Una storia parallela a “Il ponte sul fiume Kwai”, tratta dal romanzo omonimo di Eric Lomax, protagonista del film.
Come la maggior parte delle volte, il titolo italiano, cambiato, non rende l’idea che vorrebbe dare il titolo originale, in questo caso: “The railway man”, l’uomo della ferrovia, che certo non suona bene in italiano, ma è esatto.
Eric Lomax (un Colin Firth che non smentisce mai la sua bravura) è un appassionato dei treni; come dirà il suo amico Philley (Stellan Skarsgard) “i treni gli hanno segnato la vita”.
Nel 1980, al principio della nostra storia, a Edimburgo su un treno incontra Patti (Nicole Kidman), che diventa presto sua moglie. Sin dalla luna di miele lei scopre che il marito non ha mai smesso di vivere le torture inflittegli nel 1942 dai giapponesi in un campo di prigionia lungo il fiume Kwai, dove era compito dei prigionieri costruire una ferrovia, successivamente chiamata “la ferrovia della morte”.
In particolare, durante le sue allucinazioni quasi schizofreniche, Eric vede Takashi Nagase, il suo torturatore, che faceva parte della polizia segreta, il Kempeitai. Philley rivela all’amico che Nagase è ancora vivo e lo convince, in un modo brutale, ad andare a cercarlo, dandogli un pugnale rituale giapponese con cui compiere la vendetta. Lomax parte, trova Nagase proprio lì, nel campo di prigionia, tramutato in un museo, dove lui fa la guida turistica. Ciò che ne seguirà non è per fortuna una vendetta.
È purtroppo noto il codice di onore dei giapponesi, ma soprattutto del loro disprezzo manifestato in guerra verso i prigionieri: un prigioniero non è più un uomo, ha perso la dignità. I sopravvissuti formano un esercito di fantasmi che sognano la vendetta; e per gli stessi giapponesi è difficile dimenticare, anche loro sono stati ingannati dalle proprie credenze. Da entrambe le parti vige il silenzio, non si può raccontare l’accaduto, perché nessuno vuole poter credere fino a che punto possa arrivare la violenza dell’uomo.
Per chi non l’ha già visto, consiglio di vedere “Il ponte sul fiume Kwai” di David Lean, ma soprattutto “Furyo” di Nagisa Oshima, tratto anch’esso da un romanzo di un sopravvissuto , Laurens van der Post, che ha saputo trovare la forza di perdonare.
Lavinia Consolato