Un altro buco nero della Repubblica, tra rituali antimafia e depistaggi. Una sconfitta di Stato mentre ricordiamo il magistrato e gli agenti di scorta
di Marco Olivieri
Una ferita inferta allo Stato e alla nostra fragile democrazia. Una ferita che ancora sanguina. Ogni 19 luglio ricordiamo quella maledetta estate del 1992. L’attentato mafioso in via D’Amelio, a Palermo, con la morte del magistrato Paolo Borsellino e di cinque agenti della scorta: Agostino Catalano, Emanuela Loi, Vincenzo Li Muli, Walter Eddie Cosina e Claudio Traina.
33 anni dopo cosa rimane? Rituali stanchi accompagnano il ricordo e le commemorazioni. E domina un senso di sconfitta politica, morale, istituzionale. Il depistaggio, le indagini infinite, il coinvolgimento di alte cariche della polizia e della magistratura, il ruolo dei servizi segreti e le complicità da individuare: la ferita brucia ancora perché la verità è lontana. Un altro buco nero della Repubblica.
“Le vite di Paolo Borsellino e di Giovanni Falcone sono testimonianza e simbolo della dedizione dei magistrati alla causa della giustizia. Borsellino non si tirò indietro dal proprio lavoro dopo la strage di Capaci. Continuò ad andare avanti. Onorare la sua memoria vuol dire seguire la sua lezione di dignità e legalità e far sì che il suo messaggio raggiunga le generazioni più giovani”, ha sottolineato il presidente della Repubblica Sergio Mattarella. E il modo migliore per onorarne la memoria è non arretrare di fronte alla verità. Ma anzi cercarla a dispetto di tutti i tentativi di insabbiare e confondere.
Dalle stragi di Stato e il caso Moro a via D’Amelio e al G8 di Genova: quante ferite alla democrazia
Vengono mente altre ferite profonde inferte alla nostra democrazia: la strategia della tensione e le stragi di Stato, le infiltrazioni della P2, il caso Moro e “la più grave violazione dei diritti umani in un Paese democratico dal dopoguerra” (Amnesty International) nel G8 di Genova del 2001. “Il nostro è un Paese senza memoria e verità, ed io per questo cerco di non dimenticare”, scriveva Leonardo Sciascia.
Oggi memoria e verità sono ancora un binomio indispensabile per affrontare i tanti nodi irrisolti della storia italiana. Giustizia sociale, legalità, Stato di diritto e istruzione per tutti, senza barriere economiche e sociali, devono operare insieme per sconfiggere davvero le mafie. Di parate e cerimonie vuote non abbiamo bisogno.
Foto Agenzia Fotogramma_Paolo-Borsellino (da Italpress).
