“Andiamo al nord”... ma parliamo la nostra lingua

“Andiamo al nord”… ma parliamo la nostra lingua

Redazione

“Andiamo al nord”… ma parliamo la nostra lingua

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venerdì 17 Gennaio 2020 - 08:20

Una struggente riflessione sui viaggi della speranza che si intrecciano con l'amaro destino di giovani medici meridionali costretti ad emigrare

Pubblichiamo questa riflessione di Antonella Pavasili, che parla dei viaggi della speranza da un angolo del tutto particolare e vero.

Ci sono giorni amari, terribilmente amari.
Sono i giorni in cui alla doccia gelata di certe notizie che ti tolgono il fiato si aggiunge lo smarrimento di vivere in una terra che ti prende anima e cuore ma ti toglie futuro, speranza e fiducia.

Sono i giorni in cui leggi il referto di un’ecografia o di un esame specialistico, ascolti inebetito le parole di un medico che spiega, chiarisce, consiglia, ma non capisci niente perché sotto i tuoi piedi si è aperta una voragine.
Sono i giorni in cui pensi “ma perché proprio a me, o a mia figlia, o a mio padre?”

E poi corri a casa e ti colleghi a internet.
E digiti freneticamente quelle orribili parole e leggi e rileggi e impari a memoria termini che fino a qualche ora prima nemmeno conoscevi.
E poi digiti “Ospedali eccellenze in Italia” e scorri una classifica che raramente va più a Sud del Lazio.
E frughi nella memoria alla ricerca di quell’amico o di quel parente che ha il figlio o il cugino medico che lavora al Nord.

E lo trovi.
Lo trovi sempre nella tua memoria.
E lo chiami, e spieghi, e lui ti manda un numero di telefono e ringrazi, ringrazi con gratitudine.
E poi componi quel numero e dopo qualche tentativo senti una voce che ha il tuo stesso accento, che capisce la tua lingua se magari per la preoccupazione e l’ansia non riesci a spiegarti bene in italiano.

E si fa strada una speranza.
E prendi accordi.
E poi ti soffermi a capire dove alloggiare.
E ancora una volta frughi nella memoria alla ricerca di quell’amico o parente che vive da quelle parti.

E ancora una volta lo trovi.
E telefoni, e trovi il contatto e senti la generosa disponibilità di chi parla la tua stessa lingua.
E poi il viaggio.
Macchina, treno, aereo?

E telefoni all’agenzia e ti informi per capire cosa conviene.
E intanto mandi mail col referto e gli esami e aspetti trepidante la data.
E non importa se non puoi prenotare prima e il viaggio costerà un mucchio di soldi.
Che se pure non ci sono, li troviamo.

E poi la partenza.
“Annamu pi supra…c’è un bravissimo medico..è di Messina…”
E tutto il resto.
Che si concluderà felicemente.

Tra ansie, preghiere, gratitudine, speranza.
E rabbia.
Rabbia tremenda, pazzesca.
Per questi figli nostri, che parlano la nostra lingua, pensano con la nostra testa, amano con il nostro cuore, ma lavorano al Nord.

Perché qui non va bene.
Perché mancano gli strumenti.
Perché le strutture non sono adeguate.
Perché…perché…perché…

Perché?
Perché?
E nemmeno te lo chiedi più.
Quello che conta è tornare a casa stringendo la mano di tuo figlio, o di tua moglie o di tuo padre.

Smetti di chiedertelo.
Ma quella domanda prima o poi tornerà…

Magari un mattino prestissimo che non hai più sonno, e il sole sta sorgendo e la bellezza di questa terra ti tramortisce.
E ti chiedi ancora perché…

(Antonella Pavasili)

Foto di Marcello Santalco

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Un commento

  1. BELLISSIMA, MERAVIGLIOSA E STRUGGENTE.

    Chapeau!

    1
    0

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