la redazione di un progetto pilota di “Museo Diffuso” volto alla valorizzazione del patrimonio culturale nel contesto urbano della città di Patti. A lui abbiamo rivolto alcune domande per saperne qualcosa di più.

-ARCHITETTO FORNASARI, DALL’ARENGARIO DI MILANO A PATTI. CHI E CHE COSA L’HA CONDOTTA IN QUESTA PICCOLA RELTA’ PROVINCIALE DEL MESSINESE?
Potrei dire il caso che mi ha fatto conoscere un suo concittadino, Nino Galante, che possiede un “pezzo” della memoria storica di Patti: l’omonimo Caffé che nel tempo è stato crocevia di importanti personalità della cultura della città e d’Italia. Per me è stato come prendere in mano un dispositivo ottico che mi ha messo di fronte a qualcosa che ho capito che aveva molto da raccontare. Partendo da questo luogo, da queste quattro mura mi sono dapprima incuriosito e poi appassionato alla storia di questo territorio, ai suoi personaggi. Forse sono stato contagiato dalla stessa “febbre” che avverto in molte persone: il voler costruire un racconto che per me è diventata una immagine che giorno per giorno si arricchisce di elementi. Questa della quale parlo è l’”immagine” condivisa a Istanbul all’ISEA2011, un convegno internazionale che si occupa dei legami tra arte e scienza.

-DOPO I PROGETTI A CUI HA LAVORATO, COSA L’HA SPINTA AD ACCETTARE L’INCARICO AFFIDATOLE DAL COMUNE DI PATTI?
Come avrà inteso il mio interesse per questa città è iniziato ormai più di un anno fa. Avrà anche capito che il mio interesse non è legato alla costruzione di una mia architettura. Più in generale mi appassiona la definizione di intrecci tra i contenuti; sono alla ricerca di metodi per costruire senso intorno alle “cose”. Che siano opere d’arte, pezzi di città, storie o personaggi non conta. Quello che conta è una mia attitudine: la ricerca continua e applicata. E’ questo che mi ha spinto a fare tante cose apparentemente lontane tra loro e che mi ha fatto accettare senza riserve e con entusiasmo questo incarico.

-QUALI LE SUGGESTIONI CHE QUESTO TERRITORIO LE HA PROVOCATO?
Innanzitutto le dico: siamo abituati a pensare che in una nazione le cose più interessanti siano quelle che accadono nelle grandi metropoli. L’attenzione della stampa ad esempio si sposta nella “provincia” per raccontarci la via di fuga per il week-end o per raccontarci efferati delitti. Ma se esco da questa visione e considero ogni luogo un “mondo” sul quale sbarcare, nel quale fare un viaggio allora comincio a interessarmi ai suoi personaggi e alle storie che li tengono legati. Magari scopro che quel mondo può raccontarmi qualcosa di più di quello che crede di potermi raccontare.

-E QUAL’ È QUESTO “DI PIU’” CHE PATTI LE HA RACCONTATO?
In quanti altri territori in Italia posso trovare almeno tre donne – una Regina, una Santa e una Madonna – che sono il loro riferimento simbolico e spirituale? Liber Rubeus, Arca Magna, l’Archivio alla Villa di Patti Marina: quando le lettere trattengono la memoria di una città. Una memoria che diventa presente attraverso la lettura. Posso dire che non sia suggestivo? Qualcuno sa come si chiama il primo pattese nato il 17 Marzo 1861? Io l’ho letto. Quale altro “mondo” ha una corografia che mi permette di sentirmi protetto da alte montagne che sorgono dal mare – l’arcipelago delle Eolie – e dalla terraferma – i Nebrodi – contemporaneamente? E se non bastasse, a conferma, in quante librerie d’Italia potete trovare il Mundus Subterraneus in anastatica, un testo in latino del gesuita tedesco Athanasius Kircher del 1664-1678?

