Abolizione Province: cosa ne pensano i diretti interessati

Abolizione Province: cosa ne pensano i diretti interessati

Abolizione Province: cosa ne pensano i diretti interessati

giovedì 24 Giugno 2010 - 23:23

La proposta del governo di tagliare quelle con meno di 220mila abitanti bocciata qualche settimana fa dalla commissione Affari costituzionali del Senato. Dalla Regione, Cimino: «Tagliare Catania, Palermo e Messina». L’opinione dei consiglieri di palazzo dei Leoni

L’abolizione delle Province è stato uno dei cavalli di battaglia di Silvio Berlusconi in campagna elettorale. Un passaggio etichettato allora come necessario nell’ottica di un taglio dei costi e razionalizzazione delle spesa pubblica. Solo di recente la questione è però finita nell’agenda governativa, anche a seguito dei rimbrotti “dell’alleato insofferente” Gianfranco Fini, che ha alzato la mira sulla mancata avvio del procedimento di chiusura di tali enti pur se il passaggio fosse inserito nel programma del centrodestra. Vicenda affrontata ma conclusasi con un nulla di fatto. La Commissione Affari costituzionali del Senato ha annullato l’emendamento che prevedeva, nella proposta di legge approvata dalla Commissione della Camera, l’abolizione delle amministrazioni provinciali con meno di 220mila abitanti. Una manovra che avrebbe di fatto cancellato (secondo i dati Istat) nove realtà territoriali: Biella (187 mila abitanti), Massa Carrara (203 mila abitanti), Ascoli Piceno (212 mila), Fermo (176 mila), Rieti (159 mila), Isernia (88 mila), Matera (203 mila), Crotone (173 mila) e Vibo Valentia (167 mila).

Dallo Stato alla Regione, perché ricordiamo che a differenze della maggioranza delle regioni italiane, quelle siciliane, come Messina, sono legate al vertice territoriale più vicino. La proposta arriva dal vicepresidente della Regione siciliana con delega all’Economia, Michele Cimino: «Mi farò promotore di una proposta per l’abolizione di alcune province siciliane – dichiara qualche settimana fa -. Sarebbe logico sopprimere quelle che insistono nelle città metropolitane, quali Palermo, Messina, Catania. Con l’abolizione delle province il risparmio sarebbe notevole: il personale sarebbe trasferito ai comuni e con il passaggio delle competenze si potrà dare un nuovo impulso alle loro attività. E’ arrivato il momento in cui tutte le forze politiche si assumano le proprie responsabilità ed abbandonino la demagogia dei loro comportamenti, come ho constatato in queste giorni a proposito dei Fondi comunitari e della nomina di esperti presso alcuni assessorati».

Una presa di posizione discussa anche tra i corridoi di palazzo dei Leoni, potenziale destinatario delle decisioni palermitane. E allora vediamo cosa pensano alcuni tra i diretti interessati, i consiglieri provinciali, dell’ipotesi cancellazione. Si dichiara favorevole in consigliere Natalino Natoli (Pri), rappresentante della maggioranza: «Per come sono strutturate oggi le province non servono a niente – afferma -. Un ente come il “nostro” vive di finanziamenti regionali e statali, non ha autonomia economica per fare ciò che è di propria competenza e dunque non ha neppure la possibilità di prendere determinate scelte. Un’idea diversa potrebbe essere quella della creazione di consorzi di comuni, in grado di occuparsi delle questioni principali, come strade o scuole». Sulla stessa linea d’onda il consigliere dell’opposizione Giacinto Barbera (Socialisti-Popolari-Riformisti): «Sono d’accordo con questa volontà del governo nazionale, per le province piccole ma anche per quelle grandi che non riescono a svolgere le proprie competenze. Manca ad esempio un coordinamento tra i comuni e le province per poter rispondere alle domande provenienti dai vari territori».

Meno drastico il presidente del consiglio provinciale Salvino Fiore (Udc-D’Alia): »Le Province devono essere nelle condizioni di operare e funzionare, dotate di risorse economiche e concepite con organizzazione tale da essere in grado di svolgere servizi fondamentali come quelli coperti dagli Ato rifiuti e idrici, per le strade, etc. Avrebbero senso se realmente intese come dalla legge 9 del 1986».

Per Giuseppe Miano del Pd, la Provincia è una struttura sovra comunale utile. «La mia personale idea è però contro una gestione unicamente politica dell’Ente. Servirebbe una rappresentanza di comuni e distretti che possa incidere sulle scelte, per potere migliorare i territori, usati invece dalla politica. Alla fine così come è adesso intesa cosa possono fare i consiglieri, oltre ad approvare i bilanci e ottemperare a passaggi di questo tipo?». Per l’autonomista Pippo Lombardo (Autonomista – Provincia Punto Freccia) l’ipotesi di tagliare le province è solo un’operazione demagogica: «Se la scelta è legata all’abbattimento dei costi, il personale e i dipendenti continuerebbero ad operare legati allo Stato, in virtù della necessità di garantire i servizi. L’unico risparmio potrebbe essere sui gettoni di presenza dei consiglieri e sulle indennità degli assessori, ma provvedimenti di limitazione delle spese che potrebbe essere presi senza la necessità di chiudere completamente gli enti».

Infine Massimiliano Branca (GdL), che non si sbottona: «Le province hanno competenze importanti, ma la loro utilità, come quella degli altri enti pubblici, è legata alla complessiva buona gestione amministrativa. Ognuno deve dare il suo contributo secondo le competenze e l’incarico che ricopre, nell’interesse dei territori e non solo della politica. Molto dipende dalle linee programmatiche tracciate e il modo in cui vengono messe in pratica».

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