Padre Scalia. "Abbiamo bisogno di una Chiesa nella quale i mafiosi non si sentano a loro agio"

Padre Scalia. “Abbiamo bisogno di una Chiesa nella quale i mafiosi non si sentano a loro agio”

Rosaria Brancato

Padre Scalia. “Abbiamo bisogno di una Chiesa nella quale i mafiosi non si sentano a loro agio”

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sabato 19 Ottobre 2013 - 09:21

Presentato ieri a Palazzo Zanca il libro "La 'ndrangheta davanti all'altare. La chiesa che resiste, la chiesa che si volta dall'altra parte", scritto a più mani da autori calabresi. Presenti all'incontro Paola Bottero, Romina Arena, Alessandro Russo che hanno raccontato come è nato il libro. "Oggi più che mai abbiamo bisogno di una Chiesa nella quale i mafiosi non si sentano a loro agio" ha concluso padre Felice Scalia.

C’è la chiesa di don Puglisi, di monsignor Montenegro. E c’è la chiesa che si volta dall’altra parte. C’è la chiesa dei parroci che non celebrano i funerali dei boss e c’è quella dei sacerdoti che nelle aule di giustizia testimoniano a favore dei capicosca. La ‘ndrangheta davanti all’altare è il libro, autori Romina Arena, Paola Bottero, Francesca Chirico, Cristina Riso, Alessandro Russo, presentato ieri pomeriggio nel Salone delle Bandiere di Palazzo Zanca, ad apertura del ciclo di iniziative La violenza del silenzio, volute ed organizzate dal Carrettino delle idee. Il progetto, che si concluderà il 25 ottobre è volto a sensibilizzare il mondo della scuola e dell’università sulle tematiche della legalità, andando oltre quella tendenza a lasciare dentro un mondo chiuso e poco conosciuto realtà di gravissima attualità.

“ Questo libro è un diario di viaggio in Calabria alla ricerca di 12 apostoli ed è nato da un incontro su un tema: nella nostra regione non si parla mai delle storie di buona vita dei sacerdoti, così come di quelle figure che sono diventate testimoni del silenzio, esattamente come la gente- ha spiegato una delle autrici, Paola Bottero, presente all’incontro, insieme a Romina Arena e Alessandro Russo- Le storie le conosciamo, ma non ne parliamo mai abbastanza affinchè non se ne debba parlare mai più”.

Il libro è stato scritto a più mani ed è nato appunto da un dibattito che ha visto insieme le esperienze di Sabbiarossa e dell’archivio Stop ‘ndrangheta e racconta, in base ad una sorta di canovaccio basato sui Dieci comandamenti, storie della Chiesa che resiste e di quella che invece volta lo sguardo.

“Proprio oggi, mentre noi siamo qui a Messina, in Calabria gli imputati che per anni hanno violentato Anna Scarfò sono stati condannati a sette anni- ha aggiunto Alessandro Russo- E in quel processo, nato grazie alla denuncia di una giovane che ha raccontato le violenze subite dal branco un sacerdote è stato condannato per falsa testimonianza. Ebbene quello stesso prete ha avuto un incarico che lo ha promosso. Il parroco di Rosarno, per fare un altro esempio, in Tribunale ha testimoniato che i boss della cosca Pesce sono brave persone. Ma i fedeli sanno bene che nella sua Chiesa c’è un condizionatore donato dai Pesce con tanto di targa, che ricorda a tutti che se non soffrono il caldo durante la messa è grazie al boss. I preti antimafia raramente vengono premiati, non diventano mai Monsignore in Calabria. Il vescovo di Locri, Bregantini, che ai mafiosi disse “vi scomunico perché fate abortire i nostri giovani uccidendo e sparando” venne trasferito”.

Il cuore del problema infatti non è quello che fa la ‘ndrangheta davanti all’altare, perché ne sono piene le pagine di storia e di cronaca, ma è cosa fa, oggi come ieri, la Chiesa davanti alla ‘ndrangheta. Che le mafie abbiano utilizzato la Chiesa è un fatto noto e documentato, la riflessione è come la Chiesa si rapporti di fronte a loro.

“Sappiamo come la ‘ndrangheta usi la chiesa per cercare consenso arrivando anche a finanziare alcuni eventi- ha spiegato il procuratore capo del Tribunale di Palmi Giuseppe Creazzo- Pensiamo ai riti di affiliazione, che vengono chiamati battesimo e che vengono fatti con i santini, pensiamo ai sacramenti che per i componenti delle cosche diventano occasione per rinsaldare legami, oppure agli altari trovati nei rifugi dei boss latitanti, dove spesso sacerdoti andavano persino a celebrare. Il problema non è come la mafia usi la Chiesa ma come la Chiesa si ponga di fronte alla mafia e perché solamente con grandissimo ritardo vi siano state prese di posizione per cosi dire nette o ufficiali. Abbiamo dovuto aspettare il grido di Giovanni Paolo II ad Agrigento nel 1993, dopo le stragi di Falcone e Borsellino”.

C’è poi quella fascia sottile, quella zona grigia tra il palese e il non detto, ma anche lì si annida quel “gioco di potere” che ha consentito in questi decenni la costruzione di un sistema granitico. Ed è su questa terra di confine che si è soffermata Romina Arena raccontando le storie parallele di don Stilo, parroco di Africo per 50 anni, una via di mezzo tra il benefattore che porta la ferrovia e l’uomo di potere, e don Natale Bianchi, parroco di Gioiosa Jonica, promotore delle attività imprenditoriali per gli ultimi e le ultime della sua terra, che viene “scomunicato” quando osa mettere in dubbio i comportamenti di don Stilo e si scontra con lui.

“La verità è che non siamo di fronte ad un sintomo- ha commentato in chiusura di dibattito padre Felice Scalia- ma di fronte ad una metastasi. Il delitto oggi non è ciò che si fa, ma il fatto che lo si denunci, che lo si dica. I nodi però sono venuti al pettine quando ci siamo accorti che la mafia ha fatto da collettore di voti e la Chiesa ha cercato ed ottenuto corsie preferenziali dalla politica. Questi due mondi si sono incontrati. Papa Giovanni Paolo II è vero, ha detto quelle parole ad Agrigento, ma non ha mai toccato nel suo papato il cuore del problema. Si deve toccare la sete di potere, la corsa al potere, quella lotta per il potere che è ancora presente nella Chiesa. Sappiamo tutti che la Chiesa influisce sulle elezioni e la mafia fa da collettore di voti ed entrambe sono unite nell’anticomunismo. Oggi più che mai abbiamo bisogno di una Chiesa nella quale i mafiosi non si sentano a loro agio”.

A portare i saluti dell’amministrazione è stato il sindaco Accorinti “Messina è un punto franco, e non mi riferisco al porto, ma all’essere stata punto di incontro per le cosche delle varie zone, da Palermo a Catania. Noi abbiamo vinto le amministrative a mani nude contro le flotte, ci siamo riusciti grazie all’energia che è dentro ognuno di noi e che può vincere su tutto”.

Prossimo appuntamento del progetto “La violenza del silenzio”, martedì 22 ottobre l’incontro, nel Salone delle Bandiere tra gli studenti delle scuole medie e le famiglie delle vittime di mafia.

Rosaria Brancato

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