Limosani: L'altra pandemia. Il ritorno dello Yeti e la questione riforme (seconda parte)

Limosani: L’altra pandemia. Il ritorno dello Yeti e la questione riforme (seconda parte)

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Limosani: L’altra pandemia. Il ritorno dello Yeti e la questione riforme (seconda parte)

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domenica 17 Gennaio 2021 - 09:30

La seconda parte dell'analisi del professor Michele Limosani sulle conseguenze del covid sul fronte economico e occupazionale

La crisi economica ha riportato al centro del dibattito politico due questioni di carattere istituzionali: il ruolo dello Stato in un’economia di mercato e le politiche delle riforme. Riguardo al primo tema ritengo che “Il buon funzionamento del mercato dipenda dal buon funzionamento dello Stato e che le due istituzioni non sono tra loro alternative ma reciprocamente dipendenti”. Ed il ruolo dello Stato in alcuni casi diventa essenziale ed insostituibile come nel caso dei “Beni Pubblici” (salute, difesa, legalità, istruzione), situazione nella quale il libero mercato è incapace di assicurare una distribuzione giusta e ottimale delle risorse. La vera questione è la ricerca di un nuovo punto di equilibrio per evitare di “buttare l’acqua con tutto il bambino”. Lasciamo fare al mercato tutto ciò che esso può fare bene resistendo (Alitalia, ILVA docet) al ritorno incondizionato di un vecchio e inefficiente statalismo, Il ritorno dello Yeti.

La necessità delle riforme

Durante la crisi ci siamo resi conto, altresì, della necessità di introdurre alcune riforme e, in particolare, quelle della pubblica amministrazione, della giustizia e dei rapporti Stato-Regioni. Queste riforme sono necessarie e vanno affrontate con decisione. Ma è quello della crisi il momento opportuno per intervenire e proporre quelle riforme tanto attese e a vantaggio di tutti, necessarie per far compiere un salto di qualità al paese e per fare ripartire la crescita? Su questo tema gli studiosi sono divisi ma il tema è troppo importante per essere eluso ancora una volta dalla classe politica.

  1. La crisi come opportunità o rischio; gli effetti sul sistema produttivo e sul mercato del lavoro.

Alla luce dei bilanci, delle condizioni patrimoniali di partenza e dei livelli di indebitamento raggiunti, molte piccole e medie imprese, soprattutto nel mezzogiorno, hanno una probabilità di default elevata. Ciò che più preoccupa, quindi, è la pesante perdita di potenziale produttivo che ci aspetta dopo il Covid e l’impatto che ciò produrrà sul mercato del lavoro e poi sulle condizioni finanziarie del sistema bancario.

Chi fa boom e chi “scoppia”

Certo, va rilevato che la crisi ha prodotto effetti positivi su molti settori produttivi determinando una significativa redistribuzione di ricchezza all’interno del mondo delle imprese. I settori agroalimentare, elettronica, logistica, informatica, grande distribuzione, hanno infatti registrato un boom di fatturato durante il periodo covid. Alcune imprese, quindi, spariranno, altre si rafforzeranno; nuove imprese emergeranno e con esse nuove opportunità di lavoro. Ma nel caso di serie difficoltà di sopravvivenza delle imprese medio-grandi, lo Stato sarà chiamato ad intervenire? E quali imprese salvare e quali lasciare andare? Quali criteri seguire? Quali le modalità di intervento?

Chi ha pagato la crisi

Rimane, infine, sullo sfondo il tema degli effetti distributivi sui redditi delle famiglie generati dalla crisi. Chi ha pagato di più, tra le famiglie italiane, il prezzo della crisi? -vedi il tema garantiti vs non garantiti– E’ opportuno intervenire sulla nuova distribuzione dei redditi? E quali politiche attuare per limitare e ridurre gli effetti redistributivi? Sono questioni complesse ma nello stesso tempo fondamentali per lo sviluppo futuro del paese e richiedono pertanto serie ed equilibrate riflessioni.

  • La scommessa sul futuro: Il Piano di resilienza e di ripresa

L’ultimo intervento economico nel nostro paese paragonabile -per dimensione di risorse finanziarie mobilitate- a quello previsto dal Next Generation Plan europeo è stato il Piano Marshall, piano voluto dagli americani per favorire la ricostruzione dei paesi europei distrutti dalla guerra. Non possiamo perdere o arrivare in ritardo a questo appuntamento. Ora, è quasi scontato che la sostenibilità del debito pubblico in un certo paese sarà giudicata dai mercati finanziari sulla base dei tassi di crescita dell’economia, e quindi di come verranno spese le risorse del Next Generation Plan; i tassi di interesse, infatti, rimarranno molto bassi per ancora un pò di tempo. Se dunque le risorse del Piano saranno sprecate il debito pubblico alla fine potrebbe diventare insostenibile.

I progetti da scegliere

Nei paesi con un elevato debito pubblico, inoltre, il governo nazionale dovrà fare una valutazione ancora più attenta e rigorosa dei progetti da finanziare. I progetti, certo, potranno essere sia di natura prettamente economica che sociale e non tutti produrranno effetti nel breve periodo perché, come è noto, la ricerca scientifica e l’innovazione tecnologica hanno rendimenti differiti nel tempo. Ma è sull’impatto che ogni progetto produrrà sulle nuove opportunità di lavoro che si gioca la grande sfida. Non è questo il momento per pensare a sostegni e sussidi.

Tante quindi sono le questioni economiche che nel futuro dovranno essere studiate ed approfondite per lasciare alle future generazioni un patrimonio di idee, di conoscenze e di riflessioni su un evento che ha segnato profondamente il nostro tempo e le cui conseguenze sono, ancora per molti versi, inesplorate.

Michele Limosani

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3 commenti

  1. ANTONIO BARBERA 17 Gennaio 2021 11:36

    Forse sarebbe l’occasione per rileggere qualche articolo del Prof. Limosani e lasciare al loro destino le vuote esternazioni del Sindaco De Luca .

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    1. Sarebbe pure ora che si abbandonino teorie economiche vecchie di duecento anni e già superate da Keynes più di ottant’anni fa. Il liberalismo produce solo ineguaglianza e inefficienza: senza il ruolo propulsivo dell’intervento pubblico un territorio disagiato come Messina può solo agonizzare, come del resto fa dalla fine dell’intervento straordinario.

      E’ bastata l’esperienza Monti e trent’anni di egemonia liberista per distruggere l’Italia: basta. Sarebbe pure giusto far leggere interventi di segno opposto a quelli ideologicamente intrisi di liberismo.

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  2. In parte concordo con il Prof. Limosani, in parte no.
    Concordo invece del tutto con Bertold Brecht, anche se la pandemia non ha decretato vincitori nè vinti:
    La guerra che verrà
    non è la prima. Prima
    ci sono state altre guerre.
    Alla fine dell’ultima
    c’erano vincitori e vinti.
    Fra i vinti la povera gente
    faceva la fame. Fra i vincitori
    faceva la fame la povera gente egualmente.

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