Il sostituto procuratore della DDA, Giuseppe Verzera, ha firmato dodici avvisi di conclusione delle indagini dell’operazione “Zaera-.
I provvedimenti hanno raggiunto le otto persone arrestate dalla Squadra Mobile il 20 settembre scorso ed altre quattro per le quali il gip non aveva emesso l’ordinanza.
In carcere erano finiti il boss di Camaro Armando Vadalà Campolo 34 anni, Antonino Bengala, 37, l’ex sovrintendente della Polizia Francesco Tringali, l’ex Carabiniere ausiliario ed oggi assicuratore Frank Scibilia, 35 anni, Andrea falliti, 52 anni e Francesco Sanfilippo, 38 anni. Avevano ottenuto i domiciliari Angelo Bellantoni, 46 anni ed il figlio Gianluca 25 anni che devono rispondere di detenzione illegale di armi.
L’avviso di chiusura indagine è stato emesso anche per Angela Spitalieri moglie di Armando Vadalà che deve rispondere di tentata estorsione, per Giuseppe Pantanetti accusato di estorsione, per Ugo Vadalà, tentata estorsione e detenzione di arma e Letterio Pedale presente in alcune intercettazioni ambientali eseguite nello studio di Scibilia mentre vengono messe a punto alcune truffe alle assicurazioni.
Secondo quanto accertato dalla Squadra Mobile il mercato di Ponte Zaera era in pugno al clan Vadalà Campolo ed era il boss a decidere chi doveva lavorare all’interno, a gestire il servizio di guardiania e ad imporre il pizzo a tutti gli operatori.
E ovviamente tutti gli affiliati potevano rifornirsi di merce gratuitamente e nel silenzio generale.
Ma il gruppo si occupava anche d’altro: usura, truffe alle assicurazioni, detenzione di armi. Attività scoperte durante i lunghi mesi di intercettazioni telefoniche ed ambientali eseguite dagli uomini della Squadra Mobile coordinati dal dirigente Marco Giambra.
Le attività del clan Vadalà Campolo sono state scoperte nel corso delle indagini per l’omicidio di Rosario Mesiti. L’uomo fu assassinato il 22 agosto 2006 proprio davanti al mercato Zaera. Per questo delitto tre mesi dopo furono arrestati Antonino Morvillo ed il nipote della vittima, Benedetto Bonaffini. Mesiti aveva il compito di raccogliere, per conto del clan, il denaro che gli esercenti del mercato erano costretti a versare. Compito poi affidato a Morvillo. Gli ambulanti pagavano da 3 a 5 euro alla settimana ed erano costretti a consegnare merce gratis agli affiliati al clan. Dopo l’arresto di Morvillo per l’omicidio Mesiti questo incarico toccò a Falliti e Bengala.
Secondo gli inquirenti la base operativa del gruppo era l’agenzia assicurativa di via Catania gestita da Scibilia. Qui avveniva la raccolta dei proventi delle estorsioni che venivano reinvestiti per finanziare l’attività usuraia. Le intercettazioni ambientali, grazie ad una cimice piazzata nella sede dell’assicurazione, hanno permesso di scoprire l’organizzazione di falsi incidenti stradali per truffare le compagnie. In un caso erano stati richiesti addirittura 60.000 euro per un incidente mai avvenuto. Ma i telefoni erano già sotto controllo da parte della Polizia e la truffa saltò. L’ex carabiniere Scibilia possedeva una pistola regolarmente denunciata ma custodita in maniera irregolare. Inoltre era in possesso di munizioni detenute illegalmente. Importante anche il ruolo dell’ex poliziotto delle Volanti Francesco Tringali che si occupava di “convincere- i commercianti più riottosi a pagare il pizzo. L’uomo era a piede libero nonostante una condanna all’ergastolo per l’omicidio Randazzo, inflittagli dalla Corte d’Assise di Messina.
