Il clan di Camaro davanti al giudice: un muro di silenzio

Il clan di Camaro davanti al giudice: un muro di silenzio

Alessandra Serio

Il clan di Camaro davanti al giudice: un muro di silenzio

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giovedì 19 Dicembre 2013 - 23:26

Scena muta agli interrogatori di garanzia da parte degli arrestati per estorsione. Per loro parlano le microspie dei poliziotti, che hanno sentito anche i commenti su un altro esponente criminale, Carmelo Ventura. E tanto altro, ancora coperto da segreto.

Nessuna collaborazione con la giustizia da parte di quelli considerati dagli investigatori le nuove leve del clan di Camaro. Davanti al Gip Antonino Genovese, ieri al carcere di Gazzi per gli interrogatori di garanzia, soltanto due delle 12 persone coinvolte nel blitz Richiesta hanno deciso di rispondere alle domande del giudice, proclamandosi innocenti e respingendo le accuse. Scena muta hanno fatto invece gli altri 8 arrestati, che hanno deciso di avvalersi della facoltà di non rispondere. Interrogato anche Salvatore Morabito, che ha l’obbligo di dimora. Saranno interrogati per rogatoria nei carceri del nord Italia ove sono reclusi, il boss storico Santi Ferrante e il pregiudicato Vittorio Di Pietro. Al primo faccia a faccia coi giudici, quindi, i componenti della famiglia La Rosa-Genovese e i loro fedelissimi, si sono chiusi a riccio.

Restano tutti in carcere, in attesa del Riesame da parte del Tribunale della Libertà, al quale ricorreranno i loro difensori, gli avvocati Salvatore Silvestro, Piero Luccisano, Andrea Florio, Antonello Scordo, Tancredi Traclò, Piero Venuti, Massimo Marchese.

Il clan “familiare” dei Gonovese – La Rosa è stato incastrato soprattutto dalle telecamere e le cimici che gli agenti della Squadra mobile, diretti da Giuseppe Anzalone, sono riusciti a piazzare in tutto il quartiere persino sotto una panchina pubblica di via Comunale a Camaro, poi nella sala colloqui del carcere di Gazzi, e nella Renault Megane di uno degli arrestati. Proprio quelle micro spia ha rivelato molte informazioni dei traffici gestiti dai criminali della zona, che facevano ancora riferimento al capo storico, Santi Ferrante, da tempo rinchiuso a Sulmona.

Molti di questi spunti investigativi sono ancora da svelare, come dimostrano i tanti omissis inseriti nel provvedimento di arresto. Le cimici della Mobile, cioè, hanno ancora qualcosa da raccontare, e probabilmente qualcun altro finirà nella rete della giustizia perché coinvolto negli affari dei camaroti. Intanto, i dialoghi tra i protagonisti del blitz hanno intercettato anche le discussioni relative ad un altro pezzo da novanta della zona. Vicino la panchina “imbottita” per esempio, Francesco Di Biase e Salvatore Triolo commentavano l’atteggiamento di Ventura, spiegando che mostrava disinteresse per gli affari del gruppo. Secondo i due, l’atteggiamento dei “Melo” mirava a ingannare gli investigatori. In realtà nessuno a Camaro credeva che Ventura stesse davvero lontano dalla spartizione dei proventi del pizzo.(Alessandra Serio)

2 commenti

  1. Sarei Orgoglioso del magistrato che infligge una pena maggiorata per l’assenza di collaborazione a testimonianza di un mancato pentimento della malefatta; è un’aggravante non da poco!!!

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  2. In altri tempi le risposte sarebbero arrivate di sicuro usando il metodo dei ceffoni. Tu non rispondi alla domanda e ti do un ceffone fino a quando non ti ritrovi gonfio e dolorante.

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