Tindaro Granata: "Il mio amore per il Teatro"

Tindaro Granata: “Il mio amore per il Teatro”

Giuseppe Giarrizzo

Tindaro Granata: “Il mio amore per il Teatro”

sabato 11 Febbraio 2012 - 20:45

Dopo lo strepitoso successo di "Antropolaroid" al Teatro Beniamino Joppolo di Patti, l'autore-attore Tindaro Granata si racconta.

L’appuntamento è per le 20 e 15. Arrivo puntuale e lo trovo seduto ad un tavolo in un angolo del bar, intento ad intingere il cucchiaino in una tazza di thè caldo, concentrato come se stesse scrutando qualcosa al fondo della tazza. Mi vede, si alza sorridente, mi stringe la mano e m’invita ad accomodarmi. La prima cosa che mi colpisce è il suo sguardo: lucido, fermo, penetrante, a tratti imbarazzante, tradisce una sicurezza acquisita sui palchi dei maggiori teatri italiani. Ma Tindaro Granata è pattese come me, e nel rievocare luoghi a lui cari e aneddoti e personaggi paesani le distanze si accorciano e la conversazione assume da subito toni confidenziali. Scopriamo, per caso, di avere un passato comune – chi l’avrebbe mai detto!-: suo zio fu testimone di nozze di mio padre e i nostri nonni erano legati da un’amicizia sincera, nata dalla condivisione del lavoro nei campi nella piccola contrada di San Giuseppe. Ci immergiamo nei ricordi, in un passato che mille volte abbiamo sentito raccontare ai nostri cari, e nel frattempo ci accorgiamo d’aver dimenticato il reale motivo del nostro incontro: l’intervista! Ci ricomponiamo e torniamo ad assumere i ruoli che ci competono: aspirante giornalista io, talentuoso attore e autore di teatro lui.
Il giorno precedente – giovedì 9 febbraio – Tindaro ha letteralmente mandato in estasi i circa quattrocento spettatori giunti al Teatro Beniamino Joppolo di Patti per assistere al suo “Antropolaroid”: spettacolo da lui scritto, diretto ed interpretato.
Il titolo dell’opera è straordinariamente calzante: come un antropologo immerso nell’indagine conoscitiva di una società tradizionale il giovane Granata alimenta il suo monologo con una serie di scatti fotografici sulla sua famiglia. Un insieme di piccoli fotogrammi che ricompongono quel suggestivo album che è l’opera stessa. Il quadro d’insieme che ne vien fuori è comico, drammatico, ironico e struggente ad un tempo.
Da Francesco a Tindaro: bisnonno l’uno, pronipote l’altro. E’ tra queste due figure, le cui esistenze si svolgono a quasi un secolo di distanza l’una dall’altra, che si snoda l’avvincente saga familiare dei Granata di “Antropolaroid”. Verità e finzione si sovrappongono nel tentativo – riuscitissimo – d’immortalare alcuni dei tratti più caratteristici della sicilianità: la migrazione per fuggire ad un destino di miseria, la sottomissione al mafioso del paese, l’autorità del padre-padrone, il voto di scambio imposto dal potente di turno, la voglia di fuggire lontano per godere della libertà di sognare un futuro diverso. E ancora, i temi del gioco, dell’amore e della morte custoditi nei “cunti” e nelle vicende dei tanti Granata – donne, uomini, vecchi, bambini – che si alternano sulla scena, tutti interpretati dall’unico attore presente sul palco: Tindaro Granata. Il pronipote, per intenderci. Ma veniamo all’intervista.

