Delillo con “Punto Omega” inchioda il lettore alla pagina

Delillo con “Punto Omega” inchioda il lettore alla pagina

Delillo con “Punto Omega” inchioda il lettore alla pagina

giovedì 16 Settembre 2010 - 23:30

Quando Richard Elster decise di confinarsi nello sperduto deserto californiano lo fece con la consapevolezza di allontanarsi da tutto e tutti, tranne da chi voleva davvero al suo fianco. Ma non per poterci parlare, solo perché voleva scegliere con cura la sua personale platea. Professore per molti anni, Elster non era abituato ad ascoltare. Dopo aver scritto un saggio venne arruolato dal Pentagono in qualità di Teorico della Difesa affinché elaborasse nuovi concetti, un nuovo linguaggio che rendesse accettabile al popolo americano l’invasione dell’Iraq, di cui Elster era tuttora un fermo sostenitore. «La guerra crea un mondo chiuso, e non soltanto per quelli che combattono ma anche per quelli che tramano, gli strateghi. Solo che la loro guerra è fatta di acronimi, proiezioni, contingenze, metodologie […] La loro guerra è astratta. Pensano di mandare l’esercito in un posto che si trova sulla cartina». Basta questa frase per capire che Don Delillo con Punto Omega (Einaudi, pp. 124, € 18.50, trad. di Federica Aceto) è ritornato grintosamente in pista, con una prosa asciutta ma densa di significati.

Proprio il ruolo di Elster attira il giovane cineasta Jim Finley che vorrebbe realizzare un film su di lui: «Niente poltrona imbottita, né luci soffuse e librerie sullo sfondo, solo un uomo e una parte. L’uomo sta in piedi e racconta tutta la sua esperienza. Quell’uomo è lei». E quando Elster, dubbioso e conscio della trappola tesa («tu vuoi riprendere il crollo di un uomo»), domanda quanto dovrebbe durare questo film girato interamente in primo piano sul suo viso, Finley replica che Aleksandr Sokurov aveva girato Arca Russa come un unico piano sequenza con migliaia di attori, senza tagli, per la durata di novantanove minuti. «Ma lui si chiamava Aleksandr Sokurov. Tu ti chiami Jim Finley». A dir poco spiazzante. Elster, settantatrenne, rifiuta il progetto ma poi invita il giovane cineasta a raggiungerlo nel deserto. «Due giorni, pensai. Al massimo tre» ma ne passeranno molti di più. Silenziosamente il progetto cinematografico passa in secondo piano poiché fra i due nasce un rapporto personale, sotto un cielo stellato che, una volta spente le luci della casa, poter inghiottire ogni cosa.

Elster racconta dei suoi due matrimoni e della pazzia delle sue mogli, dei suoi due figli, «Disastro e Sfacelo», della sua personale concezione del tempo («Le città sono state costruite per misurare il tempo, per togliere il tempo dalla natura. C’è un eterno conto alla rovescia») e di quel Punto Omega teorizzato dallo scienziato gesuita francese Pierre Teilhard de Chardin che Elster rielabora a modo suo, in maniera parossistica: «Dobbiamo essere umani per sempre? La coscienza è esaurita. Ora si ritorna alla materia inorganica. E’ questo che vogliamo. Vogliamo essere pietre in un campo».

Un copione che sembra scritto e che potrebbe veleggiare con un misto di malinconica amarezza verso l’ultima pagina – soprattutto per via della comparsa fugace della figlia Jennie – ma Delillo ha costruito Punto Omega come un movimento in tre atti, che si apre e si chiude con due “Anonimato” dove i tempi narrativi cambiano in ossequio alla video installazione di Douglas Gordon, 24 Hour Psycho in cui il capolavoro di Hitchcock viene proiettato frame dopo frame, velocità che consente all’occhi umano di cogliere attimo dopo attimo il tempo che passa. E che corre, inesorabile, verso la fine.

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