Antichi dilemmi in chiave fantascientifica: su "Estraneo a bordo"

Antichi dilemmi in chiave fantascientifica: su “Estraneo a bordo”

Giacomo Maria Arrigo

Antichi dilemmi in chiave fantascientifica: su “Estraneo a bordo”

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lunedì 03 Maggio 2021 - 17:49

Un film di fantascienza e un tema etico: "Estraneo a bordo" offre un quadro della natura umana, sempre uguale pure nello spazio interstellare.

Da dieci giorni è stato pubblicata sulla piattaforma Netflix il film Estraneo a bordo, una pellicola di fantascienza che è già entrata nella top 10 dei film più visti della settimana. Fin da subito la tensione incolla lo spettatore al televisore: le scene del lancio in orbita di uno shuttle si susseguono senza troppe parole, l’attenzione è sui particolari. Onnipresente la possibilità che qualcosa vada storto, l’eventualità di un problema tecnico che debba far rientrare la navicella.

Girato da Joe Penna (già noto per Arctic, 2018) e scritto insieme a Ryan Morrison, Estraneo a bordo (le cui riprese sono durate solo un mese) ricrea al dettaglio l’atmosfera sospesa dei viaggi spaziali, la perfezione tecnica dei macchinari all’avanguardia, e l’inquietudine circa la possibilità che un errore, un singolo errore, possa mandare in malora la missione, uccidendo gli astronauti.

Cosa succederebbe, però, se a bordo dello shuttle ci fosse un estraneo, un passeggero imprevisto? Ecco la storia di Estraneo a bordo. Niente a che vedere con Alien, dunque, dove pure c’era un estraneo a bordo ma era un mostro extraterrestre pronto a uccidere tutto l’equipaggio. In Estraneo a bordo la comandante Marina Bennett (una convincente Toni Collette), la ricercatrice medica Zoe Levenson (una meno convincente Anna Kendrick) ed il biologo David Kim (Daniel Dae Kim) si trovano ad avere a che fare con Michael Adams (Shamier Anderson), un ingegnere del supporto al lancio che aveva perso i sensi a causa di un incidentem e che era rimasto, per puro caso, all’interno della navicella.

Una storia che vira subito sul tragico: l’ossigeno non può bastare per quattro persone. E così l’equipaggio, improvvisamente aumentato di un’unità, si trova costretto ad escogitare qualcosa, isolato nel vuoto cosmico, immerso nel silenzio più assoluto. Nessuna catastrofe imminente, nessuna scena di azione convulsa; solo il tragico congetturare circa una soluzione che sempre sfugge.

Il tema è dunque etico: lasciar morire una persona? Oppure fare di tutto per salvarla? I dubbi si susseguono, gli interrogativi assalgono i membri dell’equipaggio – e gli spettatori sono sempre in bilico tra l’attesa di un’epifania e la disillusione della nuda realtà. Spetterà all’uomo, e solo all’uomo, di trovare una soluzione. Ed è l’essere umano, in fin dei conti, il protagonista del film, con tutte le sue piccolezze e le sue grandezze. D’altronde è questo il ruolo della fantascienza, quello di offrire uno sfondo adeguato ai grandi interrogativi dell’umanità, uno sfondo al passo coi tempi. Nuove situazioni per antichi dilemmi. E, in fondo, la natura umana, sempre uguale pure nello spazio interstellare.

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