Maria Tretyakova, nel vortice del Romanticismo

Maria Tretyakova, nel vortice del Romanticismo

giovanni francio

Maria Tretyakova, nel vortice del Romanticismo

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martedì 26 Aprile 2016 - 07:43

Dai celeberrimi preludi di Chopin ai compositori russi del novecento, entusiasmante concerto al Palacultura per la giovane pianista moscovita

L’intera raccolta dei ventiquattro Preludi op. 28 di Fryderych Chopin fu finita di comporre nell’isola di Maiorca nel 1839, ma i singoli preludi hanno visto la luce in anni diversi. Lo stimolo che accelerò la formazione della raccolta fu dato dal costruttore di pianoforti Camille Pleyel, il quale ebbe l’occasione di ascoltare qualche preludio composto inizialmente e volle acquistare tutta la raccolta proponendosi come editore; Chopin, spinto da necessità, accettò e si premurò così di ultimare la raccolta, nonostante le precarie condizioni di salute.

Si tratta di ventiquattro autentiche gemme, brevi nella loro concezione, a parte il numero 15, probabilmente il più famoso, soprannominato “La goccia d’acqua” per via di una nota ribattuta che persiste in durante tutto il brano, ricordando appunto il cadere della goccia d’acqua. La raccolta di questi brevi capolavori racchiude nel suo complesso ogni aspetto della poetica musicale di Chopin, da quello triste, mesto e malinconico, come il n. 4 – che ha scandito un momento indimenticabile del film “Cinque pezzi facili” con Jack Nicholson – e il n. 6, a quello drammatico e impetuoso (n. 8, 12, 16, definito da Cortot “La course à l’abime”, 22, e lo straordinario n. 24), a quello di infinita dolcezza (n. 13, 15 e 17, quest’ultimo il preferito di Mendelssohn, molto simile per ispirazione alle sue “Romanze senza parole”), fino a quello leggero ed etereo (preludi n. 3, 10, 23). Non mancano i preludi che manifestano un senso di pura gioia, come i n. 5, 11,19, e 21, ma neanche quelli ispirati all’occupazione della sua amata Varsavia, come il bellissimo n. 20, mesto e funebre, che, secondo Huneker, in sole tredici battute racchiude la sofferenza di tutto un popolo. Alcuni sembrano anticipare altre epoche musicali, come il n. 2, dalle misteriose dissonanze, che ad alcuni ricorda addirittura Strawinsky. Già dal primo preludio si manifesta in tutta la sua evidenza il preciso riferimento ai preludi del “Clavicembalo ben temperato” di Johann Sebastian Bach, ma in quel caso ad ogni preludio segue una fuga, mentre le composizioni di Chopin sono pezzi compiuti. L’esecuzione della giovane pianista russa è stata personale, per nulla accademica, di grande impatto, anche se alcune scelte di accelerare troppo i crescendo hanno destato qualche perplessità, in particolare nel n. 17. In ogni caso la Tretyakova ha mostrato gran padronanza della tastiera, eseguendo i ventiquattro preludi a memoria, senza soluzione di continuità, alcuni dei quali di difficile esecuzione, dal punto di vista della tecnica pianistica, come in particolare il n. 16, eseguito superbamente. La seconda parte del concerto, dedicata a compositori russi, ci ha convinto ancora di più. Le “Variazioni su un tema di Corelli op. 42” di Sergej Rachmaninov in realtà dovrebbero chiamarsi variazioni sul tema “La Folia”, un’antica danza rinascimentale portoghese, un tema solenne in tonalità minore, sul quale diversi grandissimi compositori hanno composto variazioni, da Handel, con la sua celebre “Sarabanda”, a Vivaldi, con la sonata per violoncello, op.1 n. 2. Le variazioni più note e probabilmente più riuscite sono però quelle composte da Arcangelo Corelli sotto forma di sonata da camera, da qui il titolo delle variazioni di Rachmaninov. Si tratta di variazioni per lo più caratterizzate da un elevato grado di virtuosismo e difficoltà tecnica, forse un po’ esteriori, che arrivano a rendere il tema irriconoscibile, per poi farlo riemergere nella variazione finale. Impeccabile l’esecuzione della pianista russa, che ha esibito una sicura tecnica virtuosistica. Ancor di più ha impressionato l’esecuzione della “Sonata n.7 op. 83” di Sergei Prokofiev, un brano di difficilissima esecuzione. Composta nel 1941, in piena guerra, fece ottenere al musicista russo il premio “Stalin”. Definita da Mjaskovsky “superbamente selvaggia”, la sonata consta di un primo tempo “Allegro Inquieto” caratterizzato da un uso martellante della tastiera, alternato ad un secondo tema lirico e disteso; un secondo tempo “Andante Caloroso”, dal carattere sognante e lirico, e infine il terzo movimento, il celebre “Precipitato” un moto perpetuo di strabiliante difficoltà virtuosistica, in cui il pianista è costretto ad attingere a tutte le risorse tecniche, salti, incroci di mani, accordi ripetuti, senza un attimo di tregua.

Maria Tretyakova ha eseguito la sonata splendidamente, con grande precisione e soprattutto senso del ritmo. Avevamo ascoltato appena cinque giorni prima un’altra formidabile esecuzione di questa stessa sonata dall’allievo di Naborè, Marcos Madrigal, ma forse la Tretyakova è stata ancor più convincente, sotto il profilo interpretativo, avvantaggiata, forse, dalla sua nazionalità russa. Entusiasta il pubblico, al quale la brillante pianista ha regalato due bis, fra cui il celeberrimo Studio op. 8 n. 12 “Patetico” di Alexander Scriabin, un brano drammatico basato su imponenti ottave e accordi che cantano un tema disperato, “Patetico” appunto, mentre la mano sinistra costretta ad estendersi fino alla undicesima, accompagna il tema con vorticosi salti.

Giovanni Franciò

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