L'1 Maggio, dai morti di Chicago del 1886 all'appello degli ex Servirail

L’1 Maggio, dai morti di Chicago del 1886 all’appello degli ex Servirail

Rosaria Brancato

L’1 Maggio, dai morti di Chicago del 1886 all’appello degli ex Servirail

domenica 29 Aprile 2012 - 07:36

Scrivete la vostra opinione a certochemarrabbio@tempostretto.it. Son passati oltre 120 anni dai morti di Chicago e dalle prime celebrazioni dell'1 maggio, ma mai come oggi quella di martedì non sarà affatto una Festa dei lavoratori, quanto invece occasione per riflettere e tornare a lottare.

“Lavoratori, ricordatevi il 1 maggio di far festa. In quel giorno gli operai di tutto il mondo, coscienti dei loro diritti,lasceranno il lavoro per provare ai padroni che, malgrado le distanze e le differenze di nazionalità, linguaggio e razza, i proletari sono concordi nel voler migliorare la propria sorte”, Napoli 20 aprile 1890.
“ Rivolgiamo un appello ai deputati messinesi ed ai rappresentanti politici affinchè il 1 maggio si rechino al presidio permanente che si tiene da oltre 150 giorni all’ex impianto Servirail alla Stazione. Chiediamo a tutti voi un atto simbolico che dia il significato fattivo, con la vostra presenza, della vicinanza delle istituzioni a chi il lavoro lo ha perso da tempo nel giorno in cui si festeggia il lavoro in una realtà dove il lavoro non c’è”, Messina 27 aprile 2012.
Son trascorsi oltre 120 anni da quel volantino diffuso dai lavoratori di Napoli. In mezzo, tra i due volantini, c’è la Storia. All’inizio del cammino, il 3 maggio 1886, c’è il sangue di 2 operai di Chicago, uccisi dalla polizia durante lo sciopero per le otto ore di lavoro davanti alla fabbrica di macchine agricole e quello di alcuni manifestanti scesi in piazza il giorno dopo per protestare contro la violenza della polizia. C’è anche il sangue dei 10 impiccati a Chicago, nel 1887, tra operai e organizzatori sindacali, condannati per gli scioperi del 1 maggio. In mezzo, tra il volantino napoletano e quello degli ex Servirail ci sono le grandi manifestazioni sindacali e lo Statuto dei lavoratori, ci sono i divieti del governo Crispi alle manifestazioni pubbliche dal 1 al 4 maggio e i concerti organizzati a Roma da Cgil, Cisl e Uil dal 1990 in poi, c’è la sospensione della festa nel ventennio fascista ed il ripristino a fine guerra, nel 1945, c’è la strage di Portella della Ginestra, nel ’47, quando la banda di Salvatore Giuliano sparò su oltre duemila manifestanti per il pane e i diritti e ne uccise 11. Tra il volantino di Napoli e quello di Messina c’è un cammino fatto di conquiste, ma anche una lunga scia di sangue, iniziata davanti alla fabbrica di macchine agricole e con le parole di uno degli impiccati di Chicago prima di morire: “Salute, verrà un giorno in cui il nostro silenzio sarà più forte delle voci che oggi soffocate con la morte”. Quel sangue che pensavamo di aver cancellato con le battaglie sindacali non è scomparso. Improvvisamente, a distanza di un secolo gli imprenditori e i disoccupati che si tolgono la vita ci riportano alla domanda del volantino dei Servirail: “ perché festeggiare il lavoro in una realtà dove il lavoro non c’è”. Eccolo il filo rosso della Storia che per la prima volta dopo tantissimi anni deve portarci a riflettere sulla parola “festa”. Improvvisamente quella parola, “festa del 1 maggio”, divenuta con il passare degli anni occasione di scampagnate e grido di giovanile libertà nei concerti di Roma sembra una nota stonata. No, il 1 maggio 2012 non sarà una festa per i lavoratori italiani, perché non c’è proprio nulla da festeggiare. Il filo rosso tra il 1890 di Napoli e il 2012 di Messina si è spaventosamente accorciato. Togliamo da quel volantino le parole “proletari” e “padroni” e potrebbe essere scritto oggi. A Messina come a Milano. Con la differenza che a Messina la disperazione è sorda, e diventa rabbia se pensi che nel presidio Servirail alla stazione, a dicembre accanto agli striscioni, i licenziati hanno messo l’alberello di Natale, a Pasqua era ancora lì ed è ancora lì oggi e lo sarà probabilmente per la Madonna della lettera, se proprio vogliamo ripercorrere il calendario delle feste. Non abbiamo niente da festeggiare se mentre camminiamo per le vie del centro ci accorgiamo di quante saracinesche hanno il cartello con la scritta “vendesi” o “affittasi”, di quante aziende chiudono, e sarebbe profondamente ingiusto fare la “classifica” della disperazione. Disoccupati, cassintegrati, licenziati, lavoratori in nero, precari, ogni storia è diversa e in questo enorme buco nero non puoi stilare una graduatoria della sofferenza. Prima o poi tocca a tutti. Siamo stati zitti quando chiudevano i Molini Gazzi,quando spostavano i cantieri Rodriquez, quando la Birra Messina non era più “Messina”, quando la Pirelli per prima sbaraccava là dove le nostre operaie, prime in Italia, facevano i turni di notte. Siamo stati zitti quando, ben prima dell’11 dicembre 2011 i Servirail e i sindacati gridavano “attenti, stanno smantellando la marittima”, quando i lavoratori Atm e Messinambiente protestavano per gli stipendi. Siamo stati zitti perché non toccava a noi. Ma prima o poi tocca sempre a noi, a un nostro figlio, parente, amico, vicino. Non sono solo i 3 mila suicidi dall’inizio della crisi, le migliaia di aziende che chiudono, il tasso di disoccupazione, a farci riflettere. Deve spaventare anche il numero dei morti sui posti di lavoro e le condizioni in cui sono accaduti, come se il tempo si fosse fermato alle fabbriche di 100 anni fa. Mi spaventa terribilmente quel termine: “esodati”, una parola che viene dalla Bibbia, dall’esodo dei primi ebrei, e invece sono cittadini italiani che hanno sgobbato per tutta la vita. Mandi in strada migliaia di lavoratori e li chiami “esodati”, pensando con una parola asettica di cancellare le lacrime? C’è un baratro tra gli stipendi dei manager dei piani alti e quello degli ultimi. In America come in Italia è quattrocento volte lo stipendio di un comune mortale. Dovremmo iniziare dal ristabilire la decenza e forse davvero le parole del volantino di Napoli che nel 1890 distingueva “padroni” e “proletari”, rivedute e riadattate sono attualissime. Perché se una persona che guadagna 400 volte più di te decide che vai a casa allora è “padrone” della tua vita e della tua morte. E’ bella la storia di Gennaro De Falco, avvocato di Equitalia che ha detto “basta”. Il suo vicino di casa, una brava persona, gran lavoratore, strangolato da Equitalia, si è suicidato. E lui, l’avvocato di Equitalia, ha definito il sistema di riscossione “una macchina infernale” ha lasciato l’incarico e sta devolvendo gli incassi ai familiari dei suicidi. Fermiamoci e chiediamoci, dove stiamo andando? L’1 maggio 2012 è questo: riannodare quel filo rosso, fermare questa corsa che ci ha portato sul precipizio e imparare che dietro le cifre ci sono le persone. Nel 1887 un uomo che ha lottato per i diritti di chi sarebbe venuto dopo, davanti al boia ha detto: “un giorno il nostro silenzio sarà più forte delle voci che oggi soffocate con la morte”. Restituiamo voce a quel silenzio.
Rosaria Brancato

