Padre Ettore: "La nostra Casa comune deve essere costruita sulla roccia"

Padre Ettore: “La nostra Casa comune deve essere costruita sulla roccia”

Padre Ettore: “La nostra Casa comune deve essere costruita sulla roccia”

mercoledì 26 Dicembre 2012 - 12:41

La lettera di padre Ettore ai fedeli della parrocchia di San Giacomo questo mese si sofferma sul ruolo della Famiglia e della Chiesa in quanto "Casa"

Carissimi,

mentre il tempo di Avvento ci sprona a vivere in vigilanza operosa nell’attesa della venuta del Signore, il focus dell’attenzione della nostra chiesa locale a seguito della Lettera pastorale dell’arcivescovo per il 2012-2013 “In qualunque casa …” alleanze educative, ci invita a una riflessione personale e comunitaria sulle tematiche familiari, collegandole all’anno della fede.

Mi fa piacere che il contenuto della Lettera pastorale (scaricabile da internet) sia stato incanalato sul binario della famiglia, perché “casa” e “famiglia” sono due temi che si richiamano a vicenda, a tal punto da confondersi. In spagnolo “casarse” significa “sposarsi” e noi usiamo l’espressione “metter su casa” come sinonimo di “ fare famiglia”.

Al di là delle nostre case (più o meno grandi, belle, accoglienti…), tutti abbiamo una casa (=famiglia) comune: la Chiesa. Quando il vangelo descrive la “casa”, la prima cosa che raccomanda è di costruirla sulla roccia, cioè su Gesù (cfr. Mt 7, 24-27). Sorge subito spontanea la domanda: fino a che punto la Chiesa sulla terra, lungo il corso della storia, è la casa costruita sulla roccia? Tante volte emerge chiaramente che la nostra casa comune poggia sulla sabbia, perché non mettiamo in pratica le parole di Gesù (cfr. Mt 7,26). Se dovessimo trasferire questo scarto fra la teoria e la prassi (o meglio fra il dire e il fare) a livello sponsale, dovremmo fare ricorso alla smentita della metafora nuziale di cui parla il Cantico dei cantici: “Il mio amato è mio e io sono sua” (2, 16).

In effetti oggi si nota una carenza di fede da parte della sposa (la Chiesa, di cui facciamo parte e che ci appartiene) nei confronti dello sposo (Gesù Cristo), mentre si dilata vieppiù la portata della fiducia negli uomini di Chiesa. Non sto rispolverando il fatale dilemma: “Cristo sì, Chiesa no”, ma vorrei far presente che il fondamento radicale della nostra fede non ha per oggetto la Chiesa, ma il Cristo, che è più grande di essa, ed è l’unico nome che ci è stato dato sotto il cielo, per mezzo del quale ci possiamo salvare (Atti 4,12).

Per chiarire meglio questo passaggio, faccio riferimento al Commento al Vangelo di Giovanni di S. Agostino, nel quale spiegando il versetto 29 del cap. 6 il vescovo di Ippona scrive: “Che crediate in lui: non che crediate a lui. Giacché, se credete in lui, credete a lui; ma invece, per il fatto di credere a lui, non ne consegue senz’altro che si crede in lui […] E così pure, allo stesso modo, possiamo dire riguardo ai suoi apostoli: crediamo a Paolo, ma non possiamo dire: crediamo in Paolo. Possiamo dire: crediamo a Pietro, ma non possiamo dire crediamo in Pietro […] Che cos’è dunque, credere in lui? Amare credendo, voler bene credendo, andare a lui credendo e incorporarsi alle sue membra […] Di quale fede si tratta, se non della fede che in un altro luogo definì l’apostolo dicendo: «non è la circoncisione che vale o la non circoncisione, ma la fede che si rende operosa per mezzo della carità» (Gal 5,6)”.

Come vedete da questa lunga citazione, vi è una differenza non solo verbale fra “credere in” e “credere a”. Oggi la Chiesa, la sposa, ha quindi il compito di credere in Gesù e far trasparire sempre più questa fede, in modo tale che ogni uomo possa far riferimento allo sposo, colui che ha acceso e alimenta la fiamma viva dell’amore divino attraverso il dono supremo di sé. Fuori da questo approccio oblativo diventa impossibile cogliere la vita coniugale, familiare, ecclesiale, presbiterale….e se addirittura avviene il contrario (prevaricazioni, strumentalizzazioni, sotterfugi, trabocchetti, ipocrisie…) si parla di inferno sulla terra…

La mediazione ecclesiale deve valutare come “conditio sine qua non” l’atteggiamento di umiltà nell’accogliere i fratelli che desiderano percorrere insieme la strada della carità. Il cammino che si profila deve essere praticabile e credibile: non può non partire dalla realtà dell’uomo, immerso nelle varie vicende storiche, per lasciar intravedere l’immagine tenera e sconvolgente di Dio che si fa uomo in una stalla…

Auguri vivissimi di un Natale colmo della luce del Signore. P. Ettore

3 commenti

  1. Padre Ettore, ma la chiesa di oggi, segue gli insegnamenti del Cristo?

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  2. Angelo Silipigni 26 Dicembre 2012 23:31

    Padre Ettore lei è un uomo che crede. Si rende peró conto che fra lettere pastorali, case sulla roccia, riferimenti a versetti vari, mediazioni ecclesiali e circoncisioni, siamo fuori dalla realtà?
    L’uomo per sua natura vive di prevaricazioni, sotterfugi, trabocchetti e ipocrisie. Forse non è stato fatto a immagine e somiglianza di Dio?
    Dove vive lei? La sua comunità è fatta di baciapile, vecchi che oramai temono la morte, ruffiani e bimbi di passaggio in odore di comunione? Il vero dilemma forse è : ” Chiesa no, Cristo boh?”.
    L’uomo caino per sua natura persegue interessi personali. Il professionista è vanaglorioso. Il politico ( specialmente il messinese) è ladro ed imbroglione. Il medico è professore. Il mafioso è benefattore. L’ignorante ha bisogno della pancia piena. L’impiegato pubblico (specialmente il messinese) è furbacchione.
    Io sono egoista e penso al futuro dei miei figli.
    Dove stiamo andando?
    Se la Chiesa è la Casa di tutti, cominci a tenere aperte le porte della sua chiesa notte e giorno; puó essere rifugio per qualche anima o per qualche disperato.
    Nei suoi sermoni, se vuole che siano interessanti, punti il dito. Chi vuole che la quereli, di cosa ha paura lei, cosa ha da perdere?
    Io, dal canto mio, cercheró di fare del mio meglio. Ma la natura è quella di un peccatore…
    Non me ne voglia, padre Ettore. Lei è un brav’uomo.

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  3. Ma il vero problema di oggi è che si diffonde soltanto un messaggio che rimane sul vago. Si, è giusto dire che dobbiamo fondare la nostra casa sulla roccia(Gesù), ma prima l’uomo ha bisogno di fare pace con Dio, deve passare dalla condizione di non salvato a quella di salvato(vedi colloquio di Gesù con Nicodemo al cap. 3 del Vangelo di Giovanni sulla ”nuova nascita”).
    Bisogna ravvedersi,riconoscersi peccatore e cambiare vita.
    Dio ci perdona per il sacrificio di Cristo, morire al mondo e al peccato e cosi la nostra vita va fondata ogni giorno sulla ”ROCCIA”(Gesù).

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