Il gruppo di professionisti coordinato dall’arch. Marabello presenta il quaderno “Q.Tirone”, nel quale si analizza il piano di “riqualificazione urbana”
«Il filo conduttore del nostro lavoro è uno: il programma, perché parlare di progetto è eccessivo, della Stu “Il Tirone” non è sostenibile sotto i punti di vista progettuale, economico e procedurale». Così l’arch. Luciano Marabello, coordinatore del gruppo di professionisti che hanno dato vita al comitato “Comunità urbana”, sintetizza in poche parole il contenuto di “Q.Tirone”, il “quaderno” redatto dagli stessi professionisti nei quali vengono analizzate, per capitoli, le criticità del programma di riqualificazione urbana della società mista costituita per il 70 per cento da privati e per il 30 per cento dal Comune, i cui “vertici” sono il presidente Giuseppe Picarella, il vice e coordinatore dei progettisti ing. Franco Cavallaro e l’amministratore delegato Carlo Borella.
Alla realizzazione del quaderno, presentato stamani nel corso di una conferenza stampa, hanno contribuito gli architetti Adriana Arena, Nicola Aricò, professore associato di Storia dell’Architettura e dell’Urbanistica, Franco Cardullo, professore ordinario di Progettazione Architettonica, Valentina Caruso, Michela De Domenico, Francesca Faro, Adriana Galbo, Katia La Fauci, Elena La Spada, professore associato di Urbanistica, Marco Lo Curzio, Annunziata Maria Oteri, ricercatore di Restauro, Francesca Passalacqua, architetto, ricercatore di storia dell’architettura, Rita Simone, professore associato di Progettazione Architettonica, Fabio Todesco, ricercatore di Restauro, Giusy Vinci, architetto, l’ing. Edoardo Caminiti, il geologo Antonio Gambino, il conservatore Nino Sulfaro, i rappresentanti del sindacato Inarsind, l’ing. Pierluigi Pettinato e l’arch. Pino De Domenico, e i componenti dell’Istituto Inbar, gli architetti Anna Carulli, Cesare Oliva ed Ernesto Forte.
«Il problema – spiega Marabello – non deve essere scegliere tra il non fare niente e il fare ogni cosa a qualsiasi costo, ma fare bene le cose. Quella parte di città di cui si parla oggi ha assunto un grado di resistenza alle trasformazioni ormai unico nel nostro centro storico, perché dunque intervenire in maniera così massiccia? Nessuno vuole mantenere le baracche, ci mancherebbe altro, ma per dare le case a 30 famiglie si può fare tutto ciò che si vuole?». L’arch. Elena La Spada sottolinea che «l’obiettivo è ricercare una qualità nello sviluppo della città, non legato solo alle grandi volumetrie. Il valore storico di quella porzione di città necessita una vera riqualificazione».
L’ing. Pietro Luigi Pettinato del sindacato Inarsind Messina introduce nuovi elementi di criticità, di tipo squisitamente normativo. «Il problema della Stu – afferma – nasce a monte, si è partiti male. Di Stu in Italia ce ne sono tante, è senz’altro uno strumento efficace, tant’è che voglio specificare che noi non intendiamo eliminarla ma “raddrizzarla”. Tuttavia in qualunque procedura seguita nelle altre città l’ente pubblico ha mantenuto la direzione strategica, determinando a monte gli equilibri tra pubblico e privato». Secondo Pettinato esistono almeno tre tipi di violazioni normative: in materia di urbanistica, in quanto la procedura di variante al Prg dalla Stu è illegittima; nell’iter amministrativo e di controllo, in quanto, essendo cambiate le linee guida inizialmente approvate dal consiglio comunale, il Piano industriale non potrà che tornare in aula a Palazzo Zanca; violazione delle norme in materia di appalti, in quando è obbligatorio procedere con metodi ad evidenza pubblica nel momento in cui vengono utilizzati fondi pubblici (come quelli del Contratto di Quartiere e della legge ex Tognoli). «Se così non fosse – evidenzia Pettinato – verrebbero affidati servizi ed appalti di rilevante importo senza ribasso d’asta. Qual è la convenienza della collettività e dell’Amministrazione?». Secondo l’ing. Roberto D’Andrea, che insieme a Pettinato e ad altri esponenti di Inarsind ha individuato i presunti profili di illegittimità sopra esposti, «ad oggi la Stu è stata solo un giocatolo messo in piedi per pagare le progettazioni».
Comunità urbana lancia anche un appello al cosiddetto “comitato di garanzia”, composto dagli Ordini degli ingegneri e degli architetti e da Confindustria: «Fino ad oggi la garanzia per chi è stata? Gli ordini professionali hanno aperto un dibattito sulla questione?». Secondo il geologo Antonio Gambino «esistono concreti dubbi sugli effetti vibrazionali che subirà il contesto edilizio storico presente, costituito da casette che risalgono a molto prima del terremoto, derivanti dalle imponenti opere di sbancamento di roccia. Va smentito, invece, chi parla del Tirone come di un’area a rischio idrogeologico. Il Pai, l’unico strumento tecnico esistente in materia, ci dice che non è così». Sotto accusa, in generale, finiscono ancora una volta il palazzo da 15 piani da realizzare in viale Cadorna («una follia», l’ha definita Marabello), il centro commerciale, che un giorno c’è, l’altro scompare, l’altro ancora diventa “centro di valorizzazione commerciale” (che sarà mai?), ma anche il palazzo residenziale di viale Italia («il vincolo di panoramicità non scompare con una variante urbanistica di zona, essendo generale»). Secondo Marabello, in conclusione, «non si può parlare di modernità a proposito di questo programma, che così come è concepito sembra del secolo scorso. Si facciano vere strategiche, non da piccola città di provincia».
(Nelle immagini, la proiezione del palazzo di 15 piani e la simulazione grafica del palazzo residenziale di viale Italia)
