Messina, dure condanne per banda di rapinatori cingalesi

Messina, dure condanne per banda di rapinatori cingalesi

Messina, dure condanne per banda di rapinatori cingalesi

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mercoledì 20 Settembre 2017 - 08:12

Undici condanne e 4 assoluzioni tra le persone coinvolte nel blitz del 2014 che sgominò due bande di giovani che tenevano in scacco l'intera comunità e si facevano la guerra tra di loro.

Si è chiuso con 11 condanne e l'assoluzione per 4 giovani il processo scaturito dall'operazione Katana, l'inchiesta dei Carabinieri e della Polizia che nel 2014 fermò una banda di rapinatori cingalesi che aveva seminato il panico in città.

Agli atti dell'inchiesta, anche la faida interna alla comunità, scoppiata per rivalità tra i giovani.

I giudici della Seconda Sezione Penale hanno inflitto condanne da un anno a 8 anni e 10 mesi.

Le indagini, cominciate nel settembre 2011 e coordinate dai pm Antonella Fradà e Diego Capece Minutolo, hanno svelato come quest’associazione, per la maggior parte composta da giovanissimi, terrorizzasse e tenesse sotto scacco l’intera comunità cingalese insediata in città.

Il loro obiettivo, difatti, era tenere le redini della vita stessa degli srilankesi, minacciandoli, aggredendoli fisicamente, verbalmente e psicologicamente. La banda disponeva di uomini pronti ad agire in gruppo, spesso a bordo di auto e motorini, con mazze, coltelli, catene e sbarre di ferro.

La prima denuncia risale al 16 settembre 2011 quando una delle vittime raccontò di esser stata accerchiata da circa venticinque connazionali mentre percorreva sul proprio motorino la via Comunale, a Sperone. Quella sera, per futili motivi, il ragazzo fu fermato, pestato a sangue e rapinato di una collana d’oro del valore di circa 700 euro che portava al collo.

La stessa vittima, nell’ottobre dell’anno successivo, venne nuovamente presa di mira. In quell’occasione ad accerchiarlo furono in tre, in via Santa Maria dell’Arco. Pochi attimi, una lite creata ad hoc, il pestaggio con una catena, un bastone di ferro ed una bottiglia di vetro e, infine, la rapina di documenti e circa 400euro in contanti.

Ulteriori denunce da parte di altre vittime hanno evidenziato, poi, come il meccanismo di terrore e pestaggio partisse dai rifiuti a sottostare alle richieste di denaro.

Nell’agosto 2012, un altro cittadino di origine srilankese, titolare di un esercizio commerciale della zona nord di Messina, disse “no” alla richiesta di soldi da parte di alcuni esponenti della banda. Raggiunto nel suo negozio da circa venticinque connazionali, fu percosso e aggredito con ogni genere di oggetto, dalle catene alle mazze, dai coltelli con serramanico alle bottiglie di vetro. Quel giorno non venne risparmiato neanche un altro connazionale, amico del titolare, che venne anche derubato di un orologio, due gioielli e denaro contante. Insomma, chiunque osava opporsi alle richieste dei sodali o ribellarsi apertamente denunciando i fatti veniva regolarmente punito. In tal modo, fungeva da monito per gli altri.

Altro episodio nel gennaio 2013, quando al termine di una festa di cingalesi a Piazza del Popolo un’altra vittima venne accerchiata, presa a calci e ferita al volto, ad una mano e ad un fianco con due taglierini. Alcuni dei presenti che, successivamente, decisero di parlare e testimoniare, tre mesi dopo vennero puntualmente puniti. Il 7 aprile successivo uno di loro, raggiunto nella propria casa, fu minacciato e picchiato con un tirapugni, mentre 5 giorni dopo l’episodio aggressivo venne ripetuto sul Torrente Trapani.

In realtà, all’interno della comunità cingalese a Messina, esistono diverse bande. Una di queste, lo scorso maggio, decise di intervenire e mettere fine alla violenza dei loro “avversari” ormai divenuti leader. Una sorta di spedizione punitiva quella messa in atto nell’abitazione dei “nemici” che poi si risolse con una “guerriglia” ancora più accesa. I poliziotti intervenuti quella stessa sera trovarono nell’abitazione messa a soqquadro numerose tracce di sangue.

Nella tarda serata del 21 maggio, alcuni esponenti del sodalizio leader accerchiarono uno dei capi della spedizione punitiva picchiandolo a sangue, bloccandolo con del nastro d’imballaggio e, dopo averlo caricato in macchina, lo portarono in un loro appartamento di via Manzoni.

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