Machine festive: idee e proposte per un museo già nato

Machine festive: idee e proposte per un museo già nato

Daniele Ferrara

Machine festive: idee e proposte per un museo già nato

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giovedì 28 Maggio 2020 - 07:35

Nei giorni scorsi si è riaperto il dibattito sul museo per ospitare Vara, Giganti e le altre machine festive. Ma....

La proposta dei consiglieri Cacciotto e Gioveni di realizzare un museo dedicato alle macchine festive messinesi sta destando un certo interesse nell’attenzione pubblica. Si parla di raccogliere assieme le macchine votive – la Vara, i Giganti, le Varette, il Pagliaro, il Vascelluzzo – e renderne possibile la regolare fruizione a cittadini e turisti. Ciò, si dice, genererebbe introiti e posti di lavoro. È un vecchio progetto, se ne parla già da molto.

Il museo esiste già

Sicuramente è interessante; non fosse per il fatto che l’idea è già stata avuta e che già esiste un allestimento di questo tipo: la Mostra Permanente ‘Vara e Giganti’, che da tempo aspira a divenire Museo della Vara e dei Giganti. Purtroppo, tutte le varie proposte fatte in questi anni perché si crei un museo delle machine festive hanno ignorata l’esistenza di questa Mostra permanente.

Giusta dunque la risposta diretta congiuntamente dal Comitato Vara e dall’Associazione Amici del Museo di Messina, che hanno voluto rammentare ai Consiglieri – e così alla cittadinanza tutta – che un’istituzione culturale per la conservazione del patrimonio delle machine festive già esiste, e che bisogna partire da quella per pensare a ulteriori progetti.

La mostra permanente si trova nei locali seminterrati di Palazzo Zanca (tra l’altro attigui a quelli dell’ufficio tecnico ove si conservano i pezzi della Vara) e fu realizzata con scrupolosa dedizione e a spese proprie nel 2015 dal Comitato Vara e dall’Associazione Amici del Museo. Essa contiene innumerevoli reperti (alcuni risalenti anche al Seicento) che documentano l’evoluzione del Ferragosto messinese (e non solo): moltissime sono le stampe, ma vi si custodiscono anche modellini artistici delle machine e pezzi originali della Vara risalenti a prima dell’ultimo restauro.

Il grande difetto di questo allestimento – non propriamente suo, però! – è di trovarsi in locali troppo angusti e perennemente chiusi, aperti soltanto in occasioni speciali, e ciò impedisce a gran parte della cittadinanza (e figuriamoci ai turisti che stanno a Messina per una sola giornata) persino di conoscerne l’esistenza! Peraltro i materiali, nelle condizioni in cui si trovano, rischiano di danneggiarsi a causa dell’umidità, e questo senza che almeno qualche occhio possa ammirarli.

Messina è la Regina delle machine

Facciamo per pochi attimi qualche passo indietro nel tempo. La consuetudine di celebrare le feste attraverso machine è antica forse quanto l’umanità stessa. Forse la prima machina al mondo fu, decine di migliaia d’anni fa, una grossa pelle di mammut che un gruppo di ritualisti si mise addosso, danzando per compiacere lo spirito protettore di quegli animali e propiziarsi una buona caccia. Nel mondo sono poche le città che ancora esibiscono machine secolari o ne costruiscono di nuove. E in Sicilia, per giunta, Messina è la “Regina delle machine”: ne possiede più di tutte le altre città persino d’Europa, e tranquillamente potrebbe candidarsi ai primi posti d’una classifica mondiale degli apparati celebrativi (se si riportassero in vita anche le machine festive scomparse, come la Galea).

Ecco: da ciò si può comprendere quanto sia importante un siffatto museo per la nostra cultura. Perciò, la Mostra del 2015 meriterebbe d’essere ospitata da locali più grandi e notabili (Palazzo Weigert, per esempio), così da potere accogliere molti altri pezzi che gli Amici del Museo e privati cittadini ancora posseggono; e così, diventare appunto l’auspicato Museo.