-IN UN LUOGO DOVE IL CONCETTO DI SVILUPPO È STATO SPESSO CONCEPITO COME UNA CHIMERA, COME PENSA DI FAR FRONTE ALLO SCETTICISMO E ALLE INEVITABILI RESISTENZE A CUI DOVRA’ FAR FRONTE DURANTE QUESTA “AVVENTURA”?
Non ho l’ambizione di cambiare la natura di un luogo o delle persone che lo abitano. Se ho una presunzione è quella di condividere quello sguardo che dicevo prima e che permette di costruire relazioni e intrecci tra i contenuti presenti nel territorio. Uno sguardo che è un metodo di lavoro. Tutte le persone con le loro attitudini hanno un ruolo all’interno di un territorio e spero che più persone abbiano desiderio di avere un ruolo anche in relazione a questo sguardo.

-QUALE PENSA DEBBA ESSERE DUNQUE IL RUOLO DELLA CITTADINANZA PATTESE IN QUESTO PROGETTO?
Un ruolo attivo. Se fino a qui ho appreso qualcosa della città è merito delle cose che mi sono state raccontate, dal confronto con le persone. Il progetto ha bisogno per primo della città e della sua cittadinanza per potersi chiamare tale. Altrimenti resterebbe solo una mia “opinione” sul territorio.

-IL 18 NOVEMBRE SCORSO PROPRIO ALL’EX CONVENTO SAN FRANCESCO LEI HA INCONTRATO I PATTESI PER COMUNICARE LORO LA SUA IDEA DI PAESE, LA SUA VISIONE DEI TERRITORI, IL SUO MODO DI ASCOLTARE IL CUORE DI UNA CITTA’. CHE IMPRESSIONE HA AVUTO DA QUELL’INCONTRO? CREDE INSOMMA CHE I PATTESI SI SIANO DIMOSTRATI PRONTI AD ACCOGLIERE IL SUO PROGETTO?
Mi è sembrato che in tutte le sue reazioni abbia dimostrato di essere una città viva capace di reagire indipendentemente dal segno positivo o negativo. Dopotutto ero un estraneo che esprimeva quale idea si era fatta della casa di qualcun altro. Non ero lì a fare i “complimenti” ma principalmente mi interessava capire e verificare se quello che io vedevo era cosa condivisa da voi, se le cose che io sento e sentivo fossero mie “allucinazioni” o cose reali. Qualcuno ha letto in quella una forma di progetto. In questo si è certamente sbagliato ma anche questo è importante, serve anche a me. Attraverso gli errori ci si conosce e ci si ricorda a tutti noi di non dare mai nulla per scontato.

-IN QUELL’OCCASIONE LEI PARLO’ DI “NUOVE FORME IN GRADO DI RIAGGREGARE LE STORIE ED OFFRIRE UN’INEDITA SCENEGGIATURA ALLA CITTA’”. PUO’ SPIEGARCI MEGLIO A COSA SI RIFERIVA?
Parlavo di un metodo di lavoro. Considerare le componenti di un territorio, di una comunità: le persone con le loro attitudini, le storie, le scritture, le letterature, l’economia, le case. Tra queste in qualsiasi territorio ci sono sempre elementi che vengono dimenticati, che diventano inattivi. La sceneggiatura è un progetto che cerca di riattivare tutti i ruoli, tutti i luoghi. Ogni buona storia funziona se ha i giusti personaggi che la rendono viva.

-AL SAN FRANCESCO HA PARLATO ANCHE DI RECUPERO DEL RAPPORTO TRA IL CENTRO STORICO, ARROCCATO NELLA PARTE ALTA DELLA CITTA’, ED IL MARE. ED HA IDENTIFICATO L’ACQUA COME ELEMENTO CHIAVE PER UNA CORRETTA LETTURA DI QUESTO TERRITORIO. CI SPIEGHI MEGLIO.
Il tema dell’acqua mi è sempre molto caro. Una cosa che ho sempre sentito assente nel vostro territorio. Il mare è lontano, lo avete allontanato tanto da non avere una “calata” a mare diretta. Scesi il corso Matteotti a cinquanta metri dall’acqua girate lo sguardo di novanta gradi e vi buttate dentro l’abitato della Marina. E anche da quella l’accesso all’acqua non è così diretto. Il mare e con questo l’acqua è un fatto importante, simbolicamente importante. Così come la terra. Contemporaneamente vi dicevo di quanto fosse importante conservare la terra, nel senso di non ricoprire tutto con asfalto e case. Acque e Terre non sono solo – guarda caso – la prima raccolta di Poesie di Quasimodo che contiene per giunta Vento a Tindari, ma anche il luogo da dove tutti voi avete avuto origine e dove i vostri avi hanno trovato il loro ultimo destino. Per questo dicevo che qualsiasi nuovo pensiero deve relazionarsi con questi elementi.

