Storia dell’antindrangheta, come i calabresi non sono (e l’hanno dimostrato)

Storia dell’antindrangheta, come i calabresi non sono (e l’hanno dimostrato)

mario meliado

Storia dell’antindrangheta, come i calabresi non sono (e l’hanno dimostrato)

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mercoledì 01 Settembre 2021 - 06:45

Danilo Chirico traccia una preziosa ricostruzione d’iniziative e movimenti che si sono opposti alle ‘ndrine. Talvolta, aiutandole senza volerlo…

«Siamo un quarto della popolazione, siamo 32mila», spiega il ristoratore e presunto boss Antonio Raso in un’intercettazione dell’operazione Geenna che il 23 gennaio 2019 porta in cella 16 persone. Per ‘ndrangheta. In Valle d’Aosta…

Danilo Chirico, giornalista e scrittore, autore di "Storia dell'antindrangheta" per i tipi di Rubbettino
Danilo Chirico, autore di Storia dell’antindrangheta

Un «esempio imprevedibile» della calabresizzazione del resto del Paese, osserva il giornalista e scrittore Danilo Chirico nella sua preziosa Storia dell’antindrangheta, testo edito per i tipi di Rubbettino e fresco di numerose presentazioni in terra calabrese. Eppure, la legge dei grandi numeri – un calabrese ogni 4 valdostani – direbbe il contrario.

Con Raso, che avrebbe un «ruolo centrale» nell’organizzazione tentando di legarsi pure alla massoneria locale, tra gli arrestati pure il consigliere regionale Marco Sorbara – ex assessore comunale di Aosta, sarà assolto in appello – e il consigliere comunale aostano Nicola Prettico: sarebbe andato fino a San Luca per prender parte a un vertice del clan Nirta, di cui sarebbe stato un referente nella Vallée. Niente grolle, insomma; ma la dimostrazione che la realtà ha tante facce.

Proprio come l’antindrangheta; neologismo che Chirico vuol fortemente introdurre perché l’operazione lessicale è culturale e sostanziale al tempo stesso. Per la stessa ragione per cui chiamare n’drangheta la mafia più potente del mondo, dopo decenni, è molto più che sciatteria, ma dimostrazione di scarsa attenzione al fenomeno in sé, rileva l’autore.

Saggi e romanzi

Già nel 1869, ricorda Chirico, furono annullate le Comunali di Reggio Calabria i cui esiti sarebbero stati contaminati da una “setta di accoltellatori”. A cavallo tra la prima e la seconda metà del Novecento arrivano il primo romanzo mai scritto sulla ‘ndrangheta, La famiglia Montalbano di Saverio Montalto (sarà pubblicato trent’anni dopo), il primo mai pubblicato – La Marchesina di Saverio Strati –, il primo saggio sulle ‘ndrine, La mafia in Calabria di Sharo Gambino (1968).

Battaglie in erba

Dall’uccisione di Giuditta Levato alla strage di Melissa, il 1946 diventa un anno-spartiacque per lotte che sono per il lavoro ma, indirettamente, anche contro la criminalità organizzata.
Lo dimostrano le stesse ‘ndrine, quando dal 1964 in poi sparano “in prima persona” contro i manifestanti: interessi contrastanti. Troppo.

E il fil noir passa anche per gli anarchici “della Baracca” forse morti in un incidente o forse uccisi e per gli anarchici di Africo che si oppongono a Peppe Morabito “il Tiradritto”. Per la Rivolta di Reggio, che vari osservatori e magistrati ritengono in qualche modo “pilotata” dalle ‘ndrine. Per il Centro siderurgico di Gioia Tauro mai nato, ma che attraverso le acquisizioni dei terreni avrebbe fruttato alle ‘ndrine 23 miliardi.

Prime vittime. E prime reazioni

I clan continueranno a sparare: e dal ’76 in poi, saranno agguati veri e propri. Cadono Ciccio Vinci, Rocco Gatto, Giuseppe Valarioti, Giannino Losardo. Nel ’79, in diecimila si presentano alle esequie del boss “don Mommo” Piromalli: ma è anche per questo, spiega Chirico, che proprio a Gioia Tauro l’anno dopo nasce un Comitato antimafia.

Storia dell’antindrangheta, presentazione a Reggio

Il 29 ottobre 1982, in migliaia si riversano per le strade di Vibo Valentia per l’uccisione da parte della ‘ndrangheta di due bambini, Bartolo e Antonio Pesce.
Di lì in poi, il contrasto alle ‘ndrine – non sempre ricco di numeri – si rivelerà inarrestabile.

E Danilo Chirico mette in fila iniziative, nomi, numeri, protagonisti. E luoghi: Polistena, a Cosenza, a Cinquefrondi, a Isola Capo Rizzuto, a Locri…
Negli anni successivi, lo stesso spirito porterà i neoambientalisti a vincere la battaglia contro la Centrale a carbone di Gioia Tauro e spingerà un nucleo dell’Unical a creare il Centro di ricerca e di documentazione sul fenomeno mafioso.

