“Gatta ci cova”: Lorenzo Guarnera porta la sicilianità al Teatro Vittorio Emanuele

“Gatta ci cova”: Lorenzo Guarnera porta la sicilianità al Teatro Vittorio Emanuele

Emanuela Giorgianni

“Gatta ci cova”: Lorenzo Guarnera porta la sicilianità al Teatro Vittorio Emanuele

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lunedì 11 Novembre 2019 - 08:02

La commedia tutta siciliana “Gatta ci cova” arriva al Teatro Vittorio Emanuele, il 10 novembre, con l’Associazione Teatrale e Culturale Lorenzo Guarnera.

La storia

Una masseria siciliana; usi e costumi di una Sicilia antica, umile, attaccata a principi e valori di un tempo; un’aspra battaglia familiare per la “roba”, con forti echi verghiani e pirandelliani.

È la storia di “Gatta ci cova”, in scena al Teatro Vittorio Emanuele di Messina domenica 10 novembre, con la regia di Lorenzo Guarnera. Due spettacoli: uno pomeridiano alle 17,30 e uno serale alle 21,15, presentati da Paola La Badessa.

Inizialmente intitolata “L’articolo 1083”, è la magistrale commedia in tre atti del catanese Antonino Russo Giusti, la quale racconta, tramite di contese e cavilli giudiziari, molto cari al suo creatore, la Sicilia della seconda metà del XIX secolo. Diviene “Gatta ci cova” nel 1937, quando a interpretarla è uno dei più grandi della commedia dialettale siciliana, Angelo Musco, insieme a Rosina Anselmi, nella versione cinematografica, diretta da Gennaro Righelli.

L’Associazione Teatrale e Culturale Lorenzo Guarnera

E arriva, oggi, a Messina grazie all’Associazione Teatrale e Culturale Lorenzo Guarnera e alla sua forte interpretazione. L’interesse principale dell’associazione è difendere e diffondere il valore di capolavori siciliani, come già fatto con le sue due precedenti rappresentazioni: “L’eredità dello zio canonico” sempre di Antonio Russo Giusti e “San Giovanni Decollato” di Nino Martoglio.

In scena

Con “Gatta ci cova” il pubblico viene trasportato in un viaggio nel tempo, condotto in una tanto amata Sicilia di fine 1800, all’interno di una ricca masseria.

È la casa di Padron Isidoro, un proprietario terriero il quale, a causa di una caduta da un albero da bambino, porta con sè un deficit mentale che lo rende il più possibile estraneo a malizia, furbizia e cattiveria. Tutto il contrario della sorellastra Donna Antonia, la quale tenta di rubargli la sua terra; ma Isidoro, facendo riferimento proprio al vecchio articolo 1083, riguardante l’adozione o la legittimazione di un figlio, riesce a rientrare in possesso delle proprietà, potendole lasciare al suo erede. Riconosce, infatti, come suo il bambino che Vanna, giovane figlia della massaia, porta in grembo, rendendo vano ogni furbo tentativo della sorella, grazie al fatto che “Accà gatta ci cova!”.

Una storia a lieto fine, dove la bontà e l’ingenuità si confrontano con cattiveria e malizia, ma riescono a trionfare notevolmente (al punto tale da far desiderare a Donna Antonia di battezzare il nascituro), mettendo in luce personaggi volutamente esagerati, comici, a tratti ridicoli, cui però ci si affeziona immediatamente; tradizioni popolari, valori e costumi tipici della nostra terra; e un’antica ma eternamente attuale guerra per “la roba”, la ricchezza, la voglia di possedere, ad ogni costo.

Sono diverse, però, le ragioni della contesa per i due fratelli. Per Antonia vi è il desiderio di arricchirsi in maniera veloce, scorretta e opportunistica; per Isidoro, invece, vi è la volontà di non privare i suoi uomini di una casa, di un lavoro.

Il conflitto tra Antonia e Isidoro è il conflitto tra due poli, tra “il bene e il male”, tra due modi opposti di essere, di agire, di vivere e tra due opposti aspetti della nostra cultura. Antonia con la sua voglia di arrivare, di distaccarsi, anche, dalle proprie radici, dalle proprie origini e dal proprio ceto, come dimostrano il suo modo di vestire, di comunicare e di atteggiarsi, rappresenta il polo negativo, gli aspetti più beceri della nostra terra e della nostra cultura. Don Isidoro è, al contrario, nella sua semplicità, l’incarnazione della virtù. Non un padre padrone come per molti personaggi verghiani, ma un padrone padre, sempre presente e vicino ai suoi uomini, pronto ad ascoltarli, a confortarli e a correre in loro aiuto, a tal punto da chiedersi spesso “e che sono un parrino?”

La sua complessa personalità è, perfettamente, esplicata dall’interpretazione di Lorenzo Guarnera, realizzatore, regista e protagonista dello spettacolo, attento ad ogni dettaglio, dalla camminata curva e forzata, alla ripetizione dei tic nervosi come il tremolio della gamba e il battere continuo delle dita sul tavolo.

Ogni personaggio, nelle sue esagerazioni, ci porta in quel tipico clima paesano, tanto pettegolo quanto attento e disponibile, tanto sadico e invidioso quanto familiare e caloroso, costituito dalle comari; dagli esilaranti pretore, cancelliere e perito; da Iole e il suo fidanzato ingegnere che parla solo e rigorosamente un ampolloso italiano e da chiunque altro partecipi a questa aspra guerra alla “roba”, in una Sicilia del passato, in realtà, sempre presente, in cui lo spettatore si sente protagonista, partecipando attivamente e godendosi continue risate.

Ad intensificare il tutto è il dialetto che, sebbene fitto, preciso e a volte difficile da afferrare immediatamente, con le sue frasi idiomatiche, i suoi modi di dire e la mimica irripetibile conferisce un valore aggiuntivo a dialoghi e personaggi, rendendoli unici.

Un mix perfetto di elementi diversi, che fa sorridere con quell’ironia di stampo pirandelliano, in cui la risata spontanea per gli atteggiamenti apparentemente ridicoli dei personaggi lascia posto ad una più profonda riflessione; e che consegna al pubblico, che ha seguito con passione la vicenda, il tanto atteso lieto fine, ancora una volta di verghiana memoria, in cui i vinti sono i veri vincitori.

Il cast

Merito della compagnia in cui, accanto a nomi noti, quali Ivana Pittella, Grazia Alfieri, Adone Guerrini, Gaetano Murabito, Silvana Foti, Giuseppe Tuzzo, Franco Trimarchi, Carmelo Tripodo e Dino Parisi, troviamo giovani artisti emergenti quali Sabrina Samperi, Marcello Minutoli, Roberta La Rocca, Francesco Scarfì, Fabrizio Siracusano.

Merito della straordinaria partecipazione di Felice Currò nel Canto alla Chianisa, il canto folk che ci guida e accompagna nel mondo raccontato e, ovviamente, a Lorenzo Guarnera.

Di Carmelo Samperi per i costumi, per luci e audio di Dino Privitera, per la scenografia di Davide Balsamo, per il trucco di Cristina Sciacca e Valeria Botta. Di Giovanna Raffa, Nancy Barbaro, Lidia Polimeni, Annalisa Maiorana che collaborano alla scena; di Ylenia Cambria per la comunicazione; di Franco Maricchiolo e Donato Grimaldi per le foto e di Andrea Guerrini per le riprese televisive.

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