“Di là dal fiume e tra gli alberi”. Venezia, luogo d’elezione per un'eccellente morte da finzione

“Di là dal fiume e tra gli alberi”. Venezia, luogo d’elezione per un’eccellente morte da finzione

Tosi Siragusa

“Di là dal fiume e tra gli alberi”. Venezia, luogo d’elezione per un’eccellente morte da finzione

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lunedì 17 Luglio 2023 - 11:15

Una intensa co-produzione Taormina Arte e Teatro Ghione di Roma, la regia di Marinelli e l'interpretazione di Muniz, Caprioglio e Alexander

TAORMINA – “Di là dal fiume e tra gli alberi”: un’intensa co-produzione Taormina Arte e Teatro Ghione di Roma, in collaborazione con ArteVen, ha drammatizzato in Prima Nazionale presso il Parco Trevelyan taorminese il toccante omonimo testo del sommo Hemingway, con la magistrale direzione di Giancarlo Marinelli, direttore del Teatro Comunale di Vicenza, e del ciclo di spettacoli classici al Teatro Olimpico e interpreti eccellenti: Jane Alexander, Debora Caprioglio e Sergio Muniz.

Il romanzo d’addio di Hemingway

Il romanzo d’addio del grande romanziere, narratore e giornalista statunitense Ernest Hemingway, pubblicato da Scribner il 7 settembre 1950 a New York- con intitolazione che trae genesi dalle parole conclusive del protagonista, il colonnello americano Richard Cantwell- a torto reputato di secondo piano, è stato trasposto e drammatizzato il 14 luglio scorso in una location d’eccezione, la Villa Comunale di Taormina, nel Parco Trevelyan.

Siamo stati trasportati nella magia della incantata Venezia, in luoghi mitici, quali l’Hotel Gritti, la chiesa di S. Maria del Giglio, nel campo pari nome. l’Harrys Bar di Cipriani, la spettacolare laguna, e immersi in una storia amorosa fragilissima e potente al contempo: quella fra il cinquantenne malmesso militare e una giovane e ricca nobile veneziana.

La disperazione e la morte aleggiano e percorrono lo splendido testo, incentrato su questo sentimento impossibile e calato in un contesto lussuoso, di gente bene, di alcol a fiumi ed aragoste, che si autodistrugge lentamente e dolcemente, della quale il colonnello affetto da inesorabile malattia cardiaca ne è esemplare espressione, abbandonandosi alla solitudine dei suoi ultimi giorni di vita…, mentre rivede Venezia e i suoi posti del cuore e partecipa all’ultima caccia all’anatra. Egli ha preso parte attiva alle due guerre Mondiali, è reduce dal secondo conflitto bellico, che è rievocato a tratti attraverso i suoi protagonisti, il Generale Alexander, Vice Comandante in Capo di Eisenhower, i Generali Patton e Montgomery, Comandanti delle rispettive divisioni, americana e inglese.

I personaggi delineati, poiché direttamente pare della narrazione o attraverso il richiamo ad essi (come il pilota militare Jackson, il maitre e il cameriere del celeberrimo Hotel Gritti sul Canal Grande, ma soprattutto la soave Renata, quali esponenti della prima tipologia e Patton. quale esemplare della seconda) ci consentono di assaporare il mondo sotteso, con quella perfetta visione corale, che tuttavia non è scevra di approfondimento delle figure di riferimento.

La performance ha ben reso lo spirito letterario sottostante e l’estro autoriale, e l’abile escamotage del concepimento della rappresentazione quale itinerante, con la scelta di quattro differenti spazi nell’ambito della lussureggiante villa, ne ha costituito valore aggiunto, con correlata valorizzazione del sito, anche grazie a giochi di luce eccellenti e potenti mezzi multimediali.

Il parallelismo con “La Morte a Venezia”, sublime novella dello scrittore e saggista tedesco Thomas Mann, pubblicata nel 1912, con la prima edizione italiana del 1930, e “Anonimo veneziano”, romanzo breve di Giuseppe Berto del 1976, con le rispettive fortunate rese cinematografiche, quella viscontiana del 1971, e quella ,precedente allo script, del 1970,di Enrico Maria Salerno ,che ne è stato cosceneggiatore insieme a Berto. è d’obbligo, per il file rouge che fa della città lagunare il topos più ricercato per una letteraria fine dell’esistenza….di grande effetto, probabilmente perché di morte e nostalgia Venezia è intrisa, muore continuamente e inesorabilmente, ed è struggente e densa di melanconia.

Anche lo script hemingwayano è stato oggetto, nel 2022, di resa per la settima arte, nel lungometraggio dall’identica titolazione diretto da Paula Ortiz.

Giancarlo Marinelli e la sua regia minimalista sono stati encomiabili…del resto gli interpreti possono definirsi tutti superlativi, da Sergio Muniz, a Debora Caprioglio…passando per Jane Alexander. fino a giungere a Beatrice Venezi, codirettrice artistica di Taormina Arte, Direttore d’orchestra e attrice, che nella Rassegna “Taormina Arte”, scrigno di musica, danza,opera e teatro, ha riservato a sé sostanziali porzioni, nella congerie di ruoli espressivi in Cartellone.

In conclusione, non può che rendersi onore alla pièce, capace di calarsi in modo appropriato nello schema ,sempre fuori da ogni convenzione, dello script, segnatamente nel romanzo, che come i racconti o i reportages, comunque intrisi di una fervida fantasia, rinnovata nell’intimo, è segno di quella inquietudine profonda che aveva condotto Hemingway ad avventurarsi in battaglie da una parte all’altra del mondo, fondamentali per sperimentare in concreto la fiamma dell’esistenza e l’appagamento solo nella pienezza delle esperienze vitali, mai disgiunta da disperato scetticismo, in una diuturna dialettica fra impegno vitale e angoscia della sconfitta (della quale la morte è ultimo fatale esito) .

Coerenza artistico-morale che lo stupefacente reading, percorso teatrale e narrativo -con l’abile conduzione registica e l’ausilio di potenti tecniche , le Multivisioni di Francesco Lopergolo, che hanno conferito fascino ancor più marcato e significante all’incontro culturale- ha saputo rendere alla perfezione, in quella persistente oscillazione fra individualismo e naturale compartecipazione alle scottanti tematiche sociali del compianto Autore, facendoci dono prezioso di una messa in scena scarna, essenziale ,nuda …come l’individuo al cospetto delle enormità che lo affliggono, con performances attoriali concepite quali pregiati bozzetti vividi e palpitanti, con una prosa scarnita fino all’osso, ma intessuta di vibrazioni, ironia, contenuti sogghigni di chi freme per le scelleratezze del mondo, e in uno riesce a far spallucce e sorridere mestamente.

“Across the River and into the Trees”, pregevole frutto del soggiorno di Ernest Hemingway, nel 1948 in Italia, fra Cortina e Venezia, è un gioiello ed è da plauso l’averlo inserito in programma, con risultati eccellenti ,che gli spettatori hanno caldamente condiviso e premiato.

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