Travaglio al Vittorio Emanuele: quando lo Stato s'inginocchia alla mafia

Travaglio al Vittorio Emanuele: quando lo Stato s’inginocchia alla mafia

Rosaria Brancato

Travaglio al Vittorio Emanuele: quando lo Stato s’inginocchia alla mafia

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mercoledì 07 Maggio 2014 - 16:05

In scena al Vittorio Emanuele "E' Stato la mafia", lo spettacolo di Marco Travaglio sulla trattativa tra Stato e mafia. Un viaggio negli ultimi 20 anni di storia del nostro Paese, passando dalle stragi di Capaci e via D'Amelio, dal dopo tangentopoli alla Seconda Repubblica fondata sul papello, fino alle intercettazioni telefoniche tra Napolitano e Mancino. Ma accanto allo sdegno c'è l'altra politica, quella di Pertini e Calamandrei, di Pasolini e di Gaber.

E’ la storia degli ultimi 20 anni che ti passa davanti, senti gli schizzi di sangue, senti il fragore degli ordigni e le lacrime delle vedove, ma anche le urla di rabbia e di speranza. E’ la cronaca degli ultimi 20 anni che ti passa davanti, quella che i nostri figli dovrebbero studiare e che ancora noi non riusciamo a conoscere pur avendola vista passarci davanti ogni giorno, coperta, offuscata, taroccata da menzogne di Stato e di potere, dai silenzi complici, da omertà diffuse.

Due ore e mezzo di storia palpitante, attuale e che Marco Travaglio, con linearità e chiarezza, ironia e al tempo stesso brutalità, riesce a rendere reale sul palco, portandoti a vedere ora Borsellino che parla con la moglie sapendo di essere “già morto”, ora Nicola Mancino che tenta in ogni modo di cambiare la verità giudiziaria, ora Riina e Provenzano che decidono le sorti di politici e magistrati, ora Berlusconi che scende in campo. Tutti i protagonisti, piccoli e grandi, mediocri e statisti, di questi 20 anni di misteri e di stragi, iniziano a vivere sul palcoscenico del Vittorio Emanuele e ti raccontano la storia della trattativa tra Stato e mafia, così come è andata, senza fronzoli, senza bugie, senza segreti, quella storia che in troppi negano, arrivando a usare termini come “presunta trattativa”, quando su quel papello invece sono state scritte le sentenze di morte di giudici e poliziotti, di italiani qualunque rimasti schiacciati da uno Stato che si inginocchia alla mafia.

“E’ Stato la mafia” è questo, un viaggio nel tempo, dal 1992 ad oggi, un cammino che il vice direttore del Fatto Quotidiano, compie senza nascondere nulla e senza perdere di vista l’attualità. E’ Stato la mafia parte dalla fine, da quella trattativa che oggi si cerca di negare ed è un viaggio nel fango del nostro Paese. Uno spettacolo, quello che l’Euphonya Management ha portato al Vittorio Emanuele ieri che non ti lascia soste, respiro e che ti fa rivivere quei frammenti degli ultimi 20 anni che hanno cercato di nascondere sotto il tappeto. Dentro c’è tutto, le stragi di Capaci e via D’Amelio, le bombe di Milano e Roma, i vertici di Cosa nostra per decidere come mettere in ginocchio lo Stato e poi gli incontri tra chi in ginocchio c’è stato e si è piegato a tutto. Ci sono gli infedeli servitori dei Ros, c’è la mancata cattura di Provenzano, la cattura di Riina e il suo covo lasciato senza controlli per 15 giorni, c’è la trattativa in tutta la sua oscenità, con il papello, e le condizioni che la mafia detta e che lo Stato accetta, una per una, con il passare degli anni. Ci sono nomi che ricordiamo e nomi che abbiamo scordato, come il ministro Conso, eppure a lui si deve l’uscita dal 41 bis nel novembre ’93 di 334 mafiosi, ci sono figure di secondo piano che hanno eseguito,consapevolmente o inconsapevolmente, quel che la mafia dettava. Ci sono i Salvo, Lima, Andreotti, e Berlusconi salutato dalla mafia come “quello di Canale 5 che ci regalerà l’Italia insieme al nostro concittadino” e che quando “pensa solo a iddu”, cioè solo ai suoi guai giudiziari, deve essere “rimesso in riga”. C’è la trattativa con lo Stato del ’92, del ’93, via via fino ad oggi. Ci sono D’Alema, Dini, Amato, Prodi, Violante, Napolitano, Mannino, c’è la destra e la sinistra che hanno smantellato quanto era stato costruito. Gli ultimi capitoli riguardano la vicenda delle telefonate intercettate tra Nicola Mancino e Giorgio Napolitano, e il conflitto d’attribuzione sollevato dal Presidente della Repubblica.

Un grande Travaglio ha travolto il pubblico del Vittorio Emanuele, sin dalle prime sarcastiche battute: “Il ricavato dello spettacolo, escluse le spese, sarà devoluto alla famiglia di Genovese” per poi passare tra passato e presente, tra la trattativa e Berlusconi ai servizi sociali, tra i mafiosi che lasciano il 41 bis e la trattativa stadio-Stato… Tra applausi e risate amare, tra indignazione e tristezza il palcoscenico si è animato anche delle parole della politica altra, grazie alla straordinaria bravura dell’attrice Valentina Lodovini che ha portato in scena brani di Gaber, Pasolini, Calamandrei, Pertini, accompagnata dalla musica dal vivo di Valentino Corvino, che ha saputo portarci a spasso nei tempi dell’anima. Regia Stefania De Santis.

Fortissimo il contrasto tra la sporcizia delle varie fasi della trattativa e i brani di luce della politica buona. Fa impressione, pensando agli sprechi della casta, ascoltare Pertini: “Non accetterò mai di diventare il complice di coloro che stanno affossando la democrazia in una valanga di corruzione. Non c’è ragione al mondo che giustifichi la copertura di un disonesto, anche se deputato. Lo scandalo più intollerabile sarebbe quello di soffocare lo scandalo. L’opinione pubblica non lo tollererebbe. Io, neppure. Ho già detto alla mia Carla: tieni pronte le valigie, potrei piantare tutto… Nel mio partito mi accusano di non avere souplesse. Dicono che un partito moderno si deve ‘adeguare’. Se adeguarsi vuol dire rubare, io non mi adeguo.”. Amara l’immagine della “sua Carla” che va a fare la spesa senza auto blu , perché ci riporta alla mente altre immagini, come la Finocchiaro che va all’Ikea con la scorta che spinge il carrello o la Polverini contromano per andare a comprare le scarpe.

C’è Piero Calamandrei che ci ricorda che dietro ogni articolo della Costituzione ci sono Mazzini, Garibaldi, Cavour Beccaria ma anche migliaia di italiani morti, torturati per un ideale. “Questa non è una carta morta, questo è un testamento di centomila morti. Se volete andare in pellegrinaggio nel luogo dove è nata la nostra Costituzione, andate nelle montagne dove caddero i partigiani, nelle carceri dove furono imprigionati, nei campi dove furono impiccati. Dovunque è morto un italiano per riscattare la libertà e la dignità, andate lì, o giovani, col pensiero perché lì è nata la nostra costituzione”.

E’ Stato la mafia ci ricorda perché fa ancora battere il cuore sentirsi italiani nonostante lo schifo, lo sdegno, la rabbia. Travaglio lascia alla Lodovini il compito di farci volare e a lui quello di squarciare il velo sulle vergogne e poi sorride: “Il Parlamento è anche tuo, aiutaci a tenerlo pulito”.

Rosaria Brancato

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