"Preghiera per Cernobyl". Un'epopea drammatica tramite una metaforica storia individuale

“Preghiera per Cernobyl”. Un’epopea drammatica tramite una metaforica storia individuale

Tosi Siragusa

“Preghiera per Cernobyl”. Un’epopea drammatica tramite una metaforica storia individuale

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lunedì 19 Luglio 2021 - 09:05

Produzione vincente del Clan Off Teatro

Il 16 luglio al MUME la performance, fortemente attesa, del Teatro dei 3 Mestieri, ha meritatamente riscosso il convinto plauso degli spettatori presenti. Trattasi di una produzione del Clan Off Teatro, che ancora una volta ha davvero colto nel segno. Piece non di scontato e popolare gradimento, certo, ma per estimatori di prodotti artistici qualitativamente eccellenti, che toccano tematiche di sicuro interesse, ma traumatiche e sconvolgenti, e  per questo da tenere in conto e con le quali “fare i conti”.

Non ha di certo deluso le aspettative la monologante rappresentazione, liberamente tratta dall’omologo testo, il saggio pubblicato in Russia nel 1997, con traduzione anche in italiano, vera bibbia sul tema, del Premio Nobel Svjatlana Aleksievic, giornalista e scrittrice bielorussa di immenso spessore, insignita proprio per questa opera, nel 2015, e da quel felice e meritato riconoscimento, finalmente assurta agli onori letterari e apprezzata anche per i suoi pregressi e scomodi reportage di guerra.

La piece, diretta egregiamente,nella sobria riduzione, da Massimo Luconi, si è avvalsa della magnetica interpretazione della indiscussa artista italo – serba Mascia Musy, valentissima performer – già fruitrice del Premio Ubu quale migliore attrice protagonista,e,altresì, dei premi Gassman e De Sica – che anche in questa occasione ha reso, senza sbavatura alcuna,e,anzi, con con taglio simil – chirurgico, i tormenti della protagonista, moglie di uno dei vigili del fuoco, che nell’ormai lontano 1986, giunto quale volontario,con altri colleghi, alla centrale,privo di protezione anche minima, era stato colpito dalle terribili radiazioni generate dallo scoppio del quarto reattore centrale, con conseguenze inenarrabili con parole umane, essendo da allora implosa la nostra possibilità di affidarci alle percezioni sensoriali.

La tremenda catastrofe nucleare,con gli accadimenti e le storie connesse a quel ferale del 26 Aprile 1986, per troppo tempo rimasta sepolta, anche dopo il crollo dell’Unione Sovietica conseguente alla caduta del muro del 1989,e di quella monade comunista,già comunque, all’epoca dei fatti, sul viale del tramonto,di recente, grazie anche all’eccellente mini serie televisiva della Hbo,dedicata, è assurta a maggiore visibilità…..anche se non è riuscita ancora,forse a raggiungere la coscienza della maggioranza degli abitanti del pianeta. I fatti sono narrati dalla Grande Storia,restando in sordina le esistenze,trattate quale mero effetto collaterale,semplici sfumature.

Allo spettacolo in parola, dunque, anche questo compito di maggiore divulgazione, non dei fatti in sé, quanto delle loro refluenze sconvolgenti sulla vita di ciascuno,perché nessuno possa più ignorare quanto scaturente da quanto tragicamente occorso in quel di Cernobyl,e le enormi proporzioni di quel disastro.

Ciò detto, la piece non tratta, se non in via mediata, la tematica generale, mettendo il focus su una vicenda individuale, con valenza di certo simbolica e esemplare …..E ci restituisce con anestetizzata precisione ciò che nessun filtro potrebbe stemperare, i tormenti e le traversie della giovane Lusia, in stato avanzato di gestazione, che non può fare altro, per l’immenso legame coniugale, se non restare accanto a quel che resta del proprio marito per i terribili 14 giorni di pseudo vita che il decorso della contaminazione nucleare concede….E mentre le infermiere incredule “la coprono”, permettendole di passare la notte accanto al martoriato consorte, all’insaputa dei medici (non senza avvisarla delle scontate ripercussioni sulla creatura che dovrà nascere) la caparbia, amorevole protagonista persegue e porta a compimento il suo volere,costi quel che costi.

