Sturniolo: Piano di riequilibrio? Ci vorrebbe Robin Hood. Serve un confronto

Sturniolo: Piano di riequilibrio? Ci vorrebbe Robin Hood. Serve un confronto

Sturniolo: Piano di riequilibrio? Ci vorrebbe Robin Hood. Serve un confronto

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lunedì 10 Settembre 2018 - 05:16

Dopo quanto emerso relativamente ai conti dell'Atm, secondo l'ex consigliere comunale, sarebbe più corretto aprire il dibattito sulla sostenibilità del Pluriennale

Piani di Riequilibrio? Ci vorrebbe Robin Hood Adesso che la verità sui conti dell’ATM è venuta fuori, sarebbe il caso che si aprisse una discussione pubblica sui risultati del Piano di Riequilibrio del Comune di Messina.

Ora, prima che qualcuno si svegli dal torpore, glielo sussurriamo nell’orecchio: il Piano di Riequilibrio non ha funzionato. Non poteva funzionare e i fatti hanno confermato quanto era nelle premesse. Nei primi tre anni di vigenza, quelli convalidati da rendiconti approvati in Consiglio Comunale, il rientro dalla massa debitoria è pari al 15%. Bisogna sottolineare che le Linee guida della Corte dei Conti sul monitoraggio dei Piani di Riequilibrio prevedono che, perché questi siano credibili, il rientro debba essere, nei primi cinque anni di oltre il 50%. Un risultato modestissimo, insomma, quello ottenuto, considerando, peraltro, che la passata amministrazione ha avuto vantaggi considerevoli dal fatto che il passaggio dalla Tarsu alla Tares ha liberato 10 milioni di euro dal bilancio, è stata restituita la penale che il Comune aveva pagato per lo sforamento del Patto di stabilità e i fitti degli uffici giudiziari sono passati a carico del Ministero di Grazia e Giustizia (complessivamente, quasi 24 milioni di euro dei 64 recuperati). Tutta roba che è finita dentro il Piano di Riequilibrio. Certo, un po’ ci mancano Signorino e la sua “neolingua” quando provavano garbatamente a far combaciare conti che insieme proprio non volevano stare. Ma i numeri, si sa, sono ostinati e, a volerli leggere, ti dicono come stanno davvero le cose. I fan del predissesto sono davvero singolari. Si battono come leoni per evitare le procedure di dissesto dei Comuni come se il raggiungimento dell’obiettivo consentisse agli enti locali di restare in regime ordinario, potendo dare, così, risposta positiva ai bisogni delle città e salvando la democrazia, identificata nel mantenimento dell’autonomia politico-finanziaria dell’ente. Eppure non è così. Il predissesto e il dissesto (che, va ricordato, è una condizione, non una scelta, tanto che il mancato riconoscimento si identifica come reato) sono entrambi il preludio ad una politica di lacrime e sangue per i cittadini. Le condizioni in cui si vengono a trovare i Comuni, infatti, prevedono in entrambi i casi tetti occupazionali, vendita di beni pubblici, imposte al massimo delle aliquote. In entrambi i casi, peraltro, i conti pubblici raramente tendono a risanarsi definitivamente e gli enti locali finiscono per restare a lungo in una situazione di acqua alla gola. Ci sarebbe una soluzione? Sì, ci sarebbe. Si tratterebbe di effettuare un audit del debito che rilevasse i debiti odiosi, ingiusti, quelli per i quali la collettività non ha tratto alcun vantaggio, quelli causati dall’incuria, dalla corruzione, dalle clientele. Ci sarebbe da invertire la tendenza alla riduzione dei trasferimenti agli enti locali da parte dello Stato. Ci vorrebbe, infine, un provvedimento governativo che faccia pagare il debito ai ricchi di questo paese, che consentisse un risanamento dei conti che non andasse ad incidere sui servizi pubblici locali e che non penalizzasse quelle fasce di popolazione che già oggi vivono in condizioni appena dignitose o, peggio, sotto la soglia di sopravvivenza. Ma lo vedete all’orizzonte un governo Robin Hood capace di fare un’operazione del genere? Rimane, dunque, realisticamente, solo l’opzione predissesto/dissesto. Con questa bisogna fare i conti. L’approvazione, in Commissione Bilancio e Affari costituzionali della Camera, dell’emendamento che rinvia la ricognizione dei debiti fuori bilancio sul raggiungimento degli obiettivi intermedi successivamente all’approvazione del rendiconto 2018 per i Comuni che approveranno una rimodulazione del Piano di Riequilibrio entro il 30 novembre (che consentirebbe a Catania e Napoli di evitare il dissesto) ci dice quale sia l’orientamento del quadro politico nazionale (questa volta, tra l’altro l’emendamento è opera dei 5stelle, laddove questi in passato erano prevalentemente favorevoli al riconoscimento dello stato di dissesto perché questo colpiva i politici che ne erano stati causa). Niente di nuovo rispetto all’andazzo precedente. Dalle norme introdotte dal Governo Monti sul predissesto, ai vari Salva-Roma, all’emendamento Mancuso l’intendimento è rimasto sempre lo stesso: evitare in ogni modo il dissesto per i grandi Comuni. C’è chi, come l’ex assessore al bilancio del Comune di Messina Enzo Cuzzola addirittura proporrebbe l’obbligo di aderire alle procedure di predissesto, impedendo per legge quelle di dissesto. Pur considerandola più onerosa, egli la ritiene, infatti, l’unica possibilità per soddisfare i creditori “spesso rappresentati da imprese e artigiani locali”. Ecco, proprio l’analisi della massa debitoria degli enti ci dice che le cose non stanno come dice l’ex esponente della Giunta Accorinti. Nei fatti emerge spesso una composizione diversa dei soggetti creditori. In molti casi, cioè, come ad esempio per il Comune di Messina, il fantomatico “fornitore di toner” appare percentualmente marginale rispetto all’intero ammontare dei debiti. Chissà se in questo giudizio di Cuzzola pesa il fatto che i Piani di Riequilibrio lui redige a pagamento per gli enti locali! In considerazione di tutto questo verrebbe da dire “à la guerre comme à la guerre, viva il dissesto!”. Almeno si fa una ricognizione più puntuale dei debiti, si bloccano gli interessi, si effettuano delle transazioni con i creditori più vantaggiose per gli enti, si limitano a cinque anni gli aumenti al massimo delle aliquote, si rendono ineleggibili gli amministratori che hanno causato il dissesto, si evita di trasferire a generazioni che non erano neanche nate al momento della formazione del debito il suo soddisfacimento.

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