Operazione Nebrodi 2, il clan controlla anche l'acqua

Operazione Nebrodi 2, il clan controlla anche l’acqua

Alessandra Serio

Operazione Nebrodi 2, il clan controlla anche l’acqua

mercoledì 07 Febbraio 2024 - 07:00

I batanesi e il controllo dei corsi d'acqua per alimentare i terreni degli agricoltori. Ma anche le piantagioni di marijuana

MESSINA – A Tortorici e nella vasta area di riferimento dei tortoriciani, quella che si muove a cavallo di tre province per sconfinare negli ulteriori territori siciliani una volta terreno delle transumanze, i clan controllano tutto. Anche l’acqua. Soprattutto l’acqua, bene prezioso per i pascoli così come per le coltivazioni. La conferma arriva dai pentiti, ascoltati dalla Dda che ieri ha fatto scattare il secondo blitz Nebrodi contro i batanesi e i tortoriciani. Scoprendo che dietro alcuni consorzi per la gestione dei corsi d’acqua c’erano appunto gli esponenti di spicco dei clan. Un settore chiave, quello dell’acqua, tanto ch e in occasione di una lite per il controllo di una condotta stava per scapparci il morto.

Il controllo dell’acqua

“La distribuzione dell’acqua per il tramite del canale a beneficio dei terreni ivi ubicati – scrive il giudice Eugenio Fiorentino nel provvedimento che ha portato agli arresti e ai sequestri – è di fatto controllata dalla famiglia mafiosa batanese, che subordina la concessione dell’acqua alla dazione di un “prezzo maggiorato” dai parte dei conferitari. Inoltre, è sempre la stessa famiglia mafiosa a presidiare, dietro compenso, la dazione dell’acqua anche per la finalità – in realtà non consentita – del riempimento di vasche artificiali. Il collaboratore ha spiegato il motivo della grande importanza della gestione del canale di Carcaci da parte della famiglia mafiosa: essa consentiva, infatti, l’irrigazione delle piantagioni di marijuana riconducibili ai “Batanesi”.

Il racconto dei pentiti

Ecco il racconto di Carmelo Barbagiovanni, ex affiliato alla cosca, pentitosi Marino Gammazza e Salvatore Costanzo Zammataro, tra i principali collaboratori che hanno confermato agli investigatori i sospetti sui nuovi affari dei tortoriciani.

Sebastiano Bontempo (1969) U Uappu

“C’era poi la questione del canale della condotta dell’acqua. Quando Uappo (Sebastiano Bontempo) è uscito dal carcere, voleva gestire lui la condotta idrica. Presidente “di facciata” del consorzio era Costanzo Zammataro Carmelo detto “piraru”. L’acqua in realtà la gestiva Uappo. Galati Massaro Simone e Costanzo Zammataro Giuseppe inteso “faccia tagliata” gestivano di fatto la distribuzione dell’acqua e si facevano dare i soldi dalle persone, sempre per conto del Uappo. A fronte della rottura di una condotta, Uappo ha chiamato Barbagiovanni Sebastiano e gli ha detto di far passare il nuovo tubo sul suo terreno, gli ha detto anzi proprio di dargli il terreno”.

L’acqua è cosa nostra

“Successivamente, e in particolare dopo la mia scarcerazione, hanno rubato in casa a Costanzo Zammataro Carmelo “piraru” che diede la colpa a Barbagiovanni Carmelo. Diceva che quest’ultimo era diretto da Costanzo Zammataro Vincenzo “carabiniere”, il quale non voleva che il piraru gestisse la condotta. Il “piraru” si rivolse al Uappo. Una sera, nel 2018, forse agli inizi di maggio, mio cognato Barbagiovanni Carmelo ha trovato una bottiglia di benzina con cartucce appese ad un palo vicino casa, a Centuripe. Sono andato dal Uappo un po’ incazzato, temendo per mio figlio, mi disse che non ne sapeva niente. Ci siamo un po’ presi. Devo aggiungere che ci sono state poi delle liti sfociate anche in vie di fatto, e Barbagiovanni Calogero è venuto da me perché avevano alzato le mani a suo padre”.

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