Terremoti e Tsunami: la tragedia Giapponese ci ricorda che anche l'Italia è a rischio. Ma lo sapevamo già

Terremoti e Tsunami: la tragedia Giapponese ci ricorda che anche l’Italia è a rischio. Ma lo sapevamo già

Terremoti e Tsunami: la tragedia Giapponese ci ricorda che anche l’Italia è a rischio. Ma lo sapevamo già

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lunedì 14 Marzo 2011 - 15:53

Anche l'Italia deve aspettare la sua -Kobe- per convincersi della validità della cultura della prevenzione? Negli articoli correlati lo 'zoom' sullo Stretto

Il terremoto che venerdì 11 marzo ha scosso il Giappone è stato uno dei più forti della storia dell’umanità. Con una magnitudo di 9.0 gradi della scala richter, è stato il più violento in assoluto nella storia del Paese del Sol Levante.

E in Giappone di terremoti ce ne sono sempre stati, anche forti.

Negli ultimi decenni solo altri due eventi sismici si possono paragonare a quello di pochi giorni fa: si tratta del terremoto che ha colpito il Cile poco più di un anno fa, il 27 febbraio 2010 con una magnitudo di 8.8 gradi della scala richter, e quello che ha colpito l’Indonesia il 24 dicembre 2004, di 9.1 gradi della scala richter. Tutti eventi, quindi, molto recenti.

In tutti e tre i casi, più che il terremoto in sè è stato lo tsunami a provocare vasti danni e grandissima distruzione: nell’oceano Indiano nel 2004 e nel Pacifico stavolta come l’anno scorso nel caso del Cile, quando però le onde si sono mosse al contrario, da sud/est verso nord/ovest, mentre venerdì si sono propagate dal Giappone verso sud/est.

Proprio Cile e Giappone, infatti, si trovano agli estremi della ‘Cintura del Fuoco’ dell’Oceano Pacifico.

Si tratta dell’area gologicamente più irrequieta della Terra, in cui si possono verificare terremoti catastrofici con questo tipo di magnitudo elevatissime, fino al nono grado della scala richter.

Il Giappone, poi, sorge esattamente al confine di 4 importantissime placche continentali che ne accentuano l’instabilità.

Anche l’Italia è attraversata da faglie sismiche molto importanti, ma non certo paragonabili a quelle della ‘Cintura del Fuoco’: terremoti così violenti, di magnitudo 9 della scala richter ma anche di magnitudo 8 della stessa scala, nel nostro Paese e più in generale in tutto il continente Europeo, sono per fortuna impossibili.

I terremoti più forti della storia d’Italia sono stati quello della Val di Noto, in Sicilia Orientale (11 gennaio 1693), con una magnitudo stimata del 7.4 grado della scala richter, e quello dello Stretto di Messina (28 dicembre 1908), con una magnitudo stimata del 7.2 grado della scala rihter. In generale, i terremoti più forti che possono verificarsi in Italia oscillano tra 6.6 e 7.2 gradi della scala richter.

Le zone più sismiche sono quelle Appenniniche (Umbria, Marche, Abruzzo, Molise e Irpinia) e quelle meridionali, tra lo Stretto di Messina e la Sicilia orientale e meridionale.

Anche al nord/est, specie in Friuli, il rischio terremoti è abbastanza alto, seppur con magnitudo più basse, comprese tra 6.0 e 6.6 gradi della scala richter, così come anche nelle zone Appenniniche non si sono mai verificati terremoti più forti di quello di Avezzano (13 gennaio 1915) che è stato di magnitudo 6.9 gradi richter.

Il problema, però, è che mentre il Giappone (così come il Cile) è in grado di affrontare un terremoto di 9.0 gradi richter con danni relativamente esigui nelle abitazioni (la quasi totalità di danni e perdite umane è dovuta allo tsunami), in Italia -basta- un terremoto di magnitudo molto più bassa, già superiore ai 5.5 gradi della scala richter, a provocare morte e distruzione.

Il terremoto del 6 aprile 2009 a L’Aquila, ad esempio, è stato di magnitudo 5.9 della scala richter, e ha provocato 308 vittime. Quello dell’Irpinia (23 novembre 1980) fu di magnitudo 6.5 richter, e provocò quasi 3.000 morti.

Ma perchè il Giappone ha sviluppato una tale cultura di prevenzione antisismica?

