"Grigia assenza", una riuscita messa in scena al Teatro dei 3 Mestieri

“Grigia assenza”, una riuscita messa in scena al Teatro dei 3 Mestieri

Tosi Siragusa

“Grigia assenza”, una riuscita messa in scena al Teatro dei 3 Mestieri

sabato 22 Febbraio 2025 - 17:51

Una felice drammaturgia di Roberto “Tito” Cossa e la valida regia di Stefano Angelucci Marino. Bravi gli interpreti

MESSINA – La pièce “Grigia assenza” al messinese Teatro dei 3 Mestieri per la bella stagione attuale “Irrefrenabile follia”, 21 e 22 febbraio, con felice drammaturgia di Roberto “Tito” Cossa. Uno spettacolo con la traduzione e sotto la direzione di Stefano Angelucci Marino. E con le interpretazioni ben calibrate di Rossella Gesini, Giordano Gaspari, Paolo Del Peschio e dello stesso Angelucci Marino.

Una finta normalità a celare profonda infelicità nella riuscita pièce

Siamo stati immessi nell’universo denso di spaesamento di una famiglia italo- argentina simile a tante altre, ma diversa nel personale sradicamento.

I famigerati anni Ottanta, per alcuni “fabulosi”, per molti sono stati anch’essi forieri di disagi cumulati nei decenni passati, che l’apparente sfavillio non riesce a coprire.

Una congerie di disadattati, quella magistralmente proposta, che dell’oggettiva alienazione con concause differenti, è vittima in guisa differenziata. La famiglia, di genesi italiana ma immigrata in Argentina, ritornata nel nostro Paese, gestisce a Roma un esercizio di ristorazione, “La Argentina”.

Le maschere utilizzate, assai confacenti alla “performance”, si sono attestate al Maestro Stefano Perocco di Meduna.

Ben studiati i colorati costumi di scena di Vize Ruffo, con rimandi ad un folklore sudamericano.

Attraverso il cennato, a tratti volutamente patetico mascheramento, reso anche con l’abbigliamento consono riferito, hanno assunto mano a mano forma, con l’ausilio della gestualità e delle parole, e preso vita i protagonisti. Accanto alla madre Lucia, che ha serbato le radici della italianità, ma che, come si vedrà, proprio per questo riesce solo a malincuore a reiterare gestualità latino-americane, ha trovato allocazione la figura della figlia Frida, che, rigettando sia il vissuto sudamericano, che quello italiano, si percepisce connessa alle espressioni promananti dal mondo madrileno, da quella città ove intende vivere, sposando il suo Manolo.

È assente il figlio, che, come la sorella, sembra aver rifiutato la propria provenienza, e utilizza, nelle conversazioni telefoniche, la lingua inglese, quella della capitale londinese che lo sta ospitando.

Si devono delineare ancora i bellissimi personaggi, quello del nonno, che vorrebbe intonare melodie italiane per i clienti, disdegnando di cantare la “Cumparsita”, come, invece gli si continua a richiedere e che non pare ravvisare differenza alcuna fra le capitali, italiana e argentina, con i due Paesi, che nelle sue rimembranze si sono confusi fino a divenire un tutto indistinto, e dello zio Ciccio, che detesta il nostro Paese e i suoi abitanti, avendo lasciato il cuore a” Buona Saira”.

Menzione merita poi il gestore del locale, il caparbio Dante, marito di Lucia, che con disperata ostinazione tiene salde le fila di quella recita alla quale ha voluto credere…finchè la finzione emerge prepotente, e i familiari superstiti, ad uno ad uno, si ribellano “in primis” a quella danza con rimandi argentini, che devono eseguire ad uso e consumo dei fruitori del punto di ristorazione.

Se il registro oscilla sempre fra l’ironia e il divertissement, la cifra di fondo è, invero, la malinconia, l’assoluta e inguaribile carenza di autentica felicità, che ha lambito tutti i componenti della famiglia allargata in rappresentazione, come traspare da quei dialoghi molto semplici e scarni.

È predominante infatti quella grigia assenza dell’intitolazione, che rende ciascun componente a proprio modo in conflitto con se stesso, in ragione degli sconvolgimenti psichici generati dalla migrazione che ha investito ben tre generazioni, causando la perdita di qualsivoglia identità, o meglio, la mancata creazione di tratti identitari via via consolidati. Allora, forme di accesa incomunicabilità generazionale, unitamente alle barriere linguistiche innegabili, hanno prodotto residui nostalgici, ribellioni e mancanza di radicamento, anche per i bisogni economici di certo non soddisfatti.

Il quadro di un contesto familiare allargato, che non è riuscito a farsi vera famiglia, insomma, continuando a perpetuare cliché afferenti a chi quello sradicamento non è riuscito a superare, lasciandoselo alle spalle, con la costruzione di una appartenenza, nella quale davvero ritrovarsi.

Una magistrale Produzione Teatro Stabile d’Abruzzo, in collaborazione con il Teatro del Sangro, con le componenti sceniche afferenti a Luisa Nicolucci, essenziali nella restituzione di un piccolo universo non più genuino, ma contaminato, ove il ritorno nel proprio Paese non ha comportato un vero riappropriarsi dell’identità perduta irrimediabilmente, talchè può ben dirsi che quel quadretto familiare rimandi a dei “senza patria”.

Ilpubblico ha espresso convinto gradimento per una pièce di grande impatto, che avrebbe meritato, anche per la resilienza e professionalità dei direttori del Teatro dei 3 Mestieri, un giusto sold out.

Tornando allo script eccellente di Roberto Cossa, giova menzionare le sue origini di Campobasso ma la sua nascita a Buenos Aires, negli anni Trenta, e la sua recente dipartita nel giugno del 2024. Medico mancato, giornalista, ma soprattutto dotato di forte vocazione teatrale, ha portato in scena i contrasti esistenziali, con attenzione all’elemento etico, per generare un rispecchiamento nella coscienza comune dell’America Latina. Il drammaturgo, insomma, a buon titolo fra i più valenti esponenti del Teatro Abierto, nel periodo di fine dittatura in Argentina, ha rappresentato quella nostalgia di chi rimane sempre in bilico, portandosi dentro le tradizioni e il sentire di due differenti Paesi, che non si sono amalgamati, come abbiamo visto succedere anche nella rappresentazione odierna.

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