La Sicilia magica di Pietrangelo Buttafuoco

La Sicilia magica di Pietrangelo Buttafuoco

Giacomo Maria Arrigo

La Sicilia magica di Pietrangelo Buttafuoco

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giovedì 11 Luglio 2019 - 09:20

Cristiana e islamica al contempo, la Sicilia ha vissuto momenti di sintesi culturale altrove inesistenti.

La Sicilia è una terra di insoliti profumi, d’antiche suggestioni e di mirabili intrecci culturali. E Pietrangelo Buttafuoco sa narrarla proprio bene. Cristiana e islamica al contempo, l’isola al centro del Mediterraneo ha vissuto momenti di sintesi culturale altrove inesistenti.

In Il feroce saracino (Bompiani, 2015), Buttafuoco esplora le vestigia islamiche rinvenibili qua e là per le strade della Sicilia. Convertitosi all’Islam (o meglio “ritornato all’Islam”, secondo una più corretta dicitura), Buttafuoco assume il nome di Giafar al-Siqilli, ossia il Siciliano. Scopertosi saraceno, come ama definirsi, l’autore vaga per l’isola con una convinzione: «La Sicilia è dimora di una nostalgia».

E così i Sabbenedica e salamelecchi che ci si scambia vicendevolmente ritornano alla loro origine islamica, ossia as-salam ‘alaykum, il saluto musulmano che significa “la pace sia con te”. E la celebrazione del Venerdì Santo a Palermo assume i connotati della cerimonia di Ashura, la commemorazione del martirio dell’imam Husayn, figlio di Ali, cugino e genero del profeta Maometto. E l’iscrizione rinvenibile in molte chiese in Sicilia che recita “Solo Dio è grande” (ad esempio a Castelvetrano) restituiscono la propria origine araba Allahu Akbar, “Dio è grande”. E Giufà, il celebre personaggio della tradizione orale popolare, ritorna a vestire il turbante, dato che la sua origine è araba. «Anche la città oggi famosa per essere la location della storia di Montalbano è d’impronta saracena», scrive Buttafuoco, «al pari di Regalbuto, Raffadali, Alì, Caltanissetta, Racalmuto e di tanti altri siti, tutti di derivazione islamica».

Si difende così, Pientrangelo Buttafuoco: «Ecco, io, di mio, abito un mondo che magari a tutti può sembrare immaginario ma è però un abitare reale». Con sguardo indagatore, l’autore va alla ricerca della nostalgia nascosta nelle pieghe della Sicilia. Fa riaffiorare sapori e odori dimenticati ma sempre presenti. E tuttavia, questo lato “nascosto” della cultura siciliana non è in contrapposizione con la cultura cristiana, come erroneamente qualcuno potrebbe pensare.

Al contrario, Pietrangelo Buttafuoco è convinto della profonda alleanza tra le due religioni. «Se solo la cristianità conoscesse meglio se stessa riconoscerebbe in sé quell’universalità che è propria dell’Islam. E così, viceversa. Sarebbe il passaggio fondamentale – e non è certo una fola dell’irenismo pacifista a reclamarlo – per dare al Sacro ciò che è del Sacro e al Nichilismo ciò che è del Nichilismo».

In fin dei conti, si tratta sempre e solo di contrastare il nichilismo, ovvero la mancanza di valori, la negazione di un senso, la disperazione dilagante e il relativismo morale. «A dispetto della geografia, la questione non è di collocazione tra eserciti contrapposti», scrive Buttafuoco, «l’argomento è totalmente metafisico e finalmente, al termine del tempo – con Imam Mahdi o con Artù, se si preferisce – si consumerà il duello tra il Nichilismo e la Tradizione».

La Sicilia contiene entrambe le anime di quella che lui definisce la Tradizione – l’anima cristiana e l’anima islamica. Si tratta solo di innescare quel meccanismo che possa portarle a riconoscersi vicendevolmente come alleate nell’ultima lotta contro il vuoto morale. La nostra isola avrebbe, dunque, tutte le carte in regola per essere l’apripista di questo sforzo “metafisico”, come Buttafuoco stesso lo definisce. Ancora una volta è bene ricordare, quindi, la insensatezza del paradigma dello scontro tra civiltà: il futuro passa dal dialogo.

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