TINDARO, DA PATTI A ROMA PER SEGUIRE LA STRADA DEL TEATRO: DA DOVE NASCE QUESTA TUA PASSIONE?
Quando ero piccolo non volevo fare l’attore ma il geometra o l’architetto, tant’è che mi sono iscritto all’Istituto Tecnico di Patti. Un giorno – ero al mare con degli amici – mi sono ritrovato tra le mani una rivista di cinema e teatro. Leggendo quella rivista ho capito che mi sarebbe piaciuto fare l’attore: avevo 14 anni e da lì ho cominciato a pensarci in maniera più seria. Quando mi sono diplomato – era il ’97 – ho allestito una mini recita in cui mi sono inventato la parodia di tutti i miei insegnanti: quella è stata la prima occasione in cui mi sono davvero reso conto che la recitazione sarebbe stata la mia strada.

DA LI’ IL PASSO PER ROMA È STATO BREVE …
Appena arrivato a Roma è stata molto dura: non conoscevo nessuno e l’ambiente che mi trovai a frequentare era totalmente estraneo al teatro. Ho iniziato a lavorare in un negozio di scarpe a Fontana di Trevi e nel tempo che mi rimaneva frequentavo dei corsi serali di recitazione. Non potevo frequentare un’accademia perché non avevo le basi, così dopo un primo corso per principianti mi sono iscritto ad un corso di recitazione cinematografica per professionisti diretto da Giulio Scarpati. Lì ho avuto la fortuna d’incontrare il produttore di Massimo Ranieri: mi ha notato mentre provavo una scena tratta da “La proposta di matrimonio” di Cechov e mi ha proposto di sostenere un provino per una parte importante in uno spettacolo di Massimo. Il provino è andato bene e sono stato scelto. Avevo 22 anni.

QUINDI DI PUNTO IN BIANCO TI TROVI A LAVORARE CON MASSIMO RANIERI. COM’È LAVORARE AL FIANCO DI UN ARTISTA DI QUESTO CALIBRO?
È molto bello, ma è anche pesante. Innanzitutto Massimo è una persona molto maniacale, in tutto, anche nella vita quotidiana. Però sul lavoro questo ti aiuta a diventare sempre più bravo, o comunque a migliorarti. A volermi è stato proprio lui, e questa è stata la mia fortuna. Mi ha scelto proprio perché sapeva che io non avevo mai fatto teatro, e quindi è stato lui a formarmi. La prima settimana è passata tra prove di giorno e pianti di notte: ricordo che una volta siamo stati almeno quattro ore a provare una risata isterica che non mi riusciva.

COSA STAVATE PREPARANDO?
Era il “Pulcinella”, scritto da Manlio Santanelli con la regia di Maurizio Scaparra. Io interpretavo Tartaglia: un personaggio che non parlava bene.

IMMAGINO CHE DOPO QUESTA ESPERIENZA AVRAI TROVATO LA STRADA SPIANATA.
Niente affatto! Dopo l’esperienza con Ranieri ero molto galvanizzato. Immagina un ragazzo di 22 anni che da commesso in un negozio di scarpe si ritrova a calcare i palcoscenici più importanti d’Italia, arrivando a guadagnare 400mila lire al giorno. Non è che mi fossi montato la testa, però inizialmente avevo creduto che fosse tutto facile. Invece poi mi sono reso conto che quella che mi era capitata era stata una botta di fortuna, e infatti dopo “Pulcinella” sono rimasto circa un anno e mezzo senza lavoro. È stato un periodo duro.

E POI?
E poi è andata meglio. Ho fatto delle cose molto importanti: ho avuto la fortuna di lavorare nel “Gatto con gli stivali” al Piccolo Teatro di Milano con la regia di Carmelo Rifici che è uno dei registi più importanti che abbiamo in questo momento in Italia. Tra l’altro lui è di origini messinesi ed è giovanissimo. Inoltre sempre con Rifici sarò al Piccolo il mese prossimo per il “Giulio Cesare”. Poi ho lavorato anche con Elisabetta Pozzi; mentre il primo spettacolo che ho fatto in Sicilia, a Pace del Mela, è stato l’“Enrico IV” di Pirandello, con la regia di Roberto Guicciardini.

