"Mal di Libia": uno sguardo libero sul fronte del Mediterraneo

“Mal di Libia”: uno sguardo libero sul fronte del Mediterraneo

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“Mal di Libia”: uno sguardo libero sul fronte del Mediterraneo

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mercoledì 24 Gennaio 2024 - 20:00

Nel libro della giornalista Nancy Porsia, un'analisi libera dai luoghi comuni sul Paese ma anche sulla debolezza della democrazia italiana

Dalla sociologa Tania Poguisch riceviamo e volentieri pubblichiamo questa analisi di un libro della giornalista Nancy Porsia: “Mal di Libia. I miei giorni sul fronte del Mediterraneo”, edito da Bompiani.

Il volume è stato presentato il 30 novembre a Messina. L’incontro promosso dal Cesv Messina Ets (Ente del terzo settore) si è svolto nel Tempio della Chiesa Evangelica Valdese. Oltre alla Chiesa Evangelica Valdese hanno partecipato l’Anpi provinciale Messina, l’associazione “Teria” e diversi operatori e attivisti che operano nel campo migratorio. Un incontro intenso che ha visto dialogare con l’autrice, dopo l’introduzione articolata del sociologo dell’Università di Messina Tindaro Bellinvia, Korka Barry (ass. Teria) e Ciccio Sciotto, pastore della Chiesa Evangelica Valdese.


Un libro che è stato considerato un racconto in prima persona, dove l’io e il noi ci accompagnano in una Libia ai più sconosciuta. Un libro di Nancy Porsia (nella foto in basso) molto umano e impetuoso, come ha detto nel suo intervento Ciccio Sciotto.

Nancy Porsia

Possiamo aggiungere che si tratta di un libro che può anche spaccare il pubblico presente. Perché? Perché della Libia ci è sempre arrivato il reale volto che ha avuto nella gestione delle politiche migratorie, una Libia complice con l’Europa e con l’Italia in particolare (ricordiamo il famoso Memorandum Italia – Libia che si è rinnovato automaticamente il 2 novembre 2022 e che è un crimine contro l’umanità), ma
pochissimo abbiamo saputo della rivoluzione, del dopo Gheddafi e delle dinamiche interne intrecciate agli interessi internazionali e locali.

Quindi il libro di Nancy Porsia va letto subito perché ci fa camminare a fianco di storie individuali di chi nella rivoluzione ci ha creduto e che ci fa vedere come questa si è trasformata. Ci mostra come tra le tante persone incontrate c’era chi non era a favore della rivoluzione perché con Gheddafi stava bene e Considerava il dittatore l’unico capace a tenere sotto controllo il popolo libico. La stessa giornalista nella sua scelta di campo si posiziona dalla parte dei rivoluzionari, ma i mesi trascorsi su quel territorio e le persone con cui ha fatto pezzi di strada e dei quali ha visto illusioni e delusioni verso la rivoluzione, le fanno scrivere con una profondità disarmante: “Chi sono io, straniera, per dire che cosa sia meglio per una terra che non è la mia, per un paese bombardato, e oggi in balia di ragazzini armati?”.

In diverse sue interviste dopo la pubblicazione del libro si e ci pone la domanda: “Chi sono i libici e chi sono le libiche? Quali sono i loro sogni, i loro fallimenti e il loro percorso?”. Sicuramente c’è stato dietro quello spirito rivoluzionario il desiderio di tanti giovani di vivere liberamente, ma nei fatti col passare del tempo si ritroveranno a fare i conti con i nostalgici gheddafiani e le varie dinamiche di una politica internazionale tra colpi di Stato e influenze di un certosino operare dei servizi segreti, dentro le quali l’obiettivo è di non spostare granché o nulla in quel paese. La Libia è, infatti, un punto strategico del Mediterraneo che nel silenzio più assordante si riempie di migranti morti, violentati e considerati non- persone.
Il libro e l’incontro ci mettono di fronte a tutto ciò. Abbiamo di fronte una giovane giornalista che a un certo punto, precisamente nel gennaio 2013, decide di andare a stabilirsi in Libia e come l’autrice dice, lo fa “scommettendo”. Il libro fa scommettere pure chi lo legge perché in quelle pagine c’è una Libia che non ci è arrivata mai e la sua lettura, secondo me, implica un cambio di occhiali sulla narrazione di un paese che abbiamo conosciuto e conosciamo come confine della morte verso l’Europa, un paese/ confine di cui se ne sono occupati sempre i ministri dell’interno della Repubblica italiana.
Senza alcun panegirico l’autrice mette in evidenza che quanto succede in Libia riflette la crisi della democrazia italiana, la cui politica è sempre pronta a fare accordi con le milizie libiche pur di bloccare l’immigrazione direttamente alla partenza.

