Cassazione rimanda gli atti in appello a Messina per ridiscutere quel che è rimasto in piedi del maxi sequestro di beni
MESSINA – La Corte di Cassazione dice no alla richiesta della Procura di Messina di mettere il sigillo definitivo al patrimonio confiscato a Sarino Bonaffini, considerato il referente unico di una variegata costellazione di società che di fatto monopolizzano il mercato ittico cittadino e non solo. Ed è il terzo no della Suprema Corte, che rimanda nuovamente alla Corte d’appello di Messina il procedimento, chiedendo di tornare a riesaminare la misura di prevenzione.
Si torna in secondo grado, quindi, per definire il destino di quelle aziende e beni che sono rimasti alla curatela giudiziaria, dopo che già negli anni tra i vari passaggi processuali e due precedenti rinvii della Cassazione hanno portato alla restituzione di una grossa fetta del patrimonio inizialmente messo sotto chiave dalla magistratura messinese.
12 anni di rimpalli giudiziari
Il primo maxi sequestro, stimato intorno ai 450 milioni di euro, risale al 2011. Dopo un secondo intervento della magistratura nel 2016, nel 2021 il primo pronunciamento della Cassazione si chiuse con la restituzione di tutto il patrimonio riferito al ramo “Chiofalo”. Nei mesi scorsi altri beni sono stati restituiti ai Bonaffini. Adesso la Cassazione accoglie le ragioni dei difensori, gli avvocati Salvatore Silvestro, Massimo Marchese e Carlo Autru, e rinvia gli atti alla Corte d’appello di Messina.
“Danni alle aziende”

“La soddisfazione per l’esito processuale – commenta Silvestro – è mitigata dai danni patrimoniali patiti fino ad oggi, cagionati alle aziende dalla pendenza della procedura, fondata su elementi che sin dall’inizio apparivano palesemente insussistenti, come già ritenuto per gli altri originari destinatari”.

Le persone oneste e generose sono quelli che pagano sempre