Il Giappone è uno dei Paesi al mondo, come Cile, Stati Uniti d’America, Canada, Corea del Sud e Nuova Zelanda, ad aver sviluppato una grande cultura antisismica e ad averla messa in campo concretamente con costruzioni adeguate a resistere a terremoti violentissimi.

Come spesso accade, scelte di questo tipo sono figlie di immani tragedie che scuotono la coscienza della popolazione di un determinato Paese.

Così è successo anche per il Giappone, che il 17 gennaio 1995 ha subito il devastante terremoto di Kobe, una delle principali città del Paese con una popolazione di circa 1,5 milioni di abitanti.

A causa di un terremoto di magnitudo 6.8 gradi della scala richter (e con un ipocentro di 16 chilometri, quindi neanche molto superficiale, basti pensare che quello di L’Aquila fu profondo 8,8 chilometri), a Kobe quel giorno morirono 6.500 persone.

Ne seguì uno scandalo simile a quello che abbiamo avuto in Italia dopo L’Aquila, perchè la furia della natura mise a nudo tutte le pecche del sistema di prevenzione antisismica radendo al suolo palazzi costruiti in barba alle normative antisismiche, figli di un’edilizia malata, contaminata dalla criminalità, menefreghista delle sorti dei cittadini.

Da quel giorno, il Giappone diede vita a una nuova era di prevenzione: i Governi lanciarono programmi di verifica delle strutture e delle costruzioni nel Paese, e resero più feree e restrittive le norme e i controlli per l’edilizia.

Anche l’Italia deve aspettare la -sua- Kobe per interventi di questo tipo? Messina e Reggio Calabria, l’Irpinia, L’Aquila non bastano?

Cos’è successo venerdì scorso in Giappone

Venerdì scorso, 11 marzo 2011, il Giappone è stato colpito da un terremoto violentissimo nelle acque nord/orientali del Paese. L’epicentro del terremoto è stato in mare, a poco meno di 140 chilometri dalla costa, con una magnitudo di 9.0 gradi della scala richter e un ipocentro di 24,4 chilometri.

La forte scossa ha provocato un devastante tsunami che dopo appena 9 minuti ha raggiunto la costa distruggendo la Regione di Sendai.

Secondo gli ultimi bilanci, sono più di 12.000 i morti e i dispersi, quasi tutti provocati dallo tsunami che è arrivato subito, dopo pochissimi minuti, e non ha consentito alla gente di mettersi in salvo nell’entroterra.

L’allarme, adesso, è dato dalle centrali nucleari che, danneggiate dal sisma, rischiano di esplodere e di provocare danni catastrofici per una vastissima area del pianeta.

La tragedia Giapponese ci ricorda che anche l’Italia è a rischio. Ma lo sapevamo già

Quello che è successo in Giappone nei giorni scorsi, ci ricorda che anche l’Italia è un Paese a rischio di terremoti e tsunami. Moltissimi giornali stanno lanciando allarmi su onde anomale -imminenti-, che potrebbero verificarsi -da un momento all’altro, anche domani-, come scrive la Gazzetta del Sud citando le parole del sismologo americano Steven N. Ward e di Enzo Boschi, sismologo che da 12 anni presiede l’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia, in merito alla presenza del vulcano sottomarino Marsili nel basso Tirreno, da cui potrebbe scaturire una grande onda anomala che coinvolgerebbe gran parte d’Italia e del Mediterraneo.

Tutte queste cose, però, le sapevamo già. E non c’era certo bisogno di un altro evento catastrofico nel mondo per ricordarcele.

Dire che l’Italia è a rischio tsunami, è come dire che la città di Messina è a rischio terremoto. Sappiamo bene che questi fenomeni nel nostro Paese ci sono sempre stati e continueranno ad esserci, anche se purtroppo non possiamo sapere quando perchè – al contrario di quelli meteorologici – non si possono prevedere.

Si possono, però, prevenire.

