"L'Atm deve restare pubblica". Orsa, Cub e Faisa scrivono al sindaco

“L’Atm deve restare pubblica”. Orsa, Cub e Faisa scrivono al sindaco

“L’Atm deve restare pubblica”. Orsa, Cub e Faisa scrivono al sindaco

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sabato 21 Dicembre 2013 - 08:34

I sindacati autonomi chiedono di intraprendere subito un percorso di forte risanamento finanziario di rilancio commerciale e riorganizzazione del personale: "Nessuna normativa di legge oggi "impone" modifiche societarie che introducano forme privatistiche - scrivono -. Quindi nessuna trasformazione in Spa o "bad company", che potrebbe essere unicamente una scelta "politica o strumentale" , ma un forte invito a questa amministrazione ad intraprendere un percorso condiviso con le parti sociali nel solco dei progetti mostrati alla città durante la campagna elettorale e porre in essere quel rilancio dell'ATM salvaguardando il servizio pubblico

“E’ davanti agli occhi di tutti che l’ATM è stata oggi ridotta negli anni ad un carrozzone che “sopravvive” solo grazie a contributi pubblici, incapace di dare un servizio dignitoso e di pagare con regolarità gli stipendi ai dipendenti, non possiamo tuttavia far passare il teorema che il privato sia per definizione la soluzione al problema confondendo con superficialità la gestione pubblica di un servizio con il risultato distorto di quella “mala politica” che negli anni ne ha sancito il fallimento.

Riteniamo che oggi vi siano le condizioni politiche per dare una svolta decisa alle sorti dell’azienda trasporti, e quindi giudichiamo opportuno avanzare un chiarimento sul futuro dell’ATM che troppi soggetti sembra non vedano l’ora di privatizzare, in tutto o in parte, auspicando che si interpreti la presente come invito ad intraprendere un percorso condiviso di risanamento e rilancio del servizio di trasporto pubblico cittadino.

Dal nostro punto di vista le prospettiva avanzate da più parti di privatizzazione, seppure con la forma S.p.A. pubblica e la proposta della creazione di una bad Company, risulta improponibile per le seguenti motivazioni:

• le esperienze di privatizzazione dei servizi essenziali hanno tradito le aspettative dell’utenza soprattutto nei trasporti, il caso Ferrovie, non solo in Italia, è da manuale. Nonostante i proclami di ottimizzazione e potenziamento del servizio, in Sicilia siamo costretti a registrare il completo sfascio del trasporto ferroviario interno ed a lunga percorrenza con il conseguente abbandono del traghettamento. La perdita di migliaia di posti di lavoro, il calo della sicurezza, la compressione dei salari e dei diritti dei lavoratori non sono serviti ad offrire un servizio migliore, tutt’altro. Il diritto alla continuità territoriale ed alla mobilità è garantito solo nelle tratte ove per l’azienda privatizzata è possibile ricavare profitto, se il resto dei cittadini non ha modo di usufruire del servizio ferroviario non importa a nessuno.

• la creazione di una “bad Company” sul modello Alitalia proposta da alcuni soggetti come soluzione per il rilancio di una nuova Atm, è il malcelato tentativo di scaricare solo sul groppone dei messinesi l’oneroso debito maturato con anni di mala amministrazione dell’azienda trasporti, per cui nessuno ha ancora pagato. La S.p.A. “pubblica” non potrebbe impedire, per Legge, l’ingresso di azionisti privati e la concretizzazione del già annunciato “spezzatino” dell’azienda dove la parte produttiva andrebbe in mano ai “soliti noti” affamati di profitto mentre il debito e il resto del carrozzone improduttivo resterebbero sotto la gestione della bad Company di proprietà dei malcapitati cittadini messinesi.

Il principio per cui “privato è bello” è ampiamente fallito, rispolverarlo oggi è anacronistico e denota scarsa fantasia nella “proposta” demagogica che dovrebbe sostituire l’efficacia della “protesta”. La privatizzazione alla lunga risulterebbe più costosa della gestione pubblica, senza alcuna garanzia di un servizio migliore ma la certezza che tutti i sacrifici graverebbero sui cittadini ed i lavoratori. Nessun azionista sarebbe disposto ad investire in una ATM così indebitata e senza una prospettiva concreta di profitto privato, ONERE AGGIUNTIVO che andrebbe pagato con i soldi dei cittadini (rincaro dei biglietti), con i tagli di posti di lavoro; compressioni dei salari, dei diritti e dei livelli di sicurezza. Sarebbe il già visto servizio essenziale ad uso e consumo delle casse private con buona pace del diritto universale alla mobilità. La privatizzazione dell’ATM equivarrebbe all’ammissione dell’Amministrazione Comunale di cronica incapacità a gestire la cosa pubblica, sarebbe la vittoria di coloro che dietro le quinte hanno lavorato, anche sporco, per dimostrare l’inettitudine dell’Amministrazione col fine di consegnare la produzione redditizia nelle mani delle “imprese amiche” e il debito solo a carico dei cittadini.