E DOPO UNA CARRELLATA DI SUCCESSI ARRIVA ANCHE ANTROPOLAROID. COME NASCE?
Due anni fa mi ha chiamò una regista, Cristina Pizzoli, per un incontro finalizzato ad un progetto molto importante ed ambizioso che coinvolgeva 40 attori. Dopo l’incontro la regista ci spiegò che avremmo dovuto ripresentarci e ognuno di noi avrebbe dovuto raccontare di sé partendo dalle proprie origini. È stata lei ad inventare il nome: ci disse che avremmo dovuto fare un “antropolaroid”, cioè delle “istantanee”, partendo dai nostri avi e dalle nostre radici, fin dove avevamo memoria. Abbiamo fatto questa presentazione e lì ho capito che avevo proprio bisogno di lavorare su questa materia, così ho deciso che quella presentazione di un solo quarto d’ora sarebbe diventata uno spettacolo.

DOPO AVER VISTO ANTROPOLAROID IN MOLTI SI SONO CHIESTI COSA C’È NELLO SPETTACOLO DI VERO E COSA NO.
C’è il 100% di verità per quanto riguarda le storie di famiglie siciliane e c’è il 10% di corrispondenza con la mia famiglia, nel senso che mio padre non è mai andato a chiedere dei favori ad un boss mafioso e mio nonno non ha mai ucciso nessuno. Però ogni episodio è una storia vera che mi è stata raccontata dai miei nonni. Ma soprattutto in “Antropolaroid” ci sono anche delle metafore: l’ultimo personaggio, il nipote del boss, quello che s’impicca, è realmente esistito. Era un mio amico, una persona che ho frequentato durante il servizio militare. Ma a me piace pensare che quella storia sia una metafora, cioè che io, Tindaro Granata, cerco di spronare Tino Badalamenti, la mia parte nera, a cambiare. La parte buona è quella che lascia la Sicilia per andare a Roma a migliorarsi, invece l’altra rimane in Sicilia e si suicida.

A PROPOSITO DI METAFORE: SUL PALCO DEL BENIAMINO JOPPOLO HAI PARLATO DELLA SICILIA COME DI UNA CASA DA RISTRUTTURARE. COSA INTENDEVI?
Questa storia della casa da ristrutturare l’ho aggiunta dopo aver appreso ciò che stava accadendo in Sicilia col movimento dei Forconi. In un’intervista un manifestante diceva: “la Sicilia è la nostra casa e dobbiamo chiudere le porte all’Italia, perché solo così riusciremo a sopravvivere”. Io credo che non ci sia niente di più sbagliato. La verità è che la Sicilia è come una casa rotta, per cui dovremmo pensare prima ad aggiustarla e poi a rientrarci per cominciare a viverci serenamente.

POSSIAMO DUNQUE DIRE CHE LA STORIA CONTIENE CONSAPEVOLMENTE ANCHE DEI FORTI MESSAGGI DI NATURA SOCIALE?
In verità io non mi prefiggevo di raccontare una storia così “alta”, ma poi è accaduto che ciò che ho raccontato contenesse dei messaggi universali. Comunque alla base di tutto c’è sicuramente una ricerca tenace di riscatto e la cosa strana, e forse anche assurda, è che per trovare questo riscatto ho dovuto mettere in scena tante di quelle nefandezze che molto spesso hanno caratterizzato la storia della nostra terra.

CON ANTROPOLAROID VINCI IL PREMIO DELL’ASSOCIAZIONE NAZIONALE CRITICI TEATRALI. COSA HA SIGNIFICATO PER TE?
Sinceramente non me l’aspettavo: il premio mi ha portato tantissimo perché il mio nome ha cominciato a circolare molto nell’ambiente e ha fatto sì che all’Elfo Puccini di Milano ci fosse il tutto esaurito per una settimana di seguito. E tutto questo è dovuto al premio: se non l’avessi vinto non ci sarebbe stata tutta questa attenzione che c’è stata nei confronti di “Antropolaroid”.

