“L’uomo che vide l’infinito”, un genio della matematica

“L’uomo che vide l’infinito”, un genio della matematica

Lavinia Consolato

“L’uomo che vide l’infinito”, un genio della matematica

Tag:

sabato 18 Giugno 2016 - 06:45

Tratto dalla storia vera del matematico indiano Ramanujan, il film di Matthew Brown racconta una delle pagine della storia meno note al grande pubblico: quella della scienza e della matematica. Con l’ormai famoso Dev Patel e Jeremy Irons, scopriamo la drammatica vita di un genio

Madras, India, 1914. Srinivasa Ramanujan (Dev Patel) è un giovane matematico della casta dei bramini, ma povero, e che con difficoltà trova lavoro. È creduto pazzo “come Galileo”; i numeri non sono un enigma, anzi, una lingua più facile da parlare rispetto a quella degli uomini comuni. La giovane moglie tenta di capirlo, quando lui spiega che la matematica è “come la pittura, credo; immagina che ci siano dei colori che non puoi vedere”.

Nel suo lavoro da contabile, trova l’aggancio giusto per poter avere una corrispondenza con un docente della illustre università Trinity College, il professor Hardy (Jeremy Irons), il quale, con l’appoggio del collega Littlewood (Toby Jones), accoglie la sfida di incontrare questo giovane non laureato che afferma di avere fatto delle grandi scoperte. Hardy, infervorato dall’idea di aver davanti la prova del “cambiamento” epocale nella matematica, spinge Ramanujan a restare in Inghilterra.

Ma il giovane, una volta sul posto, si rende conto di quanto sia difficile la vita per un genio, soprattutto se indiano: lui è solo “un viso scuro” in una rigida istituzione ancora profondamente vittoriana. Hardy e Littlewood, insieme al (non ancora celebre) professor Bertrand Russell (Jeremy Northam), sono i pochi a non giudicare dall’alto in basso lo straniero, che si cimenta con numeri interi, integrali ed equazioni.

Quello che i britannici non sanno è la difficoltà culturale e la profonda crisi spirituale che deve affrontare Ramanujan: da bramino, infrange il divieto di tagliarsi i capelli e soprattutto di prendere il mare; ma il desiderio di dimostrare la propria genialità non può essere fermato dalla tradizione. La moglie spera di raggiungerlo presto in Inghilterra, tuttavia due impedimenti rendono la storia e/o la Storia tragica: scoppia la Grande Guerra e la madre di Ramanujan, rimasta con la nuora, le si oppone, nascondendo le lettere di lui e non spedendo quelle di lei dirette in Inghilterra. Mentre entrambi gli sposi vivono entrambi nell’erronea convinzione che l’uno abbia abbandonato l’altra, il giovane matematico vede sopraggiungere un nuovo ostacolo: la tubercolosi.

Ramanujan, ormai vicino ai propri successi, tenta di nascondere la malattia ad Hardy, che piano piano rinuncia alla sua rigida riservatezza e vede nel giovane un amico, un amico da salvare. Hardy impara ad ammiralo, e, lottando duramente contro pregiudizi e incomprensioni, riesce a far sì che Ramanujan entri nella Royal Society e divenga docente eletto al Trinity College.

Rudyard Kipling, il cantore del colonialismo britannico in India, ebbe a dire: “L’Oriente è l’Oriente, l’Occidente è l’Occidente, e i due non si incontreranno mai”. La stima reciproca tra la rigida ragione inglese di Hardy e l’entusiasta genialità di Ramanujan è dovuta proprio a quelle difficoltà culturali che, con gli altri, erano motivo di allontanamento e disprezzo. Questa “arte fine a se stessa” che il giovane genio affermava di recepire durante le preghiera alla dea Namagiri, è una materia “esoterica”, per pochi, che però è uguale per tutti, fatta di una materia eterna che però si scopre nel tempo. Così Ramanujan può trovarsi di fronte alla statua di Isaac Newton e non sentire il peso dei giganti del passato, diventando egli stesso un nome della matematica moderna.

Ramanujan morì di tubercolosi a soli 32 anni, in India, dopo essersi finalmente ricongiunto alla moglie nel 1920, quando, con grande costernazione, il professor Hardy, perdendo un amico, ne diventa anche biografo.

Il regista e sceneggiatore Matthew Brown racconta con grande fedeltà questa drammatica biografia, con grande semplicità stilistica, evitando accuratamente tocchi melodrammatici. È un film che senz’altro deve la sua riuscita alla presenza di grandi attori amati dal pubblico, il quale però, per disinteresse o per ignoranza, al botteghino ha accolto molto freddamente l’uscita nei cinema.

Non può vantare lo stesso “carisma” di film ormai celebri come “A beautiful mind” (2001) di Ron Howard, o attori glamour come “The imitation game” (2015) di Morten Tyldum, tuttavia “L’uomo che vide l’infinito” è una storia o Storia da conoscere.

Voto: 7/10.

Lavinia Consolato

0 commenti

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Commenta
Tempostretto - Quotidiano online delle Città Metropolitane di Messina e Reggio Calabria

Via Francesco Crispi 4 98121 - Messina

Marco Olivieri direttore responsabile

Privacy Policy

Termini e Condizioni

info@tempostretto.it

Telefono 090.9412305

Fax 090.2509937 P.IVA 02916600832

n° reg. tribunale 04/2007 del 05/06/2007