La riflessione: davanti a noi ci sono solo due strade. Entrambe lastricate di sacrifici

La riflessione: davanti a noi ci sono solo due strade. Entrambe lastricate di sacrifici

Giovanni Mollica

La riflessione: davanti a noi ci sono solo due strade. Entrambe lastricate di sacrifici

martedì 22 Novembre 2011 - 14:44

Forse non tutti hanno capito che andiamo verso tempi difficili. E che non è affatto sicuro che il Governo Monti possa farci evitare la bancarotta. Come in Grecia, ai primi annunci di sacrifici, il Paese si dividerà tra chi vuole restare in Europa e chi vuole uscirne. Una cosa però è certa: i partiti che credono che la prima soluzione sia il male minore devono votare, senza se e senza ma, tutti i provvedimenti che Monti porterà in Parlamento. In silenzio.

Che noi Meridionali siamo gente sanguigna, che segue più gli impulsi del cuore che il ragionamento, è cosa risaputa.
Ma essere ciechi no, non possiamo permetterci di esserlo!
Basta toccare Berlusconi, Vendola, Bersani, Casini o Di Pietro ed ecco che i rispettivi sostenitori saltano su strillando che anche gli altri non sono verginelle.
Sarà pur vero, ma il fatto che le p…e (o i p…i) siano tanti non addolcisce certo la pillola. Né riduce le colpe individuali.
Non solo. E’ innegabile che chi ha chiesto e ottenuto di guidare il pullman (l’Italia) sul quale siamo tutti imbarcati, ha maggiori responsabilità di quelli che, al suo fianco o nelle file dietro, pretendono di indicargli la strada.
A parte queste banali considerazioni di puro buonsenso, bisogna distinguere i problemi. Una cosa è saper guidare un pullman, altra e diversa è la situazione meteo e quella delle nostre strade.
Che ci sia un temporale (la crisi mondiale) in corso solo gli sciocchi possono metterlo in dubbio. E che le nostre strade siano in buona parte impercorribili perché dissestate (il debito pubblico) è altrettanto vero. Ma questo è un dato di fatto che non esime l’autista dal fare di tutto per portare i passeggeri a destinazione con meno danni possibili.

E qui le ricette divergono.
C’è chi vorrebbe abbandonare i percorsi noti e addentrarsi nelle foreste selvagge di un cambiamento “politico” radicale. E’ la proposta di coloro che vogliono dichiarare bancarotta, abbandonare l’euro, tagliare le acuminate unghie delle istituzioni finanziarie e magari rifondare il Paese sulla base di un maggiore egualitarismo. Anche forzato.

E’ una proposta, per certi versi, affascinante, quantomeno perché si propone di rompere gli stereotipi economici che, diciamo la verità, hanno prodotto una società come quella attuale. Che non brilla certo per valori di cui andare fieri.
Con l’avvertenza che chi l’ha fatto nei decenni e secoli scorsi non ha reso il suo popolo più felice. Vedi la Germania del 1923, l’Argentina del 2002.
Personalmente, non credo che gli Italiani siano pronti a imboccare la strada della “decrescita felice” teorizzata da Serge Latouche qualche anno fa.
Analogamente, chi propone di seguire i precetti del capitalismo mercantile ortodosso, cioè stringere la cinghia per restare in Europa ad ogni costo, deve ammettere che sarà impossibile evitare di scaricare sui cittadini più poveri le inefficienze di una classe dirigente cinica e incapace.
Ciò premesso, anche al più incallito sostenitore del “primato della politica” deve ammettere che il Governo Monti, con tutti i suoi limiti, è lo strumento più idoneo per restare nell’euro.
E’ una limitazione della nostra autonomia? L’indice di un commissariamento? Certamente sì, però è anche l’unica via che ci rimane per sperare di evitare la bancarotta.
Osservate invece i leader politici di ogni schieramento: parlano, parlano, parlano. Alcuni pensano di salvarsi l’anima opponendosi alla patrimoniale; altri vietano di toccare le pensioni di anzianità; altri ancora affermano che la santità si raggiunge attraverso l’eliminazione del contante e il passaggio alle carte di credito obbligatorie. Tutti però pontificano senza pudore che bisogna ridurre il debito e farfugliano di essere pronti a eliminare gli sprechi e i privilegi della politica.
Ma nessuno, in vent’anni, l’ha fatto.
Quale rispetto può mai meritare una siffatta classe politica?
Pochi minuti fa, su Radio 24, un deputato – lo schieramento non conta: su questo punto sono centinaia gli “onorevoli” spudoratamente concordi – giustificava pensioni e vitalizi dei parlamentari sostenendo che: “i diritti acquisiti non si possono toccare” e che era un grosso sacrificio, per un deputato eletto a 30 anni, dopo 2 legislature (quindi, a 40 anni), attendere fino a 65 anni (!!!) per “percepire una pensione di “soli” 6.500 € al mese”.
Chiedo agli strenui difensori di questa classe politica – di destra o di sinistra che siano -: come giudicano queste dichiarazioni?
Se non sia pura demenza parlare di “diritti acquisiti” e pensioni da 6.500 € maturate in 10 anni di “lavoro”, di fronte alle migliaia di lavoratori che finiscono in mezzo a una strada, da Termini Imerese a Torino. Davanti a pensionati che vivono con 800 € al mese. O a chi investe i risparmi propri e dei genitori per aprire un negozio, una bottega artigiana o una fabbrichetta, per vedere i suoi sogni svanire a causa della burocrazia, della delinquenza organizzata, delle tasse e del calo dei consumi?
Per loro non valgono i “diritti acquisiti”?
Come può un semplice cittadino – soprattutto se meridionale – difendere uno qualunque di questi “… pessimi attori che si agitano e si lamentano sul palcoscenico durante il loro show di un’ora. E poi spariscono per sempre.”, come diceva Macbeth ben 4 secoli or sono.
Condannare moralmente e politicamente un’intera generazione di privilegiati che ha dimostrato di non essere all’altezza dei propri compiti è essere qualunquisti? O antiberlusconiani? O comunisti? O antivendoliani? O forse è la logica conclusione di una triste vicenda che, come è ormai chiarissimo, porterà lacrime e sangue soprattutto ai più poveri?

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