E FINALMENTE IL RITORNO A PATTI. QUESTA VOLTA DA ATTORE …
Premetto che ho sempre piacere a ritornare qui. Sono molto legato alla mia terra ed “Antropolaroid” ne è una prova. Sinceramente non mi aspettavo questo grande, grande amore che mi hanno dimostrato i pattesi. La sera dello spettacolo ero emozionatissimo: appena salito sul palco mi sono sentito come un bambino che è contento di far vedere ai genitori ciò che ha fatto a scuola. Non c’era solo la mia famiglia di fronte a me, c’era la mia Patti: una città che più di dieci anni fa ho lasciato a malincuore. Insomma, ero agitatissimo: sapevo che tutti mi aspettavano e che in tanti sarebbero venuti a vedere lo spettacolo. In generale devo dire che le emozioni che ricevo dal pubblico sono più forti di quelle che io do, perché quando sono sul palcoscenico io sono finto, sono filtrato da un personaggio, mentre quello che il pubblico mi restituisce è vero, è autentico. E il pubblico di Patti mi ha davvero restituito tanto.

PATTI SI RISCOPRE AMANTE DEL TEATRO, GRAZIE ANCHE E SOPRATTUTTO AD UNA STAGIONE TEATRALE DI TUTTO RISPETTO. TE L’ASPETTAVI?
Sinceramente non mi aspettavo una stagione teatrale. Mi aspettavo però che qualcosa nascesse. Secondo me – e lo dico perché ci credo – il Sindaco è una persona che ama la nostra città, quindi immaginavo che lui, insieme a tutti quelli che lo sostengono, avrebbe fatto qualcosa di importante. Quindi sì, mi aspettavo che facesse qualcosa di bello per la città, anche se, ripeto, non mi aspettavo una stagione teatrale di questo livello. Quando l’ho saputo sono stato contentissimo e devo ringraziare lui e il regista pattese Stefano Molica se ho avuto l’opportunità di esibirmi al Teatro Joppolo. In particolare devo moltissimo a Stefano e lo stimo tantissimo per quello che fa con il suo teatro educativo rivolto alle giovani generazioni.

COSA CREDI POSSA OFFRIRE IL TEATRO A QUESTA PICCOLA CITTÁ?
Secondo me il teatro è uno strumento come un altro che deve servire all’essere umano per diventare migliore di quello che è, anche a Patti. Le più grandi civiltà del passato hanno avuto i più grandi teatri del mondo. Durante la prima metà del ‘900 l’Italia è stata un grande punto di riferimento mondiale grazie a personaggi come Pirandello o Edoardo De Filippo, oggi non più. Lì dove c’è una civiltà intelligente, acuta, evoluta, lì c’è sempre il teatro. Per esempio in questo periodo di crisi paesi come la Francia e la Germania stanno cominciando a puntare ancora di più sul teatro, perché capiscono che quando si uscirà dalla crisi la società sarà pronta ad andare avanti. Berlino ha più di 20 teatri stabili, noi in Italia ne abbiamo uno o due per ogni città. Loro hanno aumentato le produzioni giovanili, le repliche per le scuole perché capiscono il grande valore educativo del teatro. Inoltre in un’era telematica come la nostra le nuove generazioni hanno sempre più difficoltà a relazionarsi con l’altro e il teatro può aiutare a superare questo genere di difficoltà.

PRIMA DI SALUTARTI VOGLIAMO SAPERE UN’ULTIMA COSA: IN TANTI HANNO CHIESTO UNA REPLICA DEL TUO SPETTACOLO, CREDI DI POTERLI ACCONTENTARE?
Da parte mia c’è tutta la disponibilità. Sicuramente ne parleremo col Sindaco e con la Direttrice Artistica Anna Ricciardi. Se ce ne sarà la possibilità farò di tutto per esserci, perché avere l’opportunità di esibirmi qui lo considero il più grande regalo che la mia città possa farmi.

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