Francamente ci era sembrata esagerata l’indignazione del magnifico rettore per il successo europeo di Federica Migliardo.
E’ difficile, lo riconosciamo, abituarsi all’idea che anche pietre scartate, come dicono i salmi, possano diventare “ testate d’angolo- e soprattutto per i maschilisti, antropologicamente tali, se la “pietra- è donna.
Eppure siamo stati felici di vedere Federica Migliardo assurgere a emblema dell’8 Marzo, sulle pagine dei più prestigiosi quotidiani, e a tutta pagina. E non ci si dica che era pubblicità: i pubblicitari non sono degli sprovveduti e non fanno beneficenza.
E’ la vita: e così il senso vero e non consumistico -fatto di diritti, di parità, di meriti non regalati- dell’8 marzo è appartenuto anche a Messina, molto di più di quando, vispe Fallaci di periferia, ne discettavano, in modi vittimistici e stucchevoli, ma tutto sommato compiaciute dell’attenzione maschile, catturata almeno per una volta. Un gioco di seduzioni apparentemente intricante, risaputo, comunque per le donne auto lesivo, vecchio però come il mondo. Anche qui, nella provincia profonda.
Invece le donne possono andare e venire, al di là degli stereotipi, e , come dice il poeta, guarda un po’, sanno parlare di Michelangelo e magari capirlo e spiegarlo agli altri, anche ai rettori.
Le dispiaciute considerazioni della dott. Migliardo sul fatto che a Messina non si siano accorti di lei non sono state insinuazioni: ma è da sempre che il magnifico è monocorde, considera tali qualunque dissenso e/o parere diverso dal suo. E pensare che ha fatto il ’68, un po’ casereccio nei suoi ossimori, dal momento che conferiva al rettore in carica la coperta di occupante onorario, comunque pur sempre ’68, magari in versione folklorica.
L’incapacità di serena autocritica fa di questi scherzi: ma anche questo è cultura, cultura greve ma pur sempre cultura.
E non vale dichiararsi offesi in senso perennemente accigliato, urlando, sputando collera e battendo i pugni sul tavolo , minacciando come di costume: discutere, anche dei casi che vengono considerati ostici -perché mettono in crisi le certezze di un potere pressoché assoluto, che si autoreferenzia nelle certezze immarcescibili che discendono dal monopolio della verità e dalla esclusività del diritto all’interpretazione- è invece nell’ontologia dell’università, nella religione della libertà che in essa da sempre, lungo una difficile, anche dolorosa, storia, è si affermata e prodotta è ha sempre vinto rispetto agli oscurantismi di tipo dommatico e/o padronali.
E le università, anche la nostra, sono riuscite nel tempo a produrre saperi che hanno accresciuto gli standard civili di una società, in modi nel paese non uniformi, purtroppo, ponendo comunque, in certa misura, in non cale operazioni di mistificazione culturale e di snaturamento.
Ma ci saranno, come sicuramente ci sono e di livello, storici, filosofi, diciamo umanisti, che avranno la voglia di fare lezioni al rettore, anche facendosi trattare a pesci in faccia? Oppure si potrebbe ricorrere all’università della terza età? Oppure, perché no, al Cepu? Lo sappiamo l’autoritarismo, comunque si declini, (in questo caso il vetero craxismo, con pur recenti venature religiose) è duro a morire, è una condizione dello spirito prima di estrinsecarsi in collere usuali e plateali.
L’indignazione rettoriale (ma qualcuno l’ho ha visto mai sorridere? Certo non piange come la Madonna di Siracusa, ma certo neppure sorride), appena alleggerita da un compiacimento tardivo, formale e appena sussurrato, ci è apparsa come una caduta di stile, in linea con le esasperazioni ricorrenti nel linguaggio, diciamo ore rotundo. Così la “ minaccia “, per la verità fin qui a salve, di ricorrere in sede giudiziaria per restaurare un prestigio compromesso (da altri) appare come esercizio per scoraggiare la voglia e il diritto ad interrogarsi dell’intera comunità universitaria. E dire che, chissà, forse una sede giudiziaria potrebbe chiarire molte cose, vista l’impossibilità di pubbliche confessioni liberatorie all’interno del mondo universitario!
Dire poi che tutto questo discutere dei meriti di Federica Migliardo si collocherebbe sulla linea di quelle volontà perverse che progettano riduzioni di immagine e giocano al discredito dell’ateneo ci ricorda le invettive del cardinale Ruffini quando amava demonizzare con feroce cipiglio, dall’alto della cattedra, chi osava parlare di mafia in Sicilia (si noti come questi ricorrenti appellativi richiamino inconsapevolmente linguaggi di inquisizione, di caccia alle streghe, di mafia, fondamentalismi tout court etc).
