L'ex esperto Marabello scrive al sindaco: "Lo spazio pubblico costruito dall’Accademia dei Baraccanti"

L’ex esperto Marabello scrive al sindaco: “Lo spazio pubblico costruito dall’Accademia dei Baraccanti”

L’ex esperto Marabello scrive al sindaco: “Lo spazio pubblico costruito dall’Accademia dei Baraccanti”

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venerdì 24 Giugno 2016 - 22:39

L'ex esperto del sindaco Accorinti scrive una lunga lettera di analisi sulla gestione degli spazi pubblici. Dal caso recente della baracchetta costruita e sequestrata a piazza Duomo, Marabello sottolinea come non ci sia stata fino ad oggi nessuna strategia capace di trasformare i luoghi in occasioni di investimento sociale, politico e culturale.

Carissimo Sindaco, cari Assessori all’Urbanistica, al Commercio e alla Cultura, ai Beni Comuni, (evito quello al Patrimonio poichè lo spazio urbano non si esprime in soli termini di patrimonio economico), caro Soprintendente BBCCAA e cari Presidenti degli organismi degli Architetti, cari concittadini e cari esercenti.

Una fotografia di una brutta costruzione in alluminio in piazza Duomo, fatta rimbalzare sui social, ha fatto scoprire nel pieno centro storico della città una baracchetta uso ristorazione, non solo bruttina, ma pare anche costruita abusivamente. L’autorità ha preso atto ed ha sequestrato la costruzione, probabilmente in attesa di una sanabilità nei modi e nelle forme che vedremo nei prossimi giorni. Dopo quest’iperbole della fantasia informale di un esercente, inverata in pieno centro ad un passo dai palazzi istituzionali, dopo aver visto sui luoghi (ma vedevo solo io e pochi altri?) brulicanti maestranze, direttori dei lavori, capi operai e fabbricatori d’infissi tutti messinesi e non cinesi, dopo aver visto in orari diurni operosi saldatori ingabbiare ad uso privatistico persino un sano e rigoglioso tronco d’albero “bene comune”, ecco, dopo queste cose plateali è forse il momento di ragionare per dare contenuti e progetto alla costruzione e all’uso dello spazio della città.

Lo spazio pubblico delle città è quello spazio che contiene le regole e le contraddizioni, che contiene anche le diverse maestrie costruttive e progettuali, ma che proprio perchè luogo di tutti ha bisogno di strumenti per tendere alla buona qualità delle sue edificazioni e delle soluzioni urbane ed architettoniche; lo spazio pubblico è quello che tiene insieme le cose e le relazioni sociali, ma è anche quello spazio che può escludere, contrattare o negare alcuni usi ed attività, che impone scelte e percorsi identificativi, disaffezioni e rifiuti, che mette in evidenza individui e comunità, che esprime culture, rapporti di potere, forza ma che è anche specchio delle crisi economiche, identitarie , sociali e culturali.

In questi anni e non solo negli ultimi tre, Messina non ha fatto nessuna seria riflessione operativa sullo spazio pubblico e sulla definizione concreta di ambiti urbani strategici (centro città, aree di litorale, aree verdi, aree di espansione e di margine, aree ad alta intensità identitaria) capaci di produrre attraverso la loro trasformazione, investimento sociale, politico e culturale; non sono stati messi in atto, alle varie scale di progetto, strumenti regolatori o di indirizzo per la costruzione concreta della qualità diffusa nella città.

E’ mancata invece in questi tre anni la volontà di collegare la centralità dello spazio pubblico e sociale alle politiche di indirizzo, anche agli strumenti regolatori predisposti dal Laboratorio per i beni comuni depositati e agli atti e di cui io stesso ho specifica conoscenza (regolamenti e delibera per uso degli spazi) dentro una strategia innovativa che ripartisse politicamente dai luoghi pubblici e della socialità per innovare la stessa struttura fisica della città e connettesse in maniera spiccata politiche urbanistiche, sociali, culturali e di relazione.

Le periferie abbandonate al loro destino e all’esclusione non s’identificano negli spazi pubblici scegliendo spesso il ritaglio urbano, il vuoto dei parcheggi, i centri commerciali come spazi fondanti e disponibili della relazione, invece piazze, piazzette e spazi centrali (Duomo, Lepanto, Cardines etc,) per rendite posizionali legate ai pochi tragitti dello scambio e della ristorazione e dei bar, vivono esclusivamente di alcune economie commerciali formali e informali che conquistano pesantemente lo spazio in forza di concessioni onerose o tolleranze silenziose funzionali ad altre tolleranze di convenienza. Altri spazi come la storica Galleria Vittorio Emanuele appaiano come occasioni perdute e abbandonate dalla cura pubblica e dal progetti sociale o collaborativi, divenendo occasionali vetrine delle visibilità .

