"Alla meta" di Thomas Bernhard ovvero l'essenza del Teatro

“Alla meta” di Thomas Bernhard ovvero l’essenza del Teatro

Gigi Giacobbe

“Alla meta” di Thomas Bernhard ovvero l’essenza del Teatro

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sabato 09 Marzo 2013 - 23:47

Successo per lo spettacolo messo in scena da Walter Pagliaro al Teatro Musco di Catania. Una grande Micaela Esdra nel ruolo principale d'una madre logorroica in scena sino al 10 marzo

E’ incredibile come Micaela Esdra protagonista di “Alla Meta” (1981) di Thomas Bernhard (traduzione di Eugenio Bernardi) riesca a profferire verbo ininterrottamente per oltre tre ore nei due tempi di questa pièce messa in scena con grande rigore da Walter Pagliaro al Teatro Musco di Catania. Parla la bravissima Esdra su una calda scena, composta da tendaggi crema e bordeaux (quella di Sebastiana Di Gesù) sprofondata su una vecchia comoda poltrona di velluto color rosa-antico, sorbendo bicchierini di liquore e fumando con gusto qualche sigaretta. Parla logorroicamente avvolta da un’ampia palandrana rossa con revers di pelliccia, come se riavvolgesse all’indietro la sua pellicola di donna, proveniente da una famiglia circense, sposata poi senza amore, forse per curiosità, ad un ricco industriale padrone d’una florida fonderia, dal quale ha avuto due figli: un maschio morto prematuramente e una femmina che le sta sempre accanto, rigida, obesa e ritardata, che si esprime quasi come un automa ( Rita Abela). Adesso è lì sproloquiante con i suoi capelli chiazzati di bianco e col suo immancabile bastone nero dall’impugnatura dorata, pronta a rivangare i momenti più salienti della sua vita, del suo status di vedova dopo la morte del marito e della sua condizione di madre che rivaleggia quasi impalpabilmente con una figlia che cerca di dominare in vari modi: facendole levare e mettere in vari bauli e valige una quantità enorme di abiti, obbligandola a servirle del tè e a farla inginocchiare davanti a sé come se fosse una regina. Emulando lo stesso Bernhard anche lei ama disquisire su “La brocca rotta” di Kleist. Bernhard addirittura la considerava la migliore commedia della letteratura. Per quella scena in particolare in cui Frau Marthe avanza verso il proscenio e mostrando quello che resta del famoso vaso di coccio di sua proprietà, ricorda che se anche luce sarà fatta e si verrà a sapere chi ha rotto la bella brocca, questa rimarrà rotta e le belle immagini che vi erano dipinte sopra non esisteranno più. Adesso fremono madre e figlia, pronte ad andare in vacanza nella loro casa al mare come hanno fatto per tanti anni. Con la differenza questa volta che non partiranno da sole ma in compagnia d’uno scrittore di teatro (Giovanni Scacchetti) conosciuto da poco, che giungerà dal fondo della sala e che ha avuto un grande successo con un suo lavoro rappresentato in città, provocatorio come le commedie di Bernhard, maliziosamente intitolato “Si salvi chi può”. Più che la madre è la figlia a mostrare verso di lui un grande interesse misto ad uno sperticato entusiasmo. La madre invece che dialogherà con lui, si fa per dire, perché è sempre lei a tenere il pallino anche nel secondo tempo, quando già sono nella casa al mare dalle fogge circolari, forse una torre forse un labirinto, da cui si odono talvolta i saliscendi della risacca, cerca di rivaleggiare con il drammaturgo confutandogli ogni certezza teatrale e di vita. Gli scrittori all’inizio partono con l’idea di cambiare il mondo, poi si accorgono che è impossibile e continuano a vivacchiare sulle proprie ceneri. Se “è già stato dipinto tutto, è già stato scritto tutto, c’è già tutto” e “ noi ripetiamo quello che già c’è, a nostro modo, mettiamo addosso alla realtà esistente la nostra giacca, e andiamo per strada così, e così rappresentiamo qualcosa di nuovo” – dirà il drammaturgo – “noi non facciamo altro che riscriverlo sotto forme diverse (…), facciamo solo domande senza avere mai risposte”. Il pensiero d’uno scrittore come lui che è arrivato al successo, “alla meta” non può soltanto meditare senza far nulla, stando a guardare. Ma è anche vero che il teatro non sempre ci propina le stesse cose viste e riviste mille volte, tanto che la figlia dirà: “No no c’è sempre qualcosa di nuovo, di completamente nuovo, se abbiamo la volontà di vederlo, se vogliamo vedere il nuovo”. “Il pensiero d’uno scrittore di teatro” – concluderà la madre – dovrebbe essere quello di far saltare il mondo intero e tutto il palazzo reale”. E lo spettacolo si chiude con Micaela Esdra che tiene in mano un abito da clown, forse appartenuto al nonno, facendolo danzare con le note del “Bolero” di Ravel. Nelle tre figure di “Alla meta” c’è il pensiero lucido e spietato di Bernhard, di questo scrittore austriaco scomparso nel 1989, apparentemente irrispettoso e provocatorio, in verità solo ancorato ad una civiltà in cui il teatro ha una profonda importanza. Con Bernhard ci allontaniamo dai silenzi di Beckett e ci avviciniamo al cinismo farsesco e grottesco di Dürrenmatt o ai misteri di Kafka secondo il quale i suoi personaggi, colpiti improvvisamente da colpe apparentemente sconosciute, subiscono il giudizio di forze oscure venendo esclusi da un’esistenza libera e felice.- Gigi Giacobbe

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