Il “bis del bis”. Considerazioni a margine di una rielezione (quasi) annunciata

Il “bis del bis”. Considerazioni a margine di una rielezione (quasi) annunciata

Redazione

Il “bis del bis”. Considerazioni a margine di una rielezione (quasi) annunciata

domenica 30 Gennaio 2022 - 09:56

di Alberto Randazzo

Alle 20.53 del 29 gennaio 2022, in un’Aula eccezionalmente mezza vuota, il Presidente della Camera Fico proclama eletto, con 759 voti, Sergio Mattarella, 13° Presidente della Repubblica italiana. Bis, hanno gridato gli spettatori (parlamentari) alla fine del loro stesso “spettacolo” durato cinque giorni. Viene in mente l’immagine della splendida (e opportuna) standing ovation riservata a Sergio Mattarella al “Teatro alla Scala”, il 7 dicembre 2021.

Sì, abbiamo il “nuovo” Presidente della Repubblica! Mentre ci rallegriamo che sia stato superato lo stallo e non si sia ulteriormente prolungato lo stato di confusione politica nel quale si sono trovati gli elettori del Capo dello Stato, non possiamo fare a meno di riflettere sulla vicenda alla quale abbiamo assistito.

La premessa è che, a mio avviso, Sergio Mattarella abbia interpretato al meglio la carica che ha rivestito negli ultimi sette anni e lo stesso farà nel futuro, ne sono certo. Manifestando alto senso dello Stato, il Presidente uscente dal Quirinale è stato disposto a rientrare nel Palazzo. Chiarito questo, occorre fare qualche considerazione, per partecipare in modo non acritico o da spettatori passivi ad uno dei più importanti snodi della vita repubblicana.   

LE DIFFERENZE CON IL BIS DI NAPOLITANO

Che l’uomo che ricopre la più alta carica dello Stato potesse essere rieletto è cosa nota, la Costituzione non lo vieta e con Napolitano, come sappiamo, era già accaduto. Così, oggi, ci troviamo dinanzi al “bis del bis”. Però, mentre nel 2013 era apparsa una assoluta eccezione (d’altra parte, si trattava della prima volta), adesso questa opzione sta prendendo le sembianze, se non di una vera e propria consuetudine costituzionale, senz’altro di una via agevolmente percorribile quando le forze politiche si trovano in evidente difficoltà, manifestando un preoccupante stato di sbandamento. Eppure Sergio Mattarella aveva più volte manifestato ad alta voce (e molto opportunamente) la sua indisponibilità a proseguire, perfettamente in linea con una tradizione consolidata e con il senso costituzionale della carica. Tuttavia, che quello al quale abbiamo assistito potesse essere l’epilogo non era difficile da immaginare, tanto che in altra sede avevo fatto presente che il Presidente uscente avrebbe sicuramente rivisto le sue originarie determinazioni qualora la necessità lo avesse richiesto e non vi fossero le condizioni per individuare un altro inquilino del Quirinale. Così è accaduto.

Ho sentito dire a qualcuno che, in fondo, il Capo dello Stato uscente non aveva realmente escluso tale opzione, ma questo fa parte di una dietrologia che non mi appassiona, non volendo azzardare un “processo alle intenzioni”. Sono abituato a riflettere su dati tangibili.

