Dacia Maraini ricorda i cari perduti nel suo ultimo libro, La grande festa

Dacia Maraini ricorda i cari perduti nel suo ultimo libro, La grande festa

Laura Giacobbe

Dacia Maraini ricorda i cari perduti nel suo ultimo libro, La grande festa

lunedì 11 Novembre 2013 - 18:37

La straordinaria Dacia Maraini, scrittrice, drammaturga e sceneggiatrice italiana, affronta il tema dell'Aldilà nella sua ultima, avvincente opera, La grande festa, pubblicata per la prima volta nel 2011. Una lettura intensa e coinvolgente, attraverso cui l'autrice decide di condividere col pubblico qualcosa di intimo e personalissimo: il modo di vivere la perdita di una persona cara, di conservarne il ricordo e di onorarne la memoria.

Accade spesso, ad ognuno di noi, che il mezzo onirico si faccia canale per consentirci un incontro, anche brevissimo, con chi non c'è più. Svegliandoci al mattino, con un misto di tenerezza e stupore, rivediamo i visi dei nostri cari apparsici in sogno, le parole che ci hanno rivolto e cerchiamo di dar loro un ordine, un significato. Non sappiamo cosa si celi dietro questi sogni, se siano una semplice costruzione della nostra mente, nata dal desiderio inconscio di rivederli, o se invece siano davvero un mezzo attraverso cui il mondo dell'altrove prova a mettersi in contatto con noi, ad inviarci un qualche messaggio. Il linguaggio dei morti è sempre un po' criptico, l'ascolto disturbato, e forse è proprio il nostro timore per l'ignoto che ci costringe sempre a svegliarci sul più bello, interrompendo la comunicazione. La straordinaria Dacia Maraini, scrittrice, drammaturga e sceneggiatrice italiana, affronta il tema dell'Aldilà nella sua ultima, avvincente opera, La grande festa, pubblicata per la prima volta nel 2011. Una lettura intensa e coinvolgente, attraverso cui l'autrice decide di condividere col pubblico qualcosa di intimo e personalissimo: il modo di vivere la perdita di una persona cara, di conservarne il ricordo e di onorarne la memoria. Attraverso queste pagine, rivive alcuni significativi momenti della sua avventurosa esistenza, in compagnia di molti grandi amici e parenti ormai scomparsi. Ci racconta, poi, di come queste figure la accompagnino spesso nella dimensione del sogno e di come, oziosamente radunati in un dolce far nulla, si rivolgano a lei, con un linguaggio che la ha freschezza della quotidianità. -Mi fai un caffè?-, sentiamo chiedere al ricordo di Pasolini, in vita suo grande amico, mentre la guarda dalle rive di quel fiume di Abidjan, dove lo ritrova in compagnia di Alberto Moravia, compagno dell'autrice per molti anni. La descrizione del luogo in cui si trovano, ci fa immaginare un atmosfera rilassata, come quella dei pomeriggi d'estate. Un sole caldo ma non asfissiante, l'acqua che scorre lucida e calma, un vento leggero che accarezza i capelli e gli abiti. Non percepiamo angoscia nelle parole dell'autrice, che ci invita a non scervellarci troppo sulla natura di questi “incontri”, a non volere dar loro, a tutti i costi, una spiegazione razionale, ma a prenderli come delle semplici, piacevoli visite, che fa piacere ricevere di tanto in tanto. Il suo è un linguaggio preciso, ma misurato e mai brutale, anche quando descrive i momenti di grande sofferenza che hanno accompagnato talune di queste perdite, la malattia della sorella Yuki, la morte dell'ultimo compagno, Giuseppe Moretti, dopo una lunga agonia… ma la morte va metabolizzata, ci dice l'autrice che odia le sepolture occidentali, simili ad orribili, enormi cassettiere in cemento, ed ammira invece i riti funebri indiani, in cui il defunto, adagiato su una pira insieme a dell'incenso, o del legno di sandalo per profumare l'aria, diventa immediatamente parte del vento, del fiume, della terra. La sepoltura non è per lei il luogo adatto a ricordare il defunto, a curarne la memoria. La sepoltura incatena i vivi alla cura, improduttiva e sciocca, di un luogo inanimato, dove non si conserva altro che le periture spoglie di quelli che amiamo, destinate presto a deteriorarsi. Il ricordo invece si conserva vivido in noi, cresce e ci accompagna sempre. “ Il compito, dopo la morte di una persona amata, è quello di imparare a coabitare con il suo ricordo”. L'autrice si interroga anche sulla natura e sulle fattezze di questo “giardino dei pensieri lontani”, il luogo del riposo nel quale andremo a risiedere, quando lasceremo questo mondo. Nel farlo, lancia uno sguardo alle diverse culture, ai diversi modi di immaginare l'Aldilà nelle credenze giapponesi, piuttosto che in quelle africane o indiane, tutte descritte con il grande rispetto e la genuina curiosità di chi ama conoscere il mondo in ogni sua sfaccettatura. Qua e la appaiono riferimenti alle diverse teorie filosofiche, sviscerate con l'aiuto dell'amica filosofa Josepha, che accompagnano e arricchiscono la riflessione e ci fanno testimoni di una simpatica querelle, che smorza la serietà del tema. Chiarezza e delicatezza, nel descrivere le esperienze dolorose, sono perfettamente calibrate, dando prova della maestria dell'autrice nel trattare un tema tanto particolare. Un libro dall'intrinseca dualità che è, al tempo stesso, una serena riflessione sull'Aldilà ed una rievocazione, garbata ed affezionata, degli affetti perduti. Un libro capace di commuovere il lettore senza tuttavia turbarlo e di affascinarlo al punto da tenerlo avvinto fino all'ultima riga.

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