-IN CHE MODO IL NOSTRO TERRITORIO DOVREBBE ENTRARE A FAR PARTE DI CIO’ CHE LEI HA DEFINITO LA “SOSTANZA MUSEO”?
Noi viviamo in continuità con il nostro ambiente. Qualsiasi nostra azione compiuta è un atto di coscienza e di questa coscienza permeiamo l’ambiente che ci circonda. Non esiste lo zapping all’interno dello spazio della città. Una bruttura non offende tanto e solo chi la possiede ma tutta la comunità che la deve sostenere. Ogni spazio di una comunità influisce in coscienza qualsiasi altro spazio. Per questo è importante farsene una idea e considerare quella la prima stanza da trattare come museo.

-LEI HA SPESSO UTILIZZATO I CONCETTO DI “IMMAGINI ABITABILI” E “SPAZI SENSIBILI”. DI CHE SI TRATTA?
Da sempre noi pensiamo per immagini, costruiamo delle immagini intorno al nostro abitare. Ma siamo disabituati a prestargli attenzione. Abbiamo perso l’abitudine a considerare lo spazio che abitiamo come uno spazio da noi immaginato ma sempre più spesso copia di qualche modello. Prenda l’IKEA che ha “insegnato” a immaginare lo spazio secondo i loro modelli. Così da nord a sud d’Italia le case degli italiani si somigliano sempre più. Non le immaginiamo più perché qualcun altro per noi lo ha già fatto. E’ la perdita di una facoltà immaginativa. Una facoltà del nostro pensiero. Così sono state prodotte delle immagini delle nostre case che sono un modello da “indossare” da “abitare”. Per spazi sensibili intendo quegli spazi che risvegliano la capacità di prendere coscienza del nostro abitare il mondo. Che riattivano la consapevolezza che le cose possono essere anche differenti da come le abbiamo trovate e da come spesso ci hanno imposto che siano.

-QUALE VALORE AGGIUNTO PER LA SUA CARRIERA LEI CREDE POSSA OTTENERE DA QUESTO “MODESTO INCARICO”?
Ho scelto di fare di Patti un mio caso di studio prima che mi venisse offerto qualsiasi incarico. E’ stato quindi un incontro. E sono partito come si fa nei viaggi di esplorazione: non sapevo cosa avrei incontrato ma immaginavo e sentivo che tanto c’è da trovare, raccogliere e infine da raccontare. In questo senso non ci trovo nulla di modesto. Semmai di entusiasmante.

-HA VOGLIA DI CONFIDARCI QUALCHE PICCOLA INDISCREZIONE SU CIO’ CHE A BREVE SI APPRESTERA’ A FARE PER LA CITTA’ DI PATTI? INSOMMA, CI DAREBBE QUALCHE INDIZIO SU COSA HA IN MENTE PER LA VALORIZZAZIONE DELL’EX CONVENTO SAN FRANCESCO E DEL PALAZZO GALVAGNO?
Intendo aprire dei tavoli di lavoro con le associazioni, con le persone interessate per condividere dei primi punti. Molto di quello che so l’ho appreso parlando con le persone di Patti, ascoltandole. Credo che sia l’inizio di qualsiasi lavoro l’ascoltare. Ascoltare e leggere. Quindi lavorare con le “scritture” presenti sul territorio: cartacee e di pietra. Pensare a un museo che sia una espressione di tutto questo: un luogo che ascolta. Sto leggendo molto di autori siciliani in generale e pattesi in particolare. E questo mi riporta alla mente una persona che avevo appena conosciuto e iniziato ad apprezzare e che intendo qui ricordare: Michele Spadaro. Di più non saprei dire. Per procedere dovrò continuare le mie “conversazioni siciliane”. Quello che è stato il mio “viaggio” per un anno.

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