A tu per tu con Gianfranco Jannuzzo

Poco prima dell'inizio del suo spettacolo "Girgenti …e la processione di San Calò", andato in scena ieri sera al Monte di Pietà, Tempostretto.it ha l'onore di incontrare Gianfranco Jannuzzo, amatissimo comico siciliano. Alunno della scuola di recitazione di Gigi Proietti, Jannuzzo ha dedicato la sua vita al teatro, lavorando con Gino Bramieri, Garinei & Giovannini e altri grandi, partecipando a diversi varietà televisivi di RaiUno per la regia di Antonello Falqui.

​Con Jannuzzo discutiamo di Sicilia e di sicilianità, dei mali endemici che attanagliano la nostra terra, e da dove nasce la sua passione per la recitazione e per le imitazioni.

Lei, da giovane, ha partecipato al laboratorio di esercitazione teatrale di Gigi Proietti a Roma: quale ricordo serba con sé di quell’esperienza e cosa le ha dato Proietti come attore e come uomo?

E’ una domanda alla quale rispondo molto volentieri, perché sono legatissimo a quel periodo. Proietti, con un atteggiamento quasi pioneristico, fondò il Laboratorio delle esercitazioni sceniche e aveva in mente il modello dell’attore americano, che fosse più eclettico possibile, che potesse saper fare tutto: cantare, ballare, fare il comico e il drammatico. Siamo stati noi italiani ad aver frazionato le cose e settorializzato tutto, sbagliando, perché la disciplina è, e deve essere unica e di ‘disciplina’ parlo non a caso, perché si tratta di una disciplina ferrea. Lo stesso Proietti, che sembra un uomo divertito, scanzonato, e che lo è, quando c’è da lavorare è un tedesco! Ci ha insegnato a non prenderci troppo sul serio, nel senso che ci invitava a non avere atteggiamenti da divo, dato che ancora non eravamo nessuno, ma, nello stesso tempo, ci diceva che questo era un lavoro serissimo. Quindi da ciò ho imparato quello che deve essere l’approccio mentale al mestiere. Puoi pure avere talento, una dote particolare, puoi pure divertire i compagni a scuola e quindi essere uno spiritoso, ma occorre sempre lo studio e l’esercitazione continua..

Ecco, lei a scuola com’era?

Molto divertente, dicono i miei compagni. Tutto è nato dalle imitazioni dei professori, dei compagni di scuola, insomma dalle cose che fanno tutti…

E quanto c’è nei suoi personaggi di quei professori, di quei compagni?

Credo tantissimo, molti personaggi li ho costruiti proprio partendo da lì…

Lei ha dedicato un intero spettacolo “Nord e Sud”, scritto insieme a Renzino Barbera, alla caratterizzazione dei personaggi della penisola italiana, spiegando bene le differenze che esistono ma scorgendo anche le somiglianze…

Questo deriva dalla possibilità che ho avuto di osservare come siamo fatti noi italiani. Io sono siciliano, ed orgogliosissimo di esserlo, ma prima di tutto sono italiano. Noi tutti deriviamo da quel ceppo lì. Pirandello, Manzoni, Petrarca sono, oserei dire, ‘roba di tutti’. Poi c’è un motivo in più per essere orgogliosi di essere italiani, e, nel nostro caso, siciliani: quando i giovani, soprattutto inglesi, venivano in Italia a fare il Grand Tour, concludevano sempre il loro viaggio in Sicilia; e come noi tutti sappiamo, il tedesco Wolfgang Goethe, quando venne in Sicilia disse che "l’Italia senza la Sicilia non lascia immagine di sé nell’anima: qui è la chiave di tutto".

“Girgenti… e la processione di San Calò”: come mai questo titolo?

Lo spettacolo, in questa edizione, nasce pensato per l’estate e per la sicilianità. Il testo di riferimento che è “Girgenti amore mio”, nasce dall’orgoglio e dal forte senso d’appartenenza alla propria terra, quale che sia e dalla triste necessità di dover andare via. Noi meridionali e siciliani, in particolare, siamo più propensi a parlare di radici, di terra. Non a caso ci chiamano terroni… (ride). Inoltre, quello che voglio dimostrare con questo spettacolo è che noi siciliani, in tempi di respingimenti, non sappiamo nemmeno cosa sia il razzismo. Quante carezze hai visto dare dai ragazzi delle forze dell’ordine a quei signori neri, che arrivano distrutti sulle coste di Lampedusa? Non conosciamo la discriminazione, tant’è vero che veneriamo un santo nero, che è San Calò. Ma questo accade anche da altre parti della Sicilia, penso alla vostra Madonna di Tindari… Noi siciliani, sappiamo sulla nostra pelle, che il miglioramento arriva solo dal confronto. Perché i nostri uomini e le nostre donne sono i più belli del mondo? (ride) Perché sono frutto di un incontro tra razze diverse…

In un appunto leggo un noto proverbio siciliano che la dice lunga su uno dei mali endemici della nostra terra, che però, fortunatamente, stiamo abbandonando sempre di più. Leggo: 'Nenti sacciu e nenti aju dittu, e si chistu c'aju dittu costituisci dittu, comu si nun l'avissi dittu!'. Quanto c’è di vero?

Per fortuna c’è meno vero di una volta. Parlando con alcuni imprenditori siciliani, ragionavo sul fatto che un segnale c’è stato, i giovani hanno detto ‘basta’ e lo hanno detto sul serio. Ci sono volute le stragi di Falcone e Borsellino, quella linea di demarcazione. Un giovane ora lo sa, perché lo ha provato sulla propria pelle ma è già nato in quella generazione, a mio parere meravigliosa, che non solo ha detto no alla mafia, ma la conseguenza più straordinaria è stata quella di stravolgere un altro detto siciliano, abbastanza cretino, che dice ‘Cu nesci, arrinesci’. Non lo diciamo più e forse i ragazzi non sanno nemmeno che significa. C’è la voglia di andar fuori, migliorarsi, fare esperienze ma poi di tornare.

Lei però è emigrato a Roma da piccolo, come mai?

Quello fu un caso. La mia famiglia decise di trasferirsi a Roma quando ancora ero un ragazzino. Certamente Papà lo ha fatto per offrire maggiori possibilità a tutti, ad Agrigento ancora l’Università non c’era… Oggi, per fortuna, quest’esigenza è minore. Ci sono numerose facoltà universitarie, una fra tutte, quella di Archeologia, già famosa nel mondo, perché gli studenti passano subito dalla teoria alla pratica…

Lei è molto abile nel marcare le differenze che passano all’interno del dialetto siciliano. Cosa non facile forse da comprendere fuori dall’isola, eppure…

Sì, succede un po’ in tutta Italia che a distanza di pochissimi chilometri si parli un dialetto quasi completamente diverso. Io ho cercato di raccogliere quante più informazioni possibili stando a contatto con le persone.

E il messinese? Lei in noi individua la caratteristica del parlare veloce…

Sì, per me è così. Anche se molti me la contestano questa cosa e mi dicono “Non è vero che parliamo veloci” ma me lo dicono così “Nonèverocheparliamoveloci” (ride). Lo dico con simpatia.

Altri progetti teatrali in vista?

La prossima stagione farò con Giancarlo Zanetti, attore, produttore, regista, una commedia inglese di Ken Ludwig che si chiama “Cercasi tenore” e sarò in scena con altri otto attori.

(di CLAUDIO STAITI)