Ora qui nessuno vuole discutere dei meriti di altri vincitori di concorso, meriti che possono pur esserci.
Ci sembra però incongruo ripararsi dietro modalità burocratiche e legislative per dire che si hanno le carte in regola.
E allora c’è da chiedersi:
1) Come mai Messina non si è mai accorta di una ragazza che oggi per le sue qualità scientifico che assurge a simbolo europeo di una condizione femminile vincente? O è stata una congiura demoplutogiudaica e massonica?
2) Come si programmano le distribuzioni dei posti da mettere a concorso?
3) Chi determina le priorità? E’ sicuro il rettore che pur dell’università
conosce “lacrime e sangue-, che non ci siano spesso logiche di scambio, clientelari o familistiche? Può metter la mano sul fuoco nell’escludere che dietro all’assegnazione di posti ci siano state talvolta anche logiche di manipolazione del consenso?
4) Certo le commissioni sono nazionali. Ma perché non spiegare come vengono votate le commissioni? E’ sicuro il rettore che dietro non ci siano quasi sempre interessi di particolari congreghe?
5) Che poi da questo discenda un certo modo di valutare compiti, quando ci sono, e titoli non è conseguente?
6) Vogliamo guardare assieme alla produzione in quantità industriale di questi casi oppure non sarebbe meglio che il rettore li snocciolasse ad uno a uno per eventualmente spiegarli, non a noi che abbiamo vissuto per decenni nell’università, ma alla città che paga perché i figli la frequentino, scommettendo sul futuro dei ragazzi, e al paese che, maliziosamente, non mostra di apprezzarci a sufficienza?
7) E serve, come piacevolmente a teatro, ripetere che così fan tutti, senza riflettere sulla responsabilità che è sempre personale o in qualche caso associativa quando si è in parecchi a operare per determinare, a vario modo, l’evento programmato?
8) Vorremmo poi chiedere al rettore se ha letto con attenzione un libro di molti anni fa, pubblicato da DeDonato, dell’economista Mario Centorrino e della sociologa Simonetta Picone Stella, dal titolo: Laurea e Sottosviluppo, che con sicura e originale metodologia scientifica ha studiato di come e del perché una nomenKlatura si riproduce attraverso l’Università?
9) Infine, un po’ per celia un po’ per non morire, ci piacerebbe sapere se i vertici dell’università hanno mai cantato : I “figli so’ pezze e core- di Bovio. E se i figli, il 19 marzo risponderanno con “Sei forte papà- di Morandi?
Tralasciamo, per non appesantire il discorso, la valutazione dell’offerta formativa dell’ateneo e il disordinato, affastellato (quanto utile?), proliferare di corsi di laurea, di master etc.
Ricordo soltanto che di questo, e di molto altro, parlammo in occasione delle ultime elezioni rettoriali, ma fummo sculacciati, addirittura dal senato accademico e consiglio di amministrazione inopinatamente assieme, perché le nostre furono considerate insinuazioni.
Insinuazioni?
Il giudice di Berlino scoprì poi che in Danimarca il marcio c’era ed era vistoso.
Così come ricordo che nessuna risposta venne data alla richiesta formulata, in quei giorni, di dare pubblicità alle bio-bibliografie dei docenti, anche per offrire ai ragazzi e alle famiglie possibili orientamenti sul significato e sul valore dei corsi. Ma comprendiamo che anche questo avrebbe potuto mettere in crisi misteri, dovute riservatezze, in una parola gli interna corporis. E poi si sa che chiese, governi, poteri in genere, aprono gli archivi solo per i posteri: alla faccia della trasparenza invocata.
Di questo comunque si tornerà a parlare quando e se matureranno condizioni di dialogo tra colleghi e cittadini, liberi da obblighi di gratitudine, da promesse, da paure, e anche capaci di indignarsi.
Vorremmo infine sapere il perché delle epurazioni al termine della sospensione rettoriale. Si trattava di allontanare colleghi che non parteciparono con entusiasmo ai festeggiamenti, magari senza cannoli, per il ritorno, motivato da problemi di termini e quindi di nessun significato di merito? O erano personaggi quelli che impedivano l’avvento del nuovo corso di trasparenza e di carte in regola? Sono interrogativi che meriterebbero risposta, perché attengono ad una complessiva valutazione sulla qualità della gestione. Meriterebbero risposta senza quella copertura omertosa (le veline del minculpop?) che appartiene a quella sub cultura siciliana e calabrese che sembravano doversi esorcizzare nelle notti dei saperi. Certo di notte, perché come cantava Salomè di notte tutti i gatti sono bigi e tutto si può in qualche modo celare.
Oppure di notte perché, come nell’Horcynus,. Appunto, -a parte la regressione maschilista che non ci piace, ma che appartine come si è detto ai nostri
Professore Giuseppe Campione