E’ altresì disinformante e tendenzioso sbandierare l’obbligatorietà di trasformazione dell’ATM, la sentenza della Corte Costituzionale n° 229 del 2013 è intervenuta sul ricorso di alcune regioni verso l’art. 4 d.l. 6 luglio 2012 n°95 che a suo tempo aveva introdotto l’obbligo di scioglimento delle società pubbliche o di alienazione di partecipazioni pubbliche in tali società. La Corte Costituzionale ha chiarito che l’applicazione della previsione richiamata è circoscritta esclusivamente alle “Società Strumentali”, pertanto, la normativa non è applicabile alle società che erogano servizi pubblici locali e, quindi, essa non è riproduttiva delle disposizioni relative ai servizi pubblici locali, abrogate a seguito del referendum del giugno 2011.

Se ciò non fosse sufficiente a smentire le voci allarmistiche per cui senza privatizzazione si bloccherebbero le sovvenzioni all’ATM, a sciogliere ogni dubbio è intervenuto l’emendamento all’articolo 15 della legge di stabilità in discussione al Senato, il Governo di fatto ha cancellato l’obbligatorietà di privatizzazione delle società pubbliche che la spending review, varata nel 2012 dal Governo Monti, chiedeva di vendere o chiudere entro il prossimo 31 dicembre. In buona sintesi, il panorama delle società di enti locali, Regioni e ministeri può tranquillamente rimanere quello attuale. Al posto delle annunciate sforbiciate ai servizi essenziali, il governo tenta la strada del controllo dei bilanci, imponendo agli enti che posseggono società in perdita di accantonare riserve e prevedendo, ma solo dal 2017, la chiusura obbligatoria delle aziende che chiudono bilanci in rosso per quattro anni consecutivi. Confermata, ma solo a partire dal 2015, la possibilità di “licenziare” gli amministratori delle partecipate che chiudono in perdita per due anni consecutivi. Sempre dal 2015, arriva un taglio del 30% ai compensi dei manager delle società controllate e titolari di affidamento in house che chiudono in perdita per tre anni consecutivi.

Le nuove regole sostituiscono i precedenti tentativi di razionalizzazione a mezzo privatizzazione; il primo, introdotto dalla manovra estiva 2010, si rivolgeva ai Comuni, e in pratica chiedeva di dismettere tutte le società agli enti fino a 30mila abitanti e di tenere una sola partecipazione a quelli fra 30mila e 50mila residenti. Il secondo, più recente, era stato scritto dal Governo Monti nella spending review del luglio 2012, e mirava a chiudere tutte le società create dalle Pubbliche Amministrazioni in appoggio alle loro attività. Tentativo troppo ambizioso, anche perché mai accompagnato da regole che ne aiutassero l’attuazione e spiegassero come gestire il personale.

Fatti i dovuti chiarimenti ci teniamo a restare ancorati nel ruolo di organizzazione sindacale che quando necessita “protesta” per la tutela dei diritti dei lavoratori. Crediamo da sempre che non occorra il privato in ATM per razionalizzare i costi di esercizio , efficientare la forza lavoro , mettere in atto un piano commerciale che faccia incrementare quei miseri 5 milioni di euro annualmente introitati da bigliettazione ma senza dubbio occorre un forte intervento pubblico di questa amministrazione , e per questo attendiamo un organico piano di mobilità urbano che faccia dell’atm il suo fulcro e al tempo stesso continuare in un radicale ricambio dirigenziale e sostituire i tanti commissari “parcheggiati” negli anni dalla politica con figure competenti e professionali. Non siamo capaci né intendiamo sostituirci all’Amministrazione nella gestione della cosa pubblica con “proposte” generiche e spesso inesatte, volte a superare lo storico compito del sindacato che resta quello di rappresentare i lavoratori e contrastare, anche con la protesta, scelte sbagliate che ricadrebbero sempre sugli ultimi anelli della catena produttiva”.

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