Fedra, o la passione divoratrice e consuntrice di Fedra per Ippolito e di Ippolito.. per se medesimo.

Fedra, o la passione divoratrice e consuntrice di Fedra per Ippolito e di Ippolito.. per se medesimo.

Tosi Siragusa

Fedra, o la passione divoratrice e consuntrice di Fedra per Ippolito e di Ippolito.. per se medesimo.

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lunedì 26 Agosto 2019 - 08:26

La “Phedra”, tragedia cothurnata di Lucio Anneo Seneca, quella di Racine e, naturalmente… l’“Ippolito” di Euripide, andato in scena in una delle ultime svariate trasposizioni spazio-temporali c/o il Castello di Lipari il 19 agosto e ieri c/o il Teatro di Tindari, con la regia diNicola Alberto Orofino, e gli interpreti Egle Doria, Silvio Laviano, Luna Toscano e Gianmarco Arcadipane, in una produzione del Teatro Stabile di Catania. I quattro versatili interpreti hanno dato vita e parole a nove ruoli, in un gioco trasformista di rimandi: e così…. Afrodite è divenuta la nutrice – come fosse una sua propaggine operativa – Fedra si è poi fatta Artemide – a suggello della volontà ritenuta giusta della protagonista di addivenire ad un onorevole suicidio – il Coro, reso da un attore per conferire maggiore pathos alla drammaturgia, è stato poi Teseo, privo di pietas e fremente di” vis” distruttrice. Unico solingo personaggio è rimasto Ippolito, divenuto icona di se stesso, non accettando di contaminarsi in panni altrui, vittima di un eccesso di virtù che rifiuta ogni contatto amoroso, estraneo al mondo come monade chiusa. Siamo lontani dall’epoca e dai luoghi di ambientazione euripidei e calati nell’America di fine anni 50’ di Eisenhower, come si rileva anche attraverso le musiche d’ambientazione, maschilista, bigotta e omertosa (e razzista) in un riuscito parallelismo con il mondo greco della tragedia. Fedra, la femme fatale, è perduta, vorrebbe attuare il bene (o ciò che quella società ritiene tale) ed esteriormente riesce pure nell’impresa, ma nella sua interiorità è divorata da un’ardente febbre d’amore, impossibile da gestire e, al rifiuto dell’esaltato e fanatico Ippolito, il suo puro figliastro, che anela solo di mantenersi casto e fedele alla vergine Artemide, soccomberà e si darà la morte per sopprimere quell’ardente passione. Artemide, apparentemente vincitrice, poiché Ippolito non si sottometterà ad Afrodite, con l’uccisione, ad opera di Nettuno, del giovane, ingiustamente calunniato dalla matrigna, e rinnegato da Teseo, avrà fallito anch’essa e dichiarerà di desiderare vendetta per il suo protetto, Le scene, simboleggianti un giardino primaverile, con una panchina e i due ritratti delle antitetiche Afrodite e Artemide sui basamenti di un colonnato, un pannello con su scritto “Where is love…”, e i costumi assai confacenti, sono stati di Vincenzo La Mendola. L’incipit è stato lasciato ad un siparietto ad opera dell’attore, che ha poi vestito i panni del Coro e di Teseo, che ha intrattenuto il pubblico, coinvolgendolo, per una decina di minuti, improvvisando balli su celebri musiche italiane anni 50’. Il dramma riscritto dall’immaginifico e prolifico artista Orofino e dallo stesso diretto con maestria, è risultato, però, e nello script e nella direzione, eccessivamente parodistico, scivolando a tratti nel burlesco, con ogni personaggio, soprattutto le deità, descritto in maniera macchiettistica, e quell’ intreccio morboso di passioni estreme e mortali, facenti capo a personaggi forti, con un animo caparbio, ognuno tormentato e incapace di intuire e giustificare i disagi degli altri coprotagonisti, non ha avuto compiuta estrinsecazione. Discreto il gradimento del pubblico presente, che ha manifestato tiepido apprezzamento attraverso applausi solo di rito per questa rappresentazione presente in cartellone per la 63esima edizione del Tindari Festival.

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