Il corpo dell’Eroe – gli inumani avanzi, anzi, del valente servitore dello Stato Sovietico,in asservimento alle crudeli regole di quel cieco Potere, che comporta il diritto di appropriarsene,seppelliti sotto strati diversi di materiali – le sarà sottratto, la sua bambina morirà quasi subito, orrendamente contaminata e, per non perdere completamente la ragione, la giovane donna, “scampata”personalmente agli effetti radioattivi, assorbiti interamente dal feto, si prenderà cura di un altro essere, che sceglierà scientemente di mettere al mondo, sano nonostante tutto.

Una sorta di piccola, infinitesimale fiammella può e deve residuare, dunque…questo il messaggio.

Il libro citato “non parla di Cernobyl in quanto tale, ma del suo mondo. Proprio di ciò che conosciamo meno.”, per dirla con l’Autrice, e infatti reca nell’intitolazione “Cronaca del futuro”, trattando di una storia mancata, di un enigma indecifrabile, con il compito di svelamento del mistero rimasto nel pregresso intatto e consegnato al XXI secolo, per ricostruire i sentimenti che si pongono oltre gli avvenimenti di Cernobyl, e involgono gli atteggiamenti umani nei confronti del mondo, scatenati dalla tragedia immane della piccola Belarius.

La Scrittrice, che per tre anni aveva raccolto le storie di vita e di morte, si è dichiarata “parte del popolo di Cernobyl”, per cui tra voce narrante e oggetto della narrazione non intercorre alcuna distanza e il testo raggiunge il cuore e le coscienze dei lettori, in un vortice emotivo inarrestabile.

Così la piece, che rimanda a un tempo e ad uno spazio, rispettivamente, non più declinabile al futuro, e che non concede zone franche.

Non sono importanti le versioni ufficiali (inaffidabili) e le interpretazioni politiche, quanto porsi in religioso ascolto di una di quelle storie di sopportazione silenziosa, per comprendere finalmente che “quelli di Cernobyl” siamo tutti noi , non solo bielorussi, ucraini o russi,ciascuno, non dunque spettatore tout court dei fatti del laboratorio degli orrori , per comprendere empaticamente dal di dentro come siano riuscite ad andare avanti quelle esistenze dopo il disastro, ben oltre qualsivoglia narrazione fantascientifica e distopica.

Questo il senso …. la ricerca di un senso di chi ha scelto di non farsi travolgere dal caos del terrore, e affondare con esso e in esso, cosa che sarebbe più disumana della sofferenza e della stessa morte….e per questo la rappresentazione parla di amore, per protesta contro il male e l’enormità delle sue conseguenze.

Noi astanti siamo riusciti ad andare al di là di quel “magazzino degli orrori” e, mentre la dolce ma decisa e forte moglie ci narrava, per bocca della stupefacente interprete, la morte del Suo amato, abbiamo inteso come non sia giusto morire così e siamo stati testimoni attivi di quel racconto scevro di ogni incrostazione emotiva,consapevoli,con lei,di come la sua salvezza possa essere stata attribuibile all’assenza di tempo per fermarsi a pensare.

La voce della Musy ci ha sapientemente descritto non un equilibrio mirabile universale, ma il suo contrario, ciò che di irreparabile è accaduto, senza colpa alcuna di chi ha dovuto subire, in quella terra di nessuno, ove l’uomo di Lusia si è trasformato per gli altri in un oggetto radioattivo solamente.

La scenografia non poteva che essere spoglia, solo due sedie, coperte da drappi neri, a significare quell’orrore.

Corroboranti ma discrete in uno,le sonorità di Mario Cosottini ; l’uso valente delle luci di scena,sovente di calda tonalità,ha poi costituito contraltare alla agghiacciante materia trattata.

Amore e morte, indissolubilmente avvinti, dunque, e sullo smarrimento ha riportato vittoria infine la sublimazione di quella disfatta, attraverso la forza dei sentimenti, che vanno oltre la quotidianità senza futuro.

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