Stagione Sala Laudamo. Da domani in scena “Supplici a Portopalo”

Stagione Sala Laudamo. Da domani in scena “Supplici a Portopalo”

Stagione Sala Laudamo. Da domani in scena “Supplici a Portopalo”

martedì 01 Marzo 2011 - 07:20

Vincenzo Pirrotta è l'interprete dello spettacolo in cui Monica Centanni fa rivivere un dramma di estrema attualità. Regia di Gabriele Vacis

L’abbiamo visto e apprezzato nello spettacolo inaugurale della stagione di -Paradosso sull’Autore, -La ballata delle balàte-, adesso Vincenzo Pirrotta apre un altro cartellone, chiamato -Auctoritas-, sempre curato da Dario Tomasello e sempre nella Sala Laudamo. Lo spettacolo è -Supplici a Portopalo-, che Monica Centanni ha tratto da Eschilo, copn la regia di Gabriele Vacis, in scena il 2 marzo per due repliche (ore 17,30 e 21).

Il sottotitolo è quanto mai esplicativo dell’argomento, attualissimo, di questa produzione: -Dalla tragedia di Eschilo alle parole dei rifugiati-. Lo spiega molto bene la Centanni, docente alla Università IUAV di Venezia e studiosa di letteratura greca e tradizione classica: -Eschilo compone le Supplici intorno al 460 a.C.: il racconto inizia con uno sbarco, lo sbarco di un gruppo di migranti in fuga dal proprio paese, l’Egitto, giunti a chiedere asilo in Grecia al re della città, e si conclude con la decisione dell’intera città greca di accogliere gli esuli come ‘astóxenoi’ (stranieri e insieme nuovi cittadini), in nome dei diritti sacri dell’ospitalità. Portopalo è una città di frontiera sulla punta estrema della Sicilia, un piccolo paese che vive in prima linea la realtà degli sbarchi e il problema dell’accoglienza, un paese in cui una piccola comunità di pescatori e di contadini è costretta a misurarsi con una legislazione ambigua, a fare i conti con norme restrittive e violente che non fanno parte del codice tradizionale delle genti di mare. Portopalo è lo scenario in cui le parole antiche di Eschilo e i racconti dei migranti del nostro tempo acquistano una nuova vitalità. Il testo di Eschilo si intreccia e si confonde con le tragiche testimonianze dei migranti che esuli dai loro paesi, in fuga dalla guerra, dalla fame e dalla carestia, dopo viaggi estenuanti per terra e per mare giungono sulle coste del nostro Mediterraneo, a chiedere asilo, a cercare una nuova patria. Così il racconto teatrale si fa orazione civile e riflessione collettiva. Il teatro recupera in questo modo la funzione originaria che aveva nell’Atene del V secolo a.C.-.

In questi giorni, l’arrivo a Lampedusa di migliaia di rifugiati in fuga da difficili situazioni politiche e alla ricerca di una stabilità esistenziale che nel loro territorio attualmente non possono trovare, rende ancora più rilevante il ruolo di uno spettacolo che punta sulla stretta attualità per riscoprire i valori più antichi e più sacri dell’umanità.

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