Fuori dagli scantinati autoreferenziali: l’aria nuova di “Terremoto”

Fuori dagli scantinati autoreferenziali: l’aria nuova di “Terremoto”

Domenico Colosi

Fuori dagli scantinati autoreferenziali: l’aria nuova di “Terremoto”

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giovedì 16 Luglio 2015 - 10:26

L’opera catastrofista di Saverio Tavano stupisce per l’innata capacità di dialogare con i classici senza alcuna pedanteria. Ottime le interpretazioni dello stesso Tavano, di Alessio Bonaffini e Gianfranco Quero per uno spettacolo destinato a far discutere a lungo pubblico e critica

Una catastrofe di incerta natura cancella ogni traccia di vita nel mondo. Due sopravvissuti si rifugiano in uno scantinato, incerti sul proprio futuro ed afflitti da ossessioni paranoiche, solitudine, allucinazioni e tormenti. Un terzo superstite, un ex politico rivoluzionario imbevuto di gaudente spiritualità, si ricongiunge con la propria terra e con i propri concittadini quando appare ormai evidente come sia impossibile riconsegnare un futuro al pianeta Terra.

Prendendo le mosse dal Samuel Beckett di "Aspettando Godot" e "Finale di partita", il drammaturgo messinese Saverio Tavano costruisce con "Terremoto" un’opera catastrofista interamente giocata sul claustrofobico senso di spaesamento di un’umanità tradita dall’ostinata certezza di un futuro. Presentato al Forte Teatro Festival in un’umida ed angusta saletta della fortezza di San Jachiddu, lo spettacolo si caratterizza per la calibrata consapevolezza di una messinscena volta a coinvolgere lo spettatore fino a renderlo fisicamente partecipe del dramma esistenziale dei tre sopravvissuti. Tavano riesce, inoltre, a coagulare con maestria citazioni e riferimenti ai classici del genere, dal romanzo "The Road" di Cormac McCarthy alle suggestioni dei film "1975: occhi bianchi sul pianeta Terra" e "Io sono leggenda" passando per l'iperrealismo dei primi lavori di Ciprì e Maresco e le opere del concittadino Spiro Scimone: richiami e rimandi evidenti e manifesti per una scrittura che si nutre di influenze in un amalgama privo di inutili stereotipi. Impeccabili le interpretazioni dello stesso Tavano, nel ruolo di un giovane ossessionato da insetti, televisione e paure ancestrali, e di Alessio Bonaffini, impavido sopravvissuto pronto a programmare ancora un futuro nonostante le copiose avversità. Gianfranco Quero, terzo protagonista nei panni di un politico vagamente somigliante al sindaco di Messina Renato Accorinti, regala vivacità e nuovi interrogativi ad una conclusione che non tradisce minimamente le dinamiche abilmente messe in scena nella prima parte della narrazione.

Con "Terremoto" Saverio Tavano compie dunque un nuovo passo avanti dopo il pluripremiato "Patres": se nell’opera precedente alcuni passaggi erano frenati da un’ambizione che con difficoltà si incanalava nei binari della scorrevolezza, con lo spettacolo portato in scena al Forte Teatro Festival le continue citazioni trovano sempre la giusta collocazione, esaltando senza tentennamenti tutti gli sforzi creativi e registici. "Terremoto" è un’opera destinata a restare memorabile e a dividere senza polemiche il pubblico: fuori dagli scantinati autoreferenziali di buona parte delle attuali produzioni teatrali, un’aria nuova può ancora coinvolgere ed entusiasmare.

Domenico Colosi

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