Tra le tante possibili, avevo anche preso in considerazione l’ipotesi che il Capo dello Stato uscente potesse accompagnare il Paese fino al termine della legislatura per poi “spianare” la strada che porta al Colle all’attuale Presidente del Consiglio Draghi. Anche questa, obiettivamente, sarebbe stata (o sarebbe) una via non praticabile a priori, in quanto nessun Presidente potrebbe mai accettare una eventuale proposta di proseguire il mandato per un tempo determinato, inferiore a quello previsto dalla Costituzione, salvo che non lo dica spontaneamente adducendo ragioni di carattere personale, com’è accaduto per Napolitano. In altri termini, se è vero che potrebbe dichiarare pubblicamente di voler affrontare un altro mandato solo per il tempo necessario per risolvere una grave crisi istituzionale in corso, nessuna forza politica potrebbe permettersi di proporre al Presidente entrante di rimanere in carica per un tempo stabilito in anticipo, inferiore a sette anni. Qualora qualcuno osasse fare un’operazione del genere e la persona designata accettasse si creerebbe un vulnus alla più alta carica dello Stato; da Einaudi in poi, fino alle dichiarazioni dell’ultimo messaggio di fine anno, la costante preoccupazione dei Capi di Stato è stata (o sarebbe dovuta essere) quella di “salvaguardare ruolo, poteri e prerogative dell’istituzione che riceve dal suo predecessore e che […] deve trasmettere integri al suo successore” (Sergio Mattarella, 31.12.2021).

IL NUOVO SETTENNATO

Pertanto, adesso inizia un nuovo settennato del Presidente Mattarella; solo il tempo ci dirà se verrà portato a termine. Non è questa la sede per riflettere sulle possibili implicazioni che potrebbero aversi (il condizionale è d’obbligo, visto che sarebbe la prima volta e non abbiamo esperienza in merito) qualora ciò accadesse sulla forma di Stato e sulla forma di governo. Si possono solo avanzare alcune ipotesi, ma non in questa occasione.

Fatte queste considerazioni, è adesso opportuno soffermare l’attenzione su alcuni aspetti che sono venuti a galla negli ultimi giorni, rilevando che – come al solito – i momenti di crisi non fanno altro che rendere visibili ed esaltare problemi già presenti (questo, ad es., è quanto accaduto in svariati ambiti della vita con la pandemia).

LE FRAGILITA’ DELLA POLITICA

In una circostanza come quella che abbiamo vissuto sono emerse, in modo impietoso, tutte le fragilità della politica italiana. Non c’è da meravigliarsi. Provo a metterne in luce alcune, con gli “occhi” del cittadino “qualunque”, precisando che, a prescindere se siano corrette o meno le valutazioni che adesso si faranno, riveste particolare importanza l’immagine che la classe politica e, nello specifico, il Parlamento, massimo organo rappresentativo e deliberativo dell’ordinamento, offre di sé al popolo. In altre parole, ciò che appare all’esterno è fondamentale per alimentare la fiducia dei cittadini nelle istituzioni, assai importante in una liberal-democrazia, anche per la coesione sociale che a sua volta è un valore da salvaguardare, specie in un tempo di crisi, come quella sanitaria che stiamo vivendo.

La prima cosa da rilevare è che le forze politiche sembra siano arrivate all’appuntamento, uno dei più importanti della vita repubblicana, totalmente impreparate, iniziando a confrontarsi davvero solo dopo quattro o cinque giorni, aggravando la situazione. Per dirla con Franco Battiato, “povera Patria”…

Quanto ora detto dice almeno una cosa: il dialogo, che dovrebbe essere stile e usuale metodo del “fare politica” nonché mezzo per il perseguimento del Bene comune, appare strumento eccezionale che viene usato quando proprio non se ne può fare a meno. Forse si tratta di una visione troppo pessimistica, ma di certo sarebbe auspicabile che il dialogo si praticasse maggiormente e costituisse anzi la regola. Se la democrazia implica il “ragionare insieme” (G. Zagrebelsky), quando ciò non avviene (o avviene in ritardo), essa entra in sofferenza.

IL TRISTE VALZER DEI NOMI

Abbiamo assistito ad un triste “walzer” di nomi; Gianni Morandi avrebbe detto: “uno su mille ce la fa”…

In questo balletto, ad es., è stata mandata (o forse è voluta andarci lei) allo “sbaraglio” la seconda più alta carica dello Stato e poco mancava che la stessa sorte toccasse al Direttore generale del Dipartimento delle informazioni per la sicurezza. Così, mentre uno dei “papabili” diventava Presidente della Corte costituzionale (Giuliano Amato), si è deciso di tornare al “giro di partenza” e scegliere la soluzione più semplice.