Quella guerra civile che affligge la Libia dal 2014

Per tutto il periodo in cui ha comandato un solo uomo, Gheddafi con i propri colonnelli, è stato quasi automatico vedere e percepire la Libia come un monolite con a capo, appunto, un personaggio tanto eccentrico quanto capace di fare affari con chiunque alimentasse il suo potere dispotico.
“Mal di Libia” ci fa fare un bel salto nel capire questo paese che non è neutro e non è solo la sommatoria di poteri forti tra loro speculari. Nancy Porsia ci ricorda che in Libia, dal 2014, c’è una guerra civile a bassa intensità che ha stravolto la vita degli stessi libici e di tutto il sistema che prima si reggeva su ditte transnazionali per l’uso del petrolio.
Tante delle persone incontrate e raccontate da Nancy Porsia durante gli anni passati in Libia capovolgono le solite informazioni mainstream e su questo l’autrice mostra la sua bravura facendoci sentire partecipi in tanti passaggi del libro. Ci appare evidente leggendo il libro, e per questo è necessario farlo, quanto il paese conosciuto ai più come il paese del dittatore Gheddafi, ha un popolo fatto di donne, giovani, uomini, bambini verso i quali è stato facile trasferire i nostri rancori e odii.

L’autrice ci pone davanti a questo e la passione con cui ci invita a riflettere durante la presentazione incrocia chi in Libia ci è passato attraverso le carceri e ha vissuto momenti tra la vita e la morte. Il relatore Korka Barry ha dialogato col pubblico su questo passaggio e ha proposto la lettura del libro che lo ha aiutato a comprendere un popolo da non inchiodare semplicemente alle sue origini e invita a ragionare insieme per fermare anche la stessa Europa che sempre più opera per esternalizzare accoglienza e politiche migratorie e puntando solo su una gestione del confine e non in relazioni internazionali col popolo libico e mediterraneo.
I relatori che hanno dialogato con l’autrice mettono in evidenza quanto la Libia sia diventata un contesto senza sbocchi anche per chi è sceso in piazza per la rivoluzione. Il periodo del dopo Gheddafi non può essere confinato in un angolo permettendo che nel centro del Mediterraneo sia liquidata una rivoluzione a cui hanno partecipato tanti giovani e che oggi loro stessi hanno, con molto amaro in bocca, lasciato la Libia per arrivare in Europa via mare. Tanti di loro sono stati per l’autrice gli amici di momenti passati tra allegria e discorsi sul significato dei diritti. Una comunità in discussione forse più di quanto si riesca a fare oggi qui in Italia.

Un libro che impone un punto di vista diverso sulla Libia ma anche sulla nostra fragile democrazia

Il libro ci mette in discussione, questo non si può negare, e soprattutto vorrei provare a mettere nel lettore delle curiosità, scegliendo di richiamare l’attenzione su due punti intensi del lavoro sul campo di Nancy Porsia: uno dei punti per me è stato illuminante e riguarda l’incontro con il contrabbandiere che si definisce “service provider”, che senza ipocrisie svela tutto il processo del traffico umano che coinvolge tutta una catena ben organizzata, dove negli intermezzi ci stanno i nostri governi democratici che con la loro ipocrisia non vogliono più morti in mare e si mettono a capo di una lotta contro i trafficanti di vite e lo fanno mentendo e sapendo di mentire.

Un’opera di disvelamento che l’autrice riesce a fare compiendo in pieno il suo lavoro di giornalista. Io lo ritengo un passaggio cruciale che smonta delle nostre certezze e mentre scorriamo nella nostra lettura ci troviamo davanti ad Omar che porta i migranti dentro un corridoio sicuro senza alcuna forma di violenza e sfruttamento economico.
L’altro punto da mettere in evidenza rispetto a questo libro è il modo di fare inchiesta giornalistica, e direi di posizione, con un conseguente prezzo alto da pagare nel momento in cui l’autrice viene intercettata e deve rifugiarsi in Tunisia. Eppure, prima che Nancy Porsia scrivesse di Abd Rahman Milad, l’ufficiale della guardia costiera libica, in molti ambienti si sapeva di chi si trattasse. Era già noto a molti dei migranti col nome “Bija”, lo stesso personaggio denunciato dall’Onu per violazione dei diritti umani. “Bija” era il terrore dei migranti che passavano in Libia e quel nome era ben conosciuto in Italia anche da chi raccoglieva le lore testimonianze. Addirittura, ci sono notizie su una sua visita in Italia, dentro l’ex Cara di Mineo, nel 2017.
Un pomeriggio di dibattito e confronto sul vivo del titolo dove citare la Libia forse è ancora un tabù. Il libro è vasto e più complesso di quanto io possa mettere in un articolo e ci chiede un ribaltamento degli occhiali. Un libro che può suscitare diverse reazioni e questo migliora la conoscenza perché personalmente mi ha fatto comprendere che la Libia non può avere un solo sguardo e non lo merita
il suo popolo. La lettura e le chiacchiere in diretta con Nancy, cara amica, mi hanno restituito la prima sensazione che mi è arrivata dal titolo “Mal di Libia”. Mi è arrivato quel malessere che ti provoca chi ami o hai amato ed è intriso di tutto e ti fa provare una marea di sentimenti tra nostalgia, amore, paure e dolore. Ma mai odio.

Con questa lettura voglio dire anche a me stessa che il percorso per costruire un vero Mediterraneo di pace non può prescindere dal fatto che dobbiamo provare un “Mal….” ed entrarci dentro. Anche con confronti lunghi e molto complessi e che bisogna mettere dentro il percorso verso una pace, parola sempre meno pronunciata, anche la Libia e il suo popolo.

Tania Poguisch

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