3 commenti

  1. Michele Barresi 29 Aprile 2012 10:56

    Colpito nel segno !

    Adesso vedremo se anche i miopi e i sordi capiranno che non c’e’ più tempo in questa città per egoismi e personalismi. E’ suonata l’ora del fare.

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  2. 8+

    Potrei copiarlo per gli esami

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  3. C’è un filo ROSSO che unisce la manifestazione dei Cavalieri del lavoro a New York il 5 sett 1882,per la riduzione dell’orario di lavoro,con quella funestata dai morti il 3 maggio del 1886 a Chicago e conosciuta come la rivolta di Haymarket.Il filo si dipana in Italia,appena si diffuse la notizia dell’assassinio degli esponenti anarchici di Chicago,dove il popolo livornese si rivolse prima contro le navi statunitensi ancorate nel porto,e poi contro la Questura,dove si rifugiò il console USA.Ed ancora il filo ROSSO si prolunga con la grandiosa manifestazione per il primo maggio 1913 ad Andria,e poi nel 1947,quando la ricorrenza del primo maggio venne funestata a Portella della Ginestra,dove la banda di Salvatore Giuliano sparò su un corteo di circa duemila lavoratori in festa, uccidendone undici e ferendone una cinquantina.Ma la grande conquista dei lavoratori porta la data del 22 dicembre 1947,con l’approvazione della Costituzione Italiana,la nostra LEX fondamentale e fondativa,con il suo MAGNIFICO primo articolo L’ITALIA E’ UNA REPUBBLICA FONDATA SUL LAVORO.
    Poi le lotte operaie DEGLI ANNI 50′ 60′ 70′ e i tanti diritti conquistati e sanciti dallo STATUTO DEI LAVORATORI.Da anni oramai i lavoratori sono aggrediti nei loro diritti e quel primo articolo qualcuno lo vuole cambiare.NO,mille volte NO, per il diritto al lavoro sono morti migliaia di uomini,ed oggi,cara Rosaria Brancato,a Messina la questione è di grande e drammatica attualità.E’ il momento di saltare con il cuore oltre l’ostacolo di chi vuole togliere dignità al LAVORO.

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