«Per Primo Levi la democrazia non era una fede ma una tecnica»

«Per Primo Levi la democrazia non era una fede ma una tecnica»

«Per Primo Levi la democrazia non era una fede ma una tecnica»

mercoledì 10 Marzo 2010 - 11:12

Un viaggio per non dimenticare: “La strada di Levi”, dvd+libro a cura Davide Ferrario, Marco Belpoliti e Andrea Cortellessa.

Sono serviti due anni e mezzo di lavoro per ripercorrere quel lungo ed estenuante viaggio che Primo Levi dovette compiere per tornare a casa, per giungere da Auschwitz alla sua Torino. Proprio quell’esperienza fu alla base del capolavoro La Tregua e oggi, a distanza di sessant’anni, abbiamo tutti la possibilità di riviverlo nella sua drammatica contemporaneità grazie al cofanetto “La strada di Levi – Da una tregua all’altra” (Chiarelettere editore; libro+dvd: pp. 273 – 90 minuti; € ). Il noto regista Davide Ferrario ci spiega la forza di questo progetto: «Doveva essere un libro di note curato da Marco Belpoliti ma poi ci siamo resi conto del valore che avrebbe avuto ripercorrere quei luoghi guidati dalle parole di Levi. Volevamo dimostrare cosa fosse cambiato dopo la caduta del Muro ma ci siamo trovati dinnanzi ad un mondo, quello dell’Ex Unione Sovietica, che è rimasto in parte immutato, a dispetto della modernità». Accompagnati dalle parole di Levi e spesso da suggestive musiche, Ferrario ci porta in un luogo sospeso nel tempo, fra memoria e attualità, non solo per rammentare ma per capire.

A sessant’anni esatti di distanza che senso ha ripercorrere la strada di Levi con i nostri occhi e le sue parole?

«Son passati 33 anni da quando venne compiuto quel viaggio e ripercorrerlo oggi è molto importante perché ci da modo di riflettere su cosa sia avvenuto in questi 60 anni di storia europea, evitando di considerare Levi solo dal punto di vista della testimonianza della Shoah, cercando di far rivivere le sue parole, le sue impressioni. La sua storia riguarda noi perché il tempo non si è fermato dopo la Seconda Guerra mondiale».

Tramite le immagini e le parole, lei sottolinea come in questi territori dell’ex-URSS sia evidente un legame fra uomo e terra che l’uomo occidentale sembra aver dimenticato

«Eravamo partiti con l’idea di scoprire cosa fosse cambiato dopo il crollo del Muro e la caduta del Comunismo. Al contrario abbia visto che ci sono larghe zone dell’Unione Sovietica in cui tutto è rimasto immutato, a dispetto della modernità. Lì si vive ancora all’insegna di uno stretto rapporto con il territorio che le nuove generazioni non conoscono affatto».

Perché questo viaggio è sia un libro che un film?

«In partenza Marco Belpoliti voleva compiere questo viaggio con in mano “La Tregua” e dalle note scritte sarebbe dovuto venir fuori un libro. Poi abbiamo pensato ad un film, questo per avere più visibilità e per raggiungere anche un pubblico più variegato. Rosi ha tratto un film dal libro di Levi ma certo non si può dire che fosse un gioiello, nemmeno usare un attore bravissimo come John Turturro ti può mettere al sicuro dall’effetto boomerang. Il punto di forza di questo progetto è l’idea di usare le parole di Levi associandole ad immagini contemporanee».

Come cambia il suo lavoro fra documentari e lavoro di finzione?

«Personalmente non ci trovo una grande differenza. La mia idea di cinema non si scinde nettamente fra documentario e finzione. I miei documentari hanno sempre qualche elemento proprio della finzione. L’idea del cinema stessa, l’idea di inquadrare qualcosa anche banale, la trasforma in una storia da raccontare».

Spesso, nel film, le parole cedono il posto alla musica e questa ha sempre giocato un ruolo importante nei suoi lavori.

«Se consideriamo il cinema come un luogo non letterario, sospeso fra realtà e immaginazione, la musica acquista inevitabilmente grande importanza perché suggerisce ritmi e atmosfere senza dover ricorrere alla parola. Alla fine, quando si va al cinema, si vogliono ascoltare delle storie e provare delle emozioni e la musica ne è un veicolo straordinario».

Lei ha detto che per Levi la democrazia non fosse una fede ma una tecnica. Cosa intendeva?

«Da una parte sottolineo l’importanza di leggere oggi Levi non solo come un classico ma come un’analista della nostra società. Noi parliamo sempre di democrazia come fosse un grande valore ma in realtà è una macchina, uno strumento, qualcosa che regola i rapporti all’interno della società. La democrazia non è di per sé un bene, non può divenire un idolo, è solo un mezzo per convivere nel miglior modo possibile. E’ importante capire che non è possibile applicarla ovunque, soprattutto laddove dove non ci sono le condizioni per cui nasca e cresca in modo stabile. Levi era un chimico e sapeva che gli elementi reagiscono in modo diverso in relazione alle situazioni ambientali».

Nonostante tutto, c’è ancora qualcuno che parla di Negazionismo. Forse anche per questo andrebbero riscoperte le parole di Levi?

«Non bisognerebbe usare le parole come mezzi per scontrarsi ma come un mezzo di mediazione fra culture e modi di pensare diversi. Nonostante la sua terribile esperienza, Primo Levi ha sempre riflettuto sulle contraddizioni esistenti e non ha mai dato delle facili soluzioni. Solo se si ragiona insieme si può andare avanti».

Trailer: http://www.chiarelettere.it/gw/producer/producer.aspx?t=/documenti/multimedia.htm

Contenuti extra dvd:

versione integrale dell’incontro con Andrzej Wajda;

intervista a Davide Ferrario e Marco Belpoliti;

promo, galleria fotografica.

Davide Ferrario è autore di film e documentari. Tra i primi ricordiamo: TUTTI GIU’ PER TERRA (1997), DOPO MEZZANOTTE (2005) e TUTTA COLPA DI GIUDA (2009). Tra i documentari: LONTANO DA ROMA (1991), sulla Lega Nord, MATERIALE RESISTENTE (1995, con Guido Chiesa) e I-TIGI A GIBELLINA (2002, con Marco Paolini), sulla strage di Ustica.

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