Il Cammellaccio nella solennità del Ferragosto messinese

Il Cammellaccio nella solennità del Ferragosto messinese

Daniele Ferrara

Il Cammellaccio nella solennità del Ferragosto messinese

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martedì 13 Agosto 2019 - 07:45

Di quest’animale se ne parla dalla fine del Cinquecento, ma fu lasciato più volte in deposito nel corso dei secoli.

Nell’atmosfera solenne del Ferragosto, fra i seriosi colossi a cavallo e l’imponente carro dell’Ascensione, l’elemento di vivacità, il più simpatico, è il Cammellaccio.

Dall’aspetto il nostro s’identifica come Camelus bactrianus, ovvero il cammello propriamente detto: ha due gobbe definite, vello folto (un tempo) e robusta stazza. Questo cammello è originario delle steppe del continente asiatico, ma non è un animale per nulla estraneo alla Sicilia: cammelli e dromedari furono introdotti come mezzi di trasporto e da carico sin dall’Impero Romano.

Questa machina ferina è costituita da testa, collo, tronco e coda di cammello dal pelo simulato di color maggese e ricoperto di bardatura in tessuto rosso bordato d’oro, montato su ossatura lignea sostenuta da due uomini che fanno delle proprie gambe le sue zampe, indossando (prima) i pantaloni bianchi dei Portatori dei Giganti.

Di quest’animale festivo se ne parla dalla fine del Cinquecento, ma fu lasciato più volte per decenni in deposito nel corso dei secoli e in quest’epoca addirittura ha ripreso piede solamente da un ventennio, dopo anni e anni d’oblio. Vogliamo raccontare com’era l’apparizione di questa bizzarra figura, poiché com’è lo sappiamo già.

Il Cammellaccio giunge, anzi irrompe, per le vie di Messina, a più riprese: precede d’un giorno i Giganti aprendo il Ferragosto e alla loro uscita li accompagna. Ma è la vigilia dell’Assunzione il giorno suo in cui si muove in totale autonomia, anche se nel Cinquecento forse bazzica attorno alla Vara. Ha un’andatura incerta ma fin troppo sicura, come se fosse ubriaco: percorrendo la strada non tira dritto, ma oscilla e danza, andando quasi a sbattere da un lato e poi volgendosi all’altro tracciando un percorso arzigogolato che causa la continua rottura degli accerchiamenti. Qualche volta accelera e trotta, altre volte prende la rincorsa e salta meravigliando la folla.

L’animale colto dall’ebbrezza non è solo: quelli che lo accompagnano sono i Saraceni, vestiti perlopiù di bianco all’arabesca, alcuni ballano, uno di loro suona la zampogna con ritmo incalzante istigando l’animale imbizzarrito nel suo bagordo, altri sono flautisti e tamburini. Ma non è lasciato a sé stesso il Cammellaccio, e questo fa pensare che sia malignamente condotto: appiedato, ne tiene le redini un uomo dall’aspetto minaccioso e rubicondo al tempo stesso, vestito similmente agli altri Saraceni ma con una lunga barba appuntita e un copricapo a punta cadente, che con la mano libera brandisce un bastoncello alla cui estremità sono fissate vesciche di maiale che usa per scudisciare i malcapitati ch’egli trova rei di qualcosa, mentre altri portano una scatola per raccogliere denari.

Nei secoli passati, il cammello ha gola cava e in essa può scivolare tutto il cibo che gli viene ammannito o che decide d’ingurgitare di propria sponte, finendo in una sacca stomacale situata fra i due portatori; infatti s’aggira fra le botteghe e fa razzia dei viveri esposti, con il benestare dei mercanti che in quest’unica occasione accettano d’essere derubati.

Da questa strana cerimonia errante è derivato anche un modo di dire messinese:
“fare il cammello”, inteso come “agguantare le cose avidamente”, che non si spiegherebbe se non derivandolo dall’animale allegorico.

Si può desumere che la manifestazione odierna è una mera ombra di quella che fu fino a poche centinaia d’anni fa, ma basta guardare a poco più di dieci anni fa per riviverne gli ultimi fasti. Si vuole che questa maschera s’origini dal cammello che il granconte Ruggero d’Altavilla montò in trionfo a Messina dopo la conquista, avendolo preso per proprio bottino dagli averi dello sconfitto Principe di Messina, Grifone. Per molti
secoli sull’intelaiatura era stesa la vera pelle del cammello di Ruggero,
ossequiosamente conservata dopo la sua morte come una reliquia (similmente alle antichissime usanze egizie) ma andata perduta nelle ultime devastazioni.

Un’altra interpretazione accomuna la machina ferragostana ad altre similari che appaiono anche nell’italica Calabria: questo finto cammello che gira depredando sbeffeggia i riscossori delle tasse degli emiri, che venivano a cammello (ottimo per caricare le bisacce d’ori). A lungo, insomma, il Cammellaccio è un simbolo di patriottismo, ma possiamo giungere però a un’altra spiegazione.

L’irrequietezza, la danza selvaggia, l’esagerazione, sono caratteri proprî dei culti dionisiaci, eppure raramente vi si associa il cammello. Il nesso più sensato è l’epico viaggio che Dioniso Bacco fece verso l’Oriente, che gli permise di ritornare sull’Olimpo come un dio dopo la caduta.

Lo stravagante seguito del grande Bacco si componeva anche di numerosi animali delle terre raggiunte, che l’avevano seguito come loro padrone: fra loro c’era il Camelus bactrianus. Il Cammellaccio è un cammello ubriaco, inebriato dei fluidi mistici di Dioniso Liberatore.

Il suo conduttore è un satiro al servizio di Bacco; i Saraceni sono i suoi seguaci. Il motivo
della collocazione ferragostana di un rito dionisiaco rimane tuttavia un’incognita. La manifestazione del Cammellaccio era e rimane densamente misteriosa, e proprio per questo merita maggiore attenzione da parte di tutti.

Daniele Ferrara

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