“Cerchio d’oro” potrebbe chiudere: l’appello di una delle pazienti

E’ di certo una delle poche strutture funzionali e funzionanti in Sicilia. Raccoglie persone affette da disturbi del comportamento alimentare e con i suoi locali accoglienti e il personale specializzato è stato in grado di ricreare un luogo protetto e accogliente per i pazienti e i familiari che ne supportano il percorso di guarigione. Ha instillato e poi incrementato la fiducia nella guarigione. Ha tracciato sentieri attentamente monitorati da un’equipe di medici a contatto, giorno dopo giorno, con patologie oscure come anoressia, bulimia, alimentazione incontrollata.

Si tratta del “Cerchio d’Oro” di via Sant’Elia, della ASP di Messina, assurto di recente agli onori della cronaca non più per gli encomiabili risultati raggiunti dai percorsi terapeutici tracciati dai suoi medici o per quelle “sinergie psico-nutrizionali” elaborate individualmente allo scopo di trascinare fuori da un tunnel di sofferenze quanti vi sono inciampati dentro, bensì per il suo prossimo ridimensionamento che potrebbe segnare la trasformazione del volto del “Cerchio d’Oro”, decretando la nascita di un nuovo, meno potenziato, ambulatorio.

Il grido d’aiuto è lanciato proprio da una ragazza che, del sostegno di quella struttura e del personale altamente qualificato che ivi esercita, si è avvalsa, per riscoprire “la gioia di sentirsi vivi tra vivi” – come la stessa ha affermato ponendo alla ribalta una questione che dovrebbe richiamare l’attenzione di quanti si occupino della tutela della salute dei cittadini.

Pur ammettendo di essere estranea a qualsiasi competenza di carattere politico-amministrativo e di non essere in possesso degli elementi necessari a comprendere le reali motivazioni della decisione presa dai vertici della dirigenza, la giovane, tuttavia, reclama con forza che maggiore considerazione nei confronti dell’intervento rimodulatore di prossima esecuzione.

Poco tecnicismo, nessun riferimento alle logiche procedurali che spesso guidano le scelte gestionali calate dall’alto ma una grande emotività quella che guida l’appello dell’utente della struttura. Una sensazione quasi di defraudazione che intride le parole accorate e che la spinge ad invocare la riflessione collettiva.

Non si cerca di affibbiare colpe o di emettere sentenze, non trapela alcun rimprovero né riprovazione, solo la richiesta, semplice, di mutare prospettiva, di mettersi nei panni, curiosando e documentandosi sul fenomeno, di chi, con questa chiusura battenti, dovrà suo malgrado fare i conti, in maniera diretta, rinunciando giocoforza a una delle stampelle di sostegno nel lungo cammino di lotta e sconfitta di mali ancora in gran parte oscuri. (Sara Faraci)