Le machine devono stare nascoste

Ma più che d’istituire un luogo che raccolga reperti, si è parlato di riunire assieme tutte le machine; purtroppo questo non è possibile farlo, per tutta una serie di motivi che spaziano dall’impraticabilità alla tradizionalità. La Vara è una macchina complessa e dev’essere montata ogni anno (anche per motivi di sicurezza), non la si può conservare intera; i Giganti devono dormire in una locazione strategica, cambiata la quale si altererebbe un percorso ormai collaudato e affezionato; le Varette sono in “custodia sacra” (come la maggior parte delle varette del mondo) presso il Nuovo Oratorio della Pace; parimenti il Vascelluzzo è custodito tradizionalmente dalla Confraternita di Santa Maria di Portosalvo; e il Pagliaro è una costruzione annuale da farsi con materiali freschi, tra l’altro possesso specifico di Bordonaro che non sarebbe giusto mettere nelle mani del capoluogo. Inoltre, esporre perennemente le macchine festive rischia di ledere mortalmente alla loro delicata essenza di figure mitiche che appaiono soltanto in periodi sacri: finirebbero dissacrate, non sarebbero più veramente festive (festive, appunto: devono mostrarsi durante le feste).

Il rituale prevede nascondimento

Potremmo perdere il senso del sacro. Se le machine sono nascoste, non è per vergogna, ma perché è il rituale stesso che le prevede a imporre il loro ciclico nascondimento; se non rimanessero celate, si profanerebbero. Il loro luogo dev’essere un falso sepolcro dal quale possano annualmente e liberamente resuscitare: significa che in realtà sono vive. Metterle in un museo è il preludio del lasciarle là dentro per sempre e non farle uscire mai più, perché in un museo le cose si conservano, non si utilizzano; non si toccano ma si guardano e basta. Le uniche cose adatte a stare in museo possono essere riproduzioni fedeli delle machine e magari vecchi pezzi dismessi a seguito di restauri, ma mai le machine stesse.

Per fare un esempio, male sarebbe se i Giganti o il Cammellaccio fossero esposti tutto l’anno in bella vista! Già la loro tradizione da anni è in decadenza cerimoniale e non riceve più la stessa attenzione, renderli pezzi da museo ne decreterebbe la morte: diverrebbero come enormi mummie senza più vita.

Giusto ampliare la mostra

Nondimeno, dalla proposta si solleva una questione importante, degna di lodi: il luogo in cui le machine si riposano per tutto l’anno dev’essere veramente consono e degno e perfettamente sicuro per l’oggetto della loro custodia; può essere fruibile, sì, ma per costanti e rispettose manutenzioni, e per le visite limitatamente (pena la “dannazione” delle machine”).

Oltre ciò, è ottima e lodevole pure l’idea espressa di dare spazio a tutte le macchine (ossia, integrare la mostra con lor reperti). Se Messina è davvero, come detto sopra, la Regina delle Machine, è financo doverosa la cura d’un luogo in cui si mostri alla popolazione residente e a quella in visita questo nostro carattere distintivo e identitario, questo primato se vogliamo. Buono perciò l’intento, ma è dall’attuale Mostra permanente di Palazzo Zanca che bisogna partire.

Agire con un solo corpo

In una condizione in cui un museo già esiste, perché bisognerebbe pensare a crearne un altro da zero trascurando una mostra così ardentemente voluta che da troppi anni aspetta d’essere finalmente aperta al pubblico? Ciò che manca in questa città è proprio la sinergia; non si possono fare le stesse cose in gruppi separati, perché così le forze si disperdono e il risultato ineluttabile è non concludere nulla. Invece, perché non alimentare un sano spirito di collaborazione e spingere assieme per la creazione d’un unico museo facendo leva con tutte le forze in campo? Soltanto così l’iniziativa può essere di volta in volta arricchita da tutte le parti in gioco.

In poche parole: aprire l’attuale mostra, trasferirla in migliori locali, ampliarla con reperti nuovi e d’altre machine. Parallelamente: procedere a mettere in sicura custodia le nostre pregiate machine, riflettere attentamente su modalità d’esposizione. Queste siano le tappe.

Decidiamoci finalmente, in quest’anno di pausa, a estirpare la pianta soffocante e venefica della decadenza e progettiamo ora il modo per ridare gloria e fasto al nostro povero e martoriato Ferragosto (e non solo). Lo possiamo fare; lo dobbiamo fare; lo vogliamo fare.

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