Vinciperdi: storia di vittorie di carta ed eroi perdenti in terra di Sicilia

Vinciperdi: storia di vittorie di carta ed eroi perdenti in terra di Sicilia

Rosaria Brancato

Vinciperdi: storia di vittorie di carta ed eroi perdenti in terra di Sicilia

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martedì 22 Agosto 2017 - 05:40

La sconfitta è scritta nella stessa vita onesta di Sasizzino, uno dei protagonisti del primo romanzo di Antonio Siracusano. Perchè in Sicilia, anche se hai l'asso, le carte si rimescolano sempre.

E’ la Sicilia dei gattopardi, quella nella quale anche il riscatto ha il sapore amaro di una beffa, nella quale solo nel gioco la sconfitta può tramutarsi in vittoria, quella dipinta da Antonio Siracusano, giornalista della Gazzetta del Sud, nel suo primo romanzo “Vinciperdi” (Algra Editore).

Lo “scantinato umido e scorticato” di un bar di Roccalumia, nel quale cinque amici Sasà Pizzino (Sasizzino), Pasquale Fallazzo (detto calli calli), Saro Mallandrino (Sarino), Antonio Pispisa (Ninuzzu stocchignu) e Francesco Piccione (Ciccio “pizzaballa”), trascorrono le ore con il Vinciperdi, diventa specchio e spaccato di una comunità schiacciata dalla rassegnazione alle leggi dettate dall’intreccio tra malapolitica e malaffare e l’incapacità di alzare la testa persino di fronte al silenzio e all’omertà.

Lo scantinato del bar di Mario “ricchiazze”, con l’alternarsi delle figure che di volta in volta aprono la tenda per irrompere in un palcoscenico tanto siciliano quanto universale, diventa l’unico rifugio dei perdenti di una disgraziata terra devastata dal malcostume, dalla corruzione, dalla complicità di un popolo che baratta il silenzio con un posto pubblico per il figlio, per un favore di piccolo calibro. E quel gioco, quel vinciperdi nel quale se hai l’asso sei fregato perché in realtà a vincere può essere solo chi è sconfitto, diventa l’unica via di fuga per quanti provano con dignità e coraggio a tenere alta la testa o a combattere un sistema marcio che sta rodendo le fondamenta del paesino di mare. Roccalumia in fondo può essere uno qualsiasi dei paesini di una qualunque provincia del sud ed ognuno dei singoli protagonisti, dal prete che fa finta di non vedere al comandante dei carabinieri che si fa corrompere, al giudice corrotto, al giornalista compiacente, al galoppino-portaborse che odia il potente politico di turno, lo scorgiamo in qualsiasi figura di cronaca quotidiana delle nostre latitudini.

Siracusano irrompe spesso nel racconto passando dalla terza alla prima persona, con un linguaggio che porta il lettore ad “entrare” nella pelle e nella storia dei personaggi stessi, sia pure per poche righe. La Sicilia dei sapori e degli odori, mirabilmente descritta nell’incontro tra Sasizzino e l’onorevole Alfio Scordia (un comunista di vecchio stampo che diventerà, suo malgrado, lo strumento per la definitiva sentenza di morte di Sasizzino), passa dalle pagine ai ricordi di chi legge, insieme ai “pidoni” che la padrona di casa ha cucinato per l’amato coniuge. Così come l’Onofria alla cassa del bar, orgogliosa mamma di Santina e Jasmine, “curta e malacavata” ma in grado di fare i conti del marito meglio di qualsiasi commercialista, l’abbiamo incontrata decine di volte in altre “Roccalumia” della nostra vita.

Non ci sono eroi in Vinciperdi, perché anche quando si vince, come nel caso di Sasizzino, è una vittoria effimera, di carta, che resta entro i confini dello scantinato.

La sconfitta è iscritta nella stessa vita onesta di Sasà, che da impiegato del Comune finito nel peggiore degli uffici, quello dove si decidono le sorti del territorio e dell’assalto della speculazione, tiene la testa alta per tutta la vita ma non gli basta.

Se a lui le pratiche sporche non le fanno arrivare, se sul tavolo non finiscono gli affari della politica del cemento e degli appalti, è quando decide di voler provare a dire basta che segna la sua fine. E tutti i personaggi del romanzo, come in una tragedia greca, diventano complici anche senza fare nulla, perché nella Sicilia della mafia anche il silenzio è un’arma.

La vittoria non può andare oltre quello scantinato ed oltre quell’assurdo gioco tra amici.

Le cose andavano così, lo stupore indignato degradava in un caos daltonico che avrebbe trovato quiete in un unico colore, come affluenti impazziti che deragliavano per convergere ed esaurirsi in un unico suicidio collettivo. Le parole rivivevano, meschine, con nuovi connotati di fabbrica. Così ciò che si doveva recuperare in realtà veniva abbattuto, “riqualificare” significava licenza di buttare tutto all’ancallaria. Un dizionario che ogni anno guadagnava pagine, convertendo vocaboli, dirottando desinenze verso più accomodanti interpretazioni”.

E’ così che la Sicilia vede cambiare il suo territorio, lo vede sventrato e trasformato e questo cambiamento che inizia dai vocaboli si compie spesso nei Palazzi, come nel caso di Roccalumia, nell’ufficio urbanistica.

Non ci sono eroi in Vinciperdi e non c’è un lieto fine perché anche nel mutarsi delle cose, con il potente di turno che infine capisce che sta uscendo di scena, in fondo c’è solo un “riadattarsi” della comunità al successore.

Le sorti del “cattivo” di turno, dell’onorevole Canazzo, saranno decise a Roma, dall’onorevole ministro e il “fido” Culera, dalle umili origini ma dalle ambizioni sfrenate, sarà solo uno strumento nelle mani di chi decide chi vince e chi perde.

Il tentativo spregevole di utilizzare anche il sangue onesto a fini politici e trasformare la sentenza di morte di Sasizzino in un martirio fa parte di uno spettacolo che in Sicilia conosciamo ed al quale Linetta prova a ribellarsi, con la rabbia e la semplicità dei perdenti.

Nella terra del gattopardo però ci sono metodi, fatti, orrori, vergogne, che non cambiano, si trasmettono come in una “staffetta” da una mano ad un’altra.

L’asso che a briscola ti fa vincere e a Vinciperdi segna la tua sconfitta passa di mano in mano e la folla che assiste e plaude, ora Canazzo domani un altro, sarà sempre la stessa e avrà dimenticato tutto. Il sangue, le parole, le lacrime.

Vinciperdi è da leggere, per riconoscersi, per riconoscere.

Rosaria Brancato

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