Cultura

“Ti ricordi quella strada…”, il nuovo libro di Salvatore Azzuppardi Zappalà

Non solo anni di violenza, brutalità, attentati alle Istituzioni dello Stato e alla collettività. Non solo Anni di Piombo in sostanza, bensì anni che verranno ricordati anche come un periodo di rinascita e di grande, grandissimo splendore e fermento culturale. I Settanta sono da sempre conosciuti e definiti come una fase storica delicatissima, nel corso della quale a farne le spese sono stati rappresentanti politici, membri delle Istituzioni e, perché no, anche gente comune. Ma a Salvatore Azzuppardi Zappalà, validissimo scrittore catanese che quegli anni li ha vissuti in pieno e li ricorda con grande ardore e amore, questa definizione non va proprio giù. E proprio nella sua ultima opera narrativa “Ti ricordi quella strada…” , un romanzo corale e storico allo stesso tempo, pubblicato per Algra, l’autore etneo rivendica l’idea che i Settanta siano stati appunto anni meravigliosi. Nel corso dei quali si sono verificate vicende che hanno dato sfondo anche alla sua storia. Un libro in cui a prendere vita è la storia di Lia e Francesco. Un romanzo che, in questo caso, non è solo storico, di formazione e di sentimenti (non sentimentale, però), ma un tributo a uno dei periodi più controversi della nostra storia repubblicana. Tutto, stando a quello che si legge dalle prime pagine, è nato dal fastidio che l’autore ha sempre provato nel sentire parlare degli anni Settanta solo ed esclusivamente, come già detto, Anni di piombo, come vengono banalmente ricordati.

Tutto il bello degli Anni Settanta

Non furono solo questo e nel libro – narrando la crescita anagrafica e formativo di Francesco – viene evidenziato anche ciò che di positivo quegli anni ci hanno lasciato. Furono gli anni dell’impegno, soprattutto in politica e nel sociale, in cui si prese coscienza delle problematiche ambientali e dell’importanza della partecipazione. Furono quelli in cui i giovani italiani cominciarono a viaggiare all’estero e a conoscere e confrontarsi con i loro coetanei degli altri paesi europei. Furono gli anni in cui l’intrattenimento e il modo di comunicare cambiarono radicalmente, grazie alla nascita delle radio libere, che contribuirono alla diffusione della nuova musica, la musica ribelle, secondo la felicissima definizione di Eugenio Finardi, quella dei cantautori italiani e dei grandi artisti e gruppi rock internazionali, senza la quale la colonna sonora della nostra vita – anche quella dei giovani di oggi – non sarebbe stata così bella. E furono anche anni di grandi emozioni sportive, come la notte magica del 4-3 alla Germania, il trionfo della Fulvia HF al rally di Montecarlo, quello di Panatta & C. in Coppa Davis e le prodezze di Gilles Villeneuve con la Ferrari. Tutto questo, nel romanzo dell’autore etneo, viene narrato attraverso gli occhi e le esperienze vissute dai due protagonisti, Francesco e Lia, due giovani siciliani quasi trentenni, lui catanese, lei palermitana, che a cavallo fra i Settanta e gli Ottanta, a Milano, dove entrambi lavoravano, si incontrano, si frequentano e si confrontano. Entrambi sono attenti osservatori di quanto accade intorno a loro, entrambi impegnati nel sociale: lui per l’ambiente, lei nell’assistenza agli emarginati.

Senza peli sulla linga

Anche se Francesco e Lia amano la loro terra, della Sicilia si parla solo in un capitolo, e se ne parla sottovoce, senza l’enfasi apologetica o distruttiva a cui siamo abituati. I discorsi sulla Sicilia di Lia e Francesco sono “diversi” perché, come si legge in un estratto del romanzo: “Appartenevano entrambi a quella categoria forse minoritaria di siciliani che pur profondamente innamorati della loro terra, erano consapevoli delle responsabilità che essi stessi avevano nell’averla mantenuta arretrata e succube di scelte fatte altrove. Entrambi si ribellavano a questo stato di cose, e per quello che potevano fare nei comportamenti individuali, ognuno di loro lo faceva, sperando di essere da esempio agli altri e al tempo stesso di far capire ai non siciliani che sbagliavano a generalizzare”. Una vicenda che Azzuppardi Zappalà è riuscito a raccontare senza peli sulla lingua e con l’amore che ha nutrito e nutre da sempre per le canzoni di Francesco Guccini che, nel libro, vengono espressamente citate. O quelle di Francesco De Gregori e di tutta quella classe di artisti che ancora oggi sono amati dal pubblico di tutte le età.