Quartetto Nous: interpretare il romanticismo

Quartetto Nous: interpretare il romanticismo

giovanni francio

Quartetto Nous: interpretare il romanticismo

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domenica 06 Marzo 2016 - 23:05

Applaudito concerto al Palacultura con una intensa interpretazione dei quartetti romantici di Schubert, Beethoven e Mendelssohn. Evento organizzato dall'Associazione Vincenzo Bellini

I musicisti che compongono il Quartetto Nous hanno interpretato al Palacultura, per la stagione concertistica dell’Associazione Vincenzo Bellini, due quartetti per archi e un movimento di quartetto di alcuni dei più importanti compositori romantici tedeschi (Schubert, Beethoven e Mendelssohn), che hanno dato il contribuito più alto, soprattutto i primi due, a questo genere di musica da camera, nell’epoca romantica.

Il Quartettsatz in Do Minore n. 12 D. 703: Allegro assai, fu scritto da Franz Schubert nel 1820 e costituisce il primo movimento di un quartetto rimasto incompiuto. Nella storia della musica forse non c’è nessun compositore che ha lasciato tante opere incompiute come Schubert. La sua opera è costellata di capolavori non portati a compimento ed il suo brano forse più ispirato, la sinfonia n. 8, è noto con l’appellativo appunto di “Incompiuta”, per la mancanza del terzo e quarto movimento. Nel novero delle incompiute rientra il Quartettsatz in Do Minore n. 12 D. 703, un vero gioiello, che si sostiene, da parte della prevalente musicologia schubertiana, sia rimasto incompleto in quanto sarebbe stato problematico per il compositore scrivere i restanti movimenti mantenendosi all’altezza della vetta raggiunta dal primo. La stessa spiegazione è sostenuta anche per altri capolavori rimasti a metà o allo stato di frammento (a parte la ”Incompiuta”, ricordiamo la cantata “Lazarus” e alcune sonate per pianoforte). Il brano si basa essenzialmente su due temi, uno agitato in sordina, in do minore, manifestazione di estrema inquietudine, l’altro tenero e dolce, in la bemolle maggiore, tema struggente tipicamente schubertiano. Una composizione così intensa e misteriosa ci pone l’interrogativo, destinato a rimanere senza risposta, su quale possibilità avrebbero avuto tutte le incompiute di Schubert di essere portate a compimento se il grande musicista austriaco non fosse morto così giovane (trentuno anni). Il quartetto n. 6 op. 18 in si bemolle maggiore è l’ultimo dei sei quartetti che Ludwig Van Beethoven dedicò al principe Franz Joseph Lobkowitz, gruppo di composizioni con il quale Beethoven inizia la sua parabola musicale nell’ambito del quartetto d’archi, avventura che lo accompagnerà per tutta la sua attività compositiva, fino alla fine della sua vita, quando scriverà gli ultimi cinque quartetti, profetici e visionari, straordinari capolavori che costituiscono il suo testamento spirituale nel genere della musica da camera. Il Quartetto op. 18 fu composto da un Beethoven non ancora trentenne, e risente ovviamente, soprattutto nei primi due movimenti, dell’influsso di Haydn, il “padre” di questo genere musicale, anche se nel primo movimento – Allegro con brio – si affaccia già uno di quei temi ironici, una sorta di domanda di violini e viola seguita dalla risposta del violoncello (bravissimo Tommaso Tesini), così caratterizzante della musica beethoveniana. Il secondo movimento – Adagio ma non troppo – è ancora abbastanza convenzionale, mentre già nel terzo movimento – Scherzo: Allegro – troviamo spunti assai interessanti, attraverso i quali il musicista di Bonn si congeda definitivamente dal tradizionale minuetto settecentesco. Il movimento più notevole però è sicuramente il quarto – Adagio – Allegretto quasi Allegro – che reca il titolo “La melanconia”, ove il movimento rapido è preceduto da un intenso adagio, modernissimo per l’epoca in cui fu composto, ricco di innovative trovate armoniche, che riappare nuovamente nel corso del brano, prima di essere travolto definitivamente dalla freschezza giovanile dell’Allegro, secondo un procedimento compositivo allora assolutamente insolito. Il Quartetto op. 80 in fa min. n. 6 rappresenta l’ultima composizione di Felix Mendelssohn, che infatti morirà nel novembre dello stesso anno (1822). Il quartetto risente dell’enorme dolore del musicista causato dalla morte della amatissima sorella Fanny. Tutto il quartetto infatti, non a caso in tonalità minore, è imperniato di un senso di inquietudine e di angoscia, e palesa un Mendelssohn completamente diverso dallo stereotipo di musicista felice e aristocratico che spesso gli viene attribuito. Il senso di angoscia e tragicità caratterizza tutti i quattro i movimenti, che mantengono quasi sempre la tonalità minore: il primo – Allegro vivace assai – di una irruenza fatalista e carica di tensione; il secondo – Allegro assai – uno scherzo dai toni concitati e inquieti; il terzo – Adagio – vero epicentro dell’opera, dal carattere struggente e malinconico, quasi ad evocare una felicità perduta; infine il quarto movimento – Finale: Allegro molto, che mantiene intatta l’atmosfera tragica di tutto il quartetto, trascinandosi in un abisso di dolore. Grande merito del quartetto Nous aver compreso nel programma questo splendido quartetto, inspiegabilmente così poco frequentato nelle sale da concerto.

Avevamo già avuto modo di apprezzare il Quartetto Nous, composto da Tiziano Baviera e Alberto Franchin (violini), Sara D'Ambruoso (viola) e Tommaso Tesini (violoncello), ospite in passato sempre dell’Associazione Bellini, particolarmente attenta ad offrire musica da camera di qualità, e in tale occasione non possiamo che confermare l’impressione assai positiva destata da questo gruppo, molto affiatato e dotato di notevole capacità interpretativa. Se l’interpretazione del Quartettsatz è forse mancata un po’ di incisività (sempre comunque nell’ambito di una esecuzione di alto livello), ci ha invece particolarmente colpito l’esecuzione dei quartetti di Beethoven e di Mendelssohn, soprattutto il finale di quest’ultimo, performance che ha strappato i convinti applausi del pubblico, numeroso se si considera che il quartetto d’archi purtroppo in questa città non fa registrare mai il “tutto esaurito”. I musicisti, dopo aver ringraziato il pubblico, si sono congedati con un bis, il primo movimento del Quartetto op. 44 n. 4 di Luigi Boccherini, intitolato “La Tiranna” (una danza spagnola), un brano leggero e gradevole, quasi a voler stemperare la tensione angosciante lasciataci dal quartetto di Mendelssohn.

Giovanni Franciò

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