Le note di Alberto Ferro per la chiusura del Messina Piano Festival

Le note di Alberto Ferro per la chiusura del Messina Piano Festival

giovanni francio

Le note di Alberto Ferro per la chiusura del Messina Piano Festival

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mercoledì 01 Agosto 2018 - 08:26

Alberto Ferro conclude in bellezza la breve ma pregevole rassegna pianistica

Sabato si è tenuto l’ultimo appuntamento del Messina Piano Festival, con la direzione artistica di Giuseppe Grimaldi, una serie di cinque concerti di giovani pianisti, nella scenografica location di Villa Cianciafara, con il patrocinio del Comune di Messina e dell’Azienda Ospedaliera Universitaria “Policlinico”, e grazie alla squisita ospitalità del padrone di casa Ing. Giuseppe Amedeo Mallandrino, che ha messo a disposizione la sua splendida dimora, ove, alla fine del concerto, presso i suggestivi locali delle “Scuderie”, è stato offerto agli ospiti un piacevole rinfresco con prelibatezze locali e pasticcini finali. Il concerto si è collocato nell’ambito di una serie di eventi, a scopo benefico, organizzati da “DONARtE per NeMo SUD”, in favore dell’omonimo Centro Clinico, impegnato nella cura ed il sostegno di soggetti affetti da malattie neuromuscolari.

Protagonista della serata il giovane pianista siciliano Alberto Ferro, non più promessa ma grande realtà nel panorama pianistico internazionale, già graditissimo ospite a Messina quest’anno e lo scorso anno, ove si è esibito al Teatro Vittorio Emanuele, con l’Orchestra del Teatro. La prima parte del concerto è stata dedicata a due sonate di Ludwig Van Beethoven. Dopo l’esecuzione della Sonata op. 10 n. 2, in fa maggiore, la sesta delle 32 composte dal musicista tedesco, degna di nota in particolare per il “Presto” conclusivo della sonata, ove appare il primo fugato delle composizioni pianistiche beethoveniane, è stata la volta della Sonata op.111 in do minore, l’ultima composta dal grande genio di Bonn. Pubblicata nel 1823, in soli due movimenti di eccezionale intensità, costituisce uno dei sommi capolavori dell’intera letteratura pianistica. Dopo una breve introduzione- Maestoso – misteriosa e quasi sinistra, il primo movimento – Allegro con brio ed appassionato – esplode letteralmente, caratterizzato da tumultuose frasi eseguite all’unisono dalle due mani. È un brano quasi monotematico, tutto intriso di un clima di concitata tensione, con difficili elaborazioni contrappuntistiche, una prerogativa dell’ultimo Beethoven. A tale tempestosa atmosfera segue per contrasto il dolcissimo e meraviglioso Adagio denominato “Arietta: Adagio molto semplice e cantabile” (mai fu dato un titolo così modesto ad un capolavoro di siffatte dimensioni!). Il dolcissimo tema, tenero e profondo, è prima variato magistralmente, nelle prime due variazioni, viene poi stravolto nella terza, fortemente ritmata, strabiliante e talmente fuori da ogni schema conosciuto che alcuni contemporanei, che difficilmente potevano capire un musicista visionario che precorreva i tempi di quasi un secolo, parlarono di demenza del genio. Dopo la terza variazione il tema praticamente si dissolve in una serie di fantastiche divagazioni di una bellezza commovente e struggente, una delizia per l’ascolto, fino ad arrivare al momento culminante, in cui il ritorno del tema subisce una piccola alterazione, che produce un effetto la cui bellezza è impossibile da descrivere, se non con le parole di Thomas Mann nel suo Doktor Faustus: “questo do diesis aggiunto è l’atto più commovente, più consolatore, più malinconico e conciliante che si possa dare. È come una carezza dolorosamente amorosa sui capelli, su una guancia, un ultimo sguardo negli occhi, quieto e profondo. È la benedizione dell’oggetto, è la frase terribilmente inseguita e umanizzata in modo che travolge e scende nel cuore di chi ascolta come un addio per sempre, così dolce che gli occhi si empiono di lacrime”. Ferro ha interpretato il brano con la consueta trasparenza cristallina che caratterizza il suo fraseggio, ma soprattutto con profonda intensità e concentrazione, in un’esecuzione rigorosa, nonostante gli inevitabili rumori di sottofondo propri di un concerto all’aperto. Il concerto, dopo una breve pausa, si è concluso con l’esecuzione della sesta sonata op. 82 di Sergej Prokofiev. Il grande Sviatoslav Richter, da giovane, ma già affermato pianista, ascoltò la sonata eseguita dallo stesso Prokofiev in un circolo, e ne fu subito colpito, tanto da eseguirla pubblicamente in prima assoluta alla radio di Mosca, nel 1840. Di tale sonata affermò: “Non aveva ancora finito di suonare che io avevo già deciso che avrei eseguito questa sua sonata… Non avevo mai udito nulla di simile prima di allora. Il compositore, con barbara audacia, aveva abbattuto gli ideali del romanticismo e aveva portato gli impulsi distruttori della musica del ventesimo secolo nella sua musica”. Ed infatti, l’uso percussivo del pianoforte, con frequenti accordi martellanti suonati fortissimo, il ritmo convulso e quasi ossessivo, che nel secondo straordinario movimento “Allegretto” diviene un trascinante ritmo di marcia, le continue dissonanze, alternate a momenti di intenso lirismo, in particolare nel terzo tempo “Tempo di valzer lentissimo”, costituiscono una vera rivoluzione rispetto al pianismo romantico e post romantico, che ci catapulta quasi con violenza nel lacerante esistenzialismo del novecento. Splendida l’interpretazione di Ferro, il quale, durante un’amabile conversazione mentre gustavamo l’aperitivo, mi ha confermato la sua predilezione per i musicisti russi. Ed infatti nell’esecuzione della difficilissima sonata, fatta di passaggi di virtuosismo sfrenato, di accordi violenti, di continui incroci delle mani, il giovane pianista è sembrato veramente a suo agio.

In omaggio a Debussy, di cui ricorre quest’anno il centenario dalla morte, Alberto Ferro ha bissato con la brillante “Toccata”, tratta da “Pour le piano”, e, visti i convinti applausi del pubblico presente, ha concesso un altro gradito bis, l’irresistibile “Polka” di Dmitrij Šostakovič. Si è conclusa quindi in bellezza questa interessante rassegna di giovani talenti pianistici, con una performance ancora eccellente di questo pianista di Gela, motivo di orgoglio per la nostra terra.

Giovanni Franciò

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