Poco alla volta gli spazi urbani con i tavolini all’aperto, neanche abitassimo sul mare del nord, si recintano e si barricano dietro giungle di piante fitte davanti a barriere di vetro, si coprono di tettoie e coperture e si sigillano dentro porte e pareti con wi-fi, air conditioned e salette meeting, in cui il valore della cubatura di fatto è più significativo e visibile dello stesso valore della superficie aperta.

Ma la prova fisica e palpabile della totale assenza di visione dello spazio pubblico persino nei luoghi identitari e nelle strade principali, sta da tanti anni nel proliferare casuale e autorizzato di volta in volta a piacimento di chi istruisce le pratiche edilizie, di verande, cubi e parallelepipedi, tettoie, tendaggi, “dehors”, arredamenti fieristici e campionari di poltrone e sofà, tutto si impone come eccezione di linguaggio e di forma producendo dosi di cattiveria iniettata giorno dopo giorno nello spazio pubblico messinese.

Il caso “Verandina Baraccante al Duomo” senza progetto, è plateale, ma la sua filosofia progettuale dell’accaparramento sgradevole dello spazio pubblico si ripete con più o meno grazia costruttiva o d’arredo in un raggio prossimo e medio, tra Duomo, Cavour, Lepanto e altre vie del centro, e pone aldilà della scelte estetiche e culturali dei singoli esercenti, il senso del significato di governo delle città, sia negli elementi visibili che in quelli più strutturali e fondanti. Serve un modo di regolare le costruzioni e l’occupazione del suolo pubblico ( ma non parlo di sola COSAP,) che entri nel merito di come si fanno le cose sullo spazio di tutti, che indichi dove si possono fare le costruzioni a vetri in forma di padiglione e con quali regole, dove si possono mettere le tende o dove gli ombrelloni, e che non trasformi la costruzione dello spazio pubblico concesso in un’attività di esclusiva imposizione delle tasse ed esercizio fiscale per rimediare agli ammanchi di cassa, in cui chi paga (chi paga?) e chi ha denaro può fare tutto.

La città, collegando le competenze e gli obiettivi delle varie istituzioni, integrando i regolamenti e i codici vigenti e delle strategie di visione urbana, ha bisogno subito (ed è già tardi vista la consistenza variegata della roba costruita esistente) di una strategia dello spazio pubblico e di un sistema di regole chiare e coerenti che individui zone urbane strategiche, tipologie di manufatti e di coperture, materiali e arredi che restituiscano una città innovativa ma controllata nei suoi gesti, con un sistema di poche regole chiare e condivise, che esalti lo spazio urbano e non produca invece la sua atrofia, lo spazio sociale ha bisogno di libertà relazionale ma spesso si ritrova dentro una indigestione pacchiana di costruito e una mancanza di visione che seppellisce la città sotto l’urgenza del presente.

Messina come spesso fa, può nascondersi dietro la cattiva sorte o la sfortuna, i suoi cittadini possono continuare a non amarla e aggiungere ogni giorno un abuso più o meno legale pensando che una, due o dieci cose in aggiunta non distruggano nulla e che quando c’è la crisi si può tollerare tutto , ma alla fine resterà una città con uno spazio pubblico conquistato, espugnato e costruito dalle regole non scritte dell’Accademia dei Baraccanti (non di necessità), un’accademia interculturale e interclassista, anche in quel caso sarà una rappresentazione egemone legata ai rapporti di potere, ma un potere tutto privato che impone i suoi gesti costruttivi senza regole e visioni, né pubbliche, né tantomeno comuni. Quella stessa Accademia tollera persino l’accampamento di salsiccia e tajone perché la libertà miserabile di qualche giornata ambulante consente ad alcuni altri l’accaparramento costante e spesso altrettanto gradasso dello spazio nei luoghi delle rendite posizionali.

Luciano Marabello

2 commenti

  1. Hombre de barro 26 Giugno 2016 11:34

    I vigili preposti al controllo così come anche “mister 40 anni di lotte e trasparenza”, guardano altrove.
    Emblematico il caso degli ambulanti abusivi.
    Prima multati, poi accorsi in massa a Palazzo Zanca, a suon di spinte e schiaffoni hanno ottenuto la complicità dell’amministrazione che da allora invece di procedere legalmente, il Comune di Messina ha scelto la connivenza. Complimenti vivivivissimi Accorinti e co.

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  2. Hombre de barro 26 Giugno 2016 11:34

    I vigili preposti al controllo così come anche “mister 40 anni di lotte e trasparenza”, guardano altrove.
    Emblematico il caso degli ambulanti abusivi.
    Prima multati, poi accorsi in massa a Palazzo Zanca, a suon di spinte e schiaffoni hanno ottenuto la complicità dell’amministrazione che da allora invece di procedere legalmente, il Comune di Messina ha scelto la connivenza. Complimenti vivivivissimi Accorinti e co.

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