Come pure infonderà la Chiesa “resistente” dei don Salvatore Tripodi e dei monsignor Giovanni Ferro, dei don Natale Bianchi e dei monsignor Giovanni Agostino, dei don Italo Calabrò, dei don Pino Demasi e dei don Giacomo Panizza. La stessa che il 30 novembre del ’75 scrive a chiare lettere che la ‘ndrangheta è una «disonorante piaga della società». E che in futuro partorirà un unicum come gli otto anni d’osmosi tra la Locride e il suo “pastore”, monsignor Giancarlo Maria Bregantini, fondatore di tante cooperative sociali. All’insegna di un concetto: la ‘ndrangheta si combatte anche e soprattutto creando lavoro onesto.

Vero è anche che la ‘ndrangheta non vuole saperne. E nell’85, con l’uccisione del potentissimo boss Paolo De Stefano, si apre la “seconda guerra di ‘ndrangheta” (la prima aveva avuto luogo fra il 1974 e il 1977) che mieterà oltre 700 vittime nel giro di un lustro.
Il 2 agosto del 1991 viene sciolto per mafia il Comune di Taurianova: è la prima applicazione di quello che prenderà il nome di “decreto Taurianova”. Una settimana dopo cade sotto i colpi dei sicari della ‘ndrangheta il magistrato di Cassazione Antonino Scopelliti.

La Marcia Reggio Calabria-Archi

I tempi sono maturi per il trasferimento della Marcia della pace Perugia-Assisi (giunta al suo trentennale) in Calabria: il 6 ottobre 1991 si svolgerà la Reggio Calabria-Archi. Sì, Archi: il quartiere dei De Stefano, il “covo” della ‘ndrangheta per antonomasia nella “Capitale” della ‘ndrangheta (che pure, tecnicamente, è giusto una frazione del Comune di Reggio).
Come evidenzia Danilo Chirico, la Marcia sarà l’archetipo dell’antimafia sociale in Calabria. Perché a Reggio Calabria, parole dello storico ambientalista Nuccio Barillà, «tra morti ammazzati, latitanti volontari, detenuti, ogni 60 famiglie una è direttamente colpita dalla guerra di mafia».

Alla “Marcia” reggina, in concreto dalle Omeca (oggi Hitachi) del quartiere Torrelupo fino appunto ad Archi, sono dedicate decine di pagine di Storia dell’antindrangheta. Per il suo carattere iconico, gli incontri preparatori, il supporto dalla politica e dal mondo associazionistico. Per l’incertezza sulla partecipazione, che poi vedrà snodarsi un corteo di migliaia di persone, forse 40mila addirittura.

Le contraddizioni però non mancano: tra quelle migliaia di manifestanti, in realtà i reggini non sono molti. E parecchio dice anche lo slogan ricordato dall’autore, “La mafia ha il volto delle Istituzioni”. Non è stato solo così, certo; ma è stato anche così.

E che dire dell’arrivo “spettrale” ad Archi? Per dirla con Chirico, «ai balconi non c’è più un clima di festa, ai bordi delle strade nessuno batte le mani». Epperò, le vedove della guerra di ‘ndrangheta si uniscono al corteo e Gino Paoli canta gratis per i ragazzi anticlan: «Sono qui perché la mafia è un’offesa alla mia umanità», dirà il cantautore genovese.

Antimafia sociale

Allo stesso modo, in 40mila pochi mesi dopo – nel gennaio del ’92 – saranno ai funerali del commissario Salvatore Aversa e della moglie Lucia Precenzano, a Lamezia Terme. Sempre nei primi anni Novanta germoglia l’Acipac: è la prima associazione antiracket della Calabria.

Gianni Speranza, sindaco-coraggio di Lamezia Terme

Reggio Calabria e proprio Lamezia avranno sindaci antimafia illuminati: Italo Falcomatà, Doris Lo Moro, Gianni Speranza.

E il 2 maggio 1993, la strada dell’antimafia sociale porta alla prima manifestazione “tutta reggina” anticlan: quella dell’associazione antimafia Riferimenti, per onorare con la poi classica gerbera gialla il decennale dall’uccisione di Gennaro Musella. Seguirà a Bovalino, dal 2003, la marcia per Lollò Cartisano, rapito nel 1993 (e ucciso, si seppe appunto dieci anni dopo). Dal 2008, l’incrocio con la Lunga marcia della memoria promossa dall’associazione daSud genererà un appuntamento comune, I sentieri della memoria.

In mezzo, il 21 marzo del ’98, la Giornata della memoria delle vittime di mafia promossa da Libera a Reggio Calabria. Il 19 ottobre 2005, quando alle esequie di Franco Fortugno – vicepresidente del Consiglio regionale assassinato 3 giorni prima – si vedono i “Ragazzi di Locri” diventati famosi per lo slogan E adesso ammazzateci tutti. A Polistena, nella Piana di Gioia Tauro, nel 2007 nuovo “21 marzo” di Libera con 30mila persone in piazza.