La prevenzione antisismica

Prevenzione significa cultura. Prevenzione antisismica significa costruire con rispetto delle normative e con l’utilizzo delle tecnologie più avanzate che consentono di mettere in piedi palazzi, anche altissimi, che siano elastici e che resistano a terremoti anche molto più forti di quelli che per natura possono verificarsi in Italia. Prevenzione antisismica significa installare una serie di boe nel mare che possano avvisare in tempo reale della presenza di un’onda anomala, e non come accaduto nel basso Tirreno il 30 dicembre 2002, quando un maremoto investì molte aree di Calabria e Sicilia a seguito di una frana lungo la sciara del fuoco dello Stromboli. Dopo quell’evento, furono installate alcune boe che però dopo pochi mesi fecero triste comparsa sulle spiagge di Tropea, Palmi, Scilla e Milazzo perchè distrutte e non curate.

Prevenzione significa informazione, a prescindere dalla smentita di stereotipi e luoghi comuni.

Come, ad esempio, quelli sul maremoto del 1908, che secondo molti fu più devastante del terremoto uccidendo la maggiorparte delle vittime di quell’evento. In realtà non fu così.

Rischio tsunami sulle coste del sud: qualche motivo per non essere esageratamente allarmati e alcuni consigli

Sul rischio tsunami per le coste del sud e dell’Italia in generale, bisogna fare alcune precisazioni.

Tutti abbiamo visto le immagini drammatiche dell’acqua che invade l’entroterra Giapponese, e ci siamo accorti come le onde di tsunami riuscivano a penetrare facilmente all’interno perchè il territorio della Regione di Sendai ha estese pianure che si affacciano proprio sull’oceano Pacifico. Sulle Hawaii o in altre aree in cui lo tsunami è arrivato, ma il territorio è diverso, fatto di montagne a picco sul mare, l’onda non ha potuto – ovviamente – invadere il territorio.

E, per fortuna, le coste dell’Italia e del Mediterraneo sono prevalentemente fatte di rilievi a strapiombo sul mare.

Il rischio concreto che eventuali onde anomale possano invadere l’entroterra esiste solo per aree pianeggianti vicine alle coste, e cioè – nel Tirreno – solo ed esclusivamente alcune piccole aree della Maremma, le pianure pontine, il nord del Napoletano sul Golfo di Gaeta, il sud del Salernitano nel Golfo di Salerno, la piana di Lamezia Terme nel Golfo di Sant’Eufemia e la piana di Gioia Tauro nel Reggino.

Nelle altre aree, le onde arriverebbero fin sulle spiagge e in qualche caso anche oltre, ma senza devastazioni in aree interne e densamente abitate: basti pensare che, soprattutto negli ultimi anni, spesso e volentieri abbiamo a che fare con mareggiate di proporzioni violentissime e con onde alte tra 7 e 9 metri sia con lo scirocco che con il maestrale.

Eventuali onde anomale non sarebbero poi così diverse da quelle alimentate dai furiosi venti che sempre più spesso stanno interessando il Mediterraneo.

Sono ad alto rischio le isole come le Eolie, Ischia e altre isole nel Tirreno che hanno centri abitati proprio sulle coste, ma vanno fatte alcune differenziazioni, ad esempio per quanto riguarda lo Stretto di Messina, che è un mare chiuso, che non risentirebbe quasi per nulla di uno tsunami provocato dal Marsili perchè è un braccio di mare chiuso proprio a nord, dove c’è lo Stretto, e così come accade quando il Tirreno è agitato per il maestrale, solo piccole onde di 1-2 metri riescono ad entrare nello Stretto. Viceversa, un possibile tsunami -di scirocco-, come quello del 1908, potrebbe colpire con violenza le zone joniche delle due città e delle due province ma senza provocare gravi danni in città dove, ad esempio, a Reggio centro, le onde riuscirebbero a interessare il Lungomare ma nulla più, considerando che già la via marina alta ha un’altitudine di quasi 20 metri sul livello del mare, e dopo il 1908 sono stati costruiti vasti giardini di ficus e palme proprio per distanziare la linea abitativa dalla costa.

Basterebbe, insomma, rimanere sul corso Garibaldi per stare al sicuro.

Tutto ciò, ovviamente, non significa che bisogna abbassare la guardia, assolutamente. Però prevenzione sgnifica anche cultura, e cultura significa conoscenza. E’ bene conoscere e sapere da vicino a ciò cui si può andare incontro, anche per evitare gesti sconsiderati nel momento peggiore.

Sperando che anche in Italia, grazie al mondo di internet e della globalizzazione, in cui catastrofi come quella dell’Indonesia o adesso del Giappone diventano catastrofi mondiali, questa cultura di prevenzione possa nascere senza dover aspettare la -nostra- Kobe.

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