Non volendo affatto banalizzare la complessa situazione politica, viene in mente il proverbio: “chi lascia la via vecchia per quella nuova, sa quel che lascia ma non quel che trova”. Però la scelta di tornare da Mattarella con un nulla di fatto per chiedergli di ripensarci, dopo averle provate tutte (o quasi), ha il sapore dell’“ultima spiaggia”.

Inoltre, sento i nostri rappresentanti molto soddisfatti della soluzione trovata, che a loro avviso rinsalda la forza del Parlamento e del nostro Paese in generale. Per me, invece, quanto accaduto ha il gusto amaro della sconfitta della politica, che non ha saputo esprimere un nome condiviso, non ha saputo individuare una persona – come Mattarella, appunto – con un’importante esperienza politica alle spalle, pur senza essere un leader di partito. A tal proposito, ciò che intendo dire è che, almeno tendenzialmente, è auspicabile che il Presidente sia una figura “politica” (e, possibilmente, non un tecnico) ma non un capo politico. Dobbiamo concludere, alla luce dei fatti, che mancano personalità (nuove) all’altezza del ruolo? Non voglio arrivare a dare una risposta affermativa a questa domanda. Certo è che, pur considerando che esse vi siano, gli elettori presidenziali non sono stati in grado di individuarle. Questo, ahinoi, è palese e non è affatto confortante.

LA CRISI DEL LEADERISMO

Quanto accaduto, poi, ci dice l’estrema frammentazione delle forze politiche e la crisi del “leaderismo” (e del concetto di leadership), facendoci ben comprendere la distinzione tra l’essere un leader e l’essere un capo. Si ha conferma che ci troviamo in un tempo in cui se, per un verso, la politica e la società della c.d. “seconda Repubblica” (per usare un’espressione giornalistica che non amo) hanno bisogno di “capi”, per altro verso, questi ultimi, non sono neanche lontanamente paragonabili ai leader della c.d. “prima Repubblica”.

Molte altre considerazioni sarebbero da fare, ma la sede non lo consente. Permettetemi di chiudere con l’auspicio che si avvii, a tutti i livelli, un processo di generale sensibilizzazione alla politica, alla formazione socio-politica e al risanamento della politica, affinché il futuro ci riservi un salto di qualità, nell’interesse del Paese, alla luce dei valori costituzionali che danno “forma” all’etica pubblica repubblicana che permea la Carta del ’48, che richiede di essere costantemente attuata da ognuno di noi nella vita quotidiana. Formulo i miei migliori e sinceri auguri, pregni di stima e gratitudine, al Presidente Mattarella

Un commento

  1. L’espressione di una politica bigotta e pagnottista dopo otto scrutini. Rimanere inchiodati alla poltrona per altri due anni è troppo comodo invece di vedersi dimezzati i parlamentari con le nuove elezioni se avessero votato Draghi (con tutto il rispetto per Mattarella) . Adesso spunta Di Maio che dà la colpa a Conte , …….. ma lui dov’era, all’estero ? Ipocriti opportunisti che non hanno voluto fare una riforma seria della legge elettorale e della giustizia. Ci si riempe la bocca di progresso, del nuovo e largo ai giovani. Un patto ordito da Lega e 5 stelle per evitare di essere cancellati dalle future elezioni . Spero che gli Italiani si ricordino di voi per quello che state facendo .

    0
    0

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Commenta
Tempostretto - Quotidiano online delle Città Metropolitane di Messina e Reggio Calabria

Via Francesco Crispi 4 98121 - Messina

Marco Olivieri direttore responsabile

Privacy Policy

Termini e Condizioni

info@tempostretto.it

Telefono 090.9412305

Fax 090.2509937 P.IVA 02916600832

n° reg. tribunale 04/2007 del 05/06/2007