Dal 2008 al 2011 daSud in grande spolvero con la Lunga marcia della memoria, che nel 2009 vede oltre 200 “intitolazioni simboliche” di strade e piazze italiane alla memoria di vittime delle mafie.

La bomba alla Procura generale di Reggio

Il 3 gennaio 2010, a seguito della bomba esplosa davanti alla Procura generale presso la Corte d’appello di Reggio Calabria, nasce l’associazione Reggio non tace. Un mese dopo, la nascente Agenzia nazionale per i beni sequestrati e confiscati alle mafie avrà a Reggio la sua sede nazionale.
Ma il 26 agosto dello stesso anno, esplode un altro degli ordigni di quel 2010, stavolta sotto cassa del procuratore generale Salvatore Di Landro: ne nasce la manifestazione antidrangheta del 25 settembre voluta dal Quotidiano.

Il 24 giugno 2016, grazie anche alla vicepresidente nazionale di Avviso pubblico Maria Antonietta Sacco, la prima Marcia nazionale degli amministratori sotto tiro: anche in questo caso, si svolge a Polistena.

Testimoni di giustizia

Un’importanza del tutto particolare l’hanno e l’hanno avuta i testimoni di giustizia. Per esempio la famiglia Mazza o i fratelli Domenico e Giuseppe Verbaro. Troppo spesso, però, come in questi due casi, il loro coraggio ai limiti dell’eroismo è stato ripagato con l’abbandono e l’oblio.

Assai diversamente è andata con lo “chef legalitario” Filippo Cogliandro e con gli imprenditori Michele Luccisano e Tiberio Bentivoglio: una fortuna, sebbene tra alti e bassi.

Donne, bambini, magistrati

Teresa Cordopatri dei Capece

Che si tratti di Angela Casella “mamma coraggio” o di Teresa Cordopatri, spesso è proprio una presenza “rosa” a sovvertire il corso delle cose, fa presente Chirico. In anni successivi, accade – mirabilmente – anche in politica, con le prime cittadine Elisabetta Carullo (Stefanaconi), Maria Carmela Lanzetta (Monasterace), Carolina Girasole (Isola Capo Rizzuto), Annamaria Cardamone (Decollatura), Elisabetta Tripodi (Rosarno).
Ma non mancano protagoniste dell’antimafia più controversa: è il caso di Rosy Canale, dai fasti delle Donne di San Luca all’inchiesta sulle presunte “spese pazze” alla reazione anti-Procure con Adesso parlo io.

Pure per i magistrati scatta, talvolta, un afflato significativo. Per esempio, con le 5mila persone che nel 2007 a Cosenza scendono in piazza per Luigi de Magistris.
E l’enorme visibilità del procuratore distrettuale Nicola Gratteri (si ricorderà che Matteo Renzi lo voleva Guardasigilli) mette le ali a una certa antindrangheta. L’operazione “Rinascita-Scott” consacra la cosa, con circa mille manifestanti a Vibo Valentia, il 24 dicembre 2019, sostanzialmente per ringraziare gli inquirenti.

Lo stesso anno, nasce a Limbadi – il feudo del potente clan Mancuso – l’Università antimafia: dieci anni prima, era nato il ben più controverso Museo della ‘ndrangheta. E poi momenti-simbolo: Per esempio quando, nel 2012, il Comune di Reggio Calabria – sindaco, Demy Arena – è il primo Comune capoluogo di provincia sciolto per mafia in Italia.

Antindrangheta in crisi?

In coda, Danilo Chirico riflette anche sull’attuale crisi del movimento antindrangheta e dell’antimafia più in generale.

All’inizio degli anni Novanta, e comunque dopo le stragi di Capaci e via D’Amelio, l’antimafia “s’incarica” di condurre una grande battaglia culturale contro i clan e simultaneamente di rigenerare la politica post-Tangentopoli.

A Carlopoli con Maria Antonietta Sacco
vicepresidente di Avviso pubblico

Ora, «l’analisi dei processi è arretrata, il fronte è parcellizzato, le parole d’ordine datate, i riferimenti culturali logori, le relazioni con le Istituzioni spesso inopportune».

Complice l’assenza di omicidi a decine ogni mese come in passato, la cosa più assurda è che «nessuno tiene in considerazione il tema mafie», riflette l’autore. Nel senso che «lo ignora totalmente il Governo, non sembrano conoscerne l’esistenza i partiti, incredibilmente non esiste un vero dibattito nel movimento antimafia».
Nella stessa fase, magistrati d’enorme rilievo mediatico chiedono che non vengano più erogati fondi alle associazioni antimafia (Nicola Gratteri) o evidenziano «il rischio che l’antimafia si trasformi in un lavoro qualsiasi» (Raffaele Cantone).

A questo punto, l’antindrangheta è di fronte a una doppia sfida. Dimostrare d’essere assai più convincente e “popolare” delle ‘ndrine, ma al contempo di saper tenere lontani protagonismi e benaltrismi che l’allontanerebbero dall’obiettivo.

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