Ordinanza Santelli. Il TAR accoglie il ricorso del Governo

Ordinanza Santelli. Il TAR accoglie il ricorso del Governo

Dario Rondinella

Ordinanza Santelli. Il TAR accoglie il ricorso del Governo

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sabato 09 Maggio 2020 - 15:09

Gli avvocati della Regione Calabria: "sentenza ininfluente"

Il Tar di Catanzaro ha accolto il ricorso presentato dal Consiglio dei ministri tramite l’Avvocatura generale dello Stato contro l’ordinanza del presidente della Regione Calabria Jole Santelli, del 29 aprile scorso, che consentiva il servizio ai tavoli, se all’aperto, per bar, ristoranti ed agriturismo. E’ quanto si evince dal sito del Tar dopo l’udienza collegiale, tenuta in camera di consiglio, svoltasi stamani.

Gli avvocati della Regione Calabria: “sentenza ininfluente”

“Pur rispettosi della sentenza, la riteniamo ininfluente. – E’ quanto dichiarano gli avvocati difensori della regione Calabria, in seguito alla sentenza del TAR che ha accolto il ricorso del Governo – L’ordinanza ha avuto comunque esecuzione e gli effetti si sono consumati, considerato che i bar e i ristoranti sono rimasti aperti per 11 giorni. Avrebbe avuto più senso- dichiarano – intervenire immediatamente”

LA SENTENZA

ex art. 60 c.p.a.
sul ricorso numero di registro generale 457 del 2020, proposto da
Presidenza del Consiglio dei Ministri, in persona del Presidente in carica,
rappresentata e difesa dall’Avvocatura Distrettuale dello Stato di Catanzaro,
domiciliata presso gli uffici di questa, in Catanzaro, alla via G. da Fiore, n. 34;

contro

Regione Calabria, in persona del Presidente in carica, rappresentata e difesa dagli
avvocati Andrea Di Porto, Massimiliano Manna, Oreste Morcavallo, con domicilio
digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
nei confronti

Ristorante di Pesce a Rende S.r.l. Semplificata, non costituita in giudizio;

e con l’intervento di

ad adiuvandum:
Comune di Reggio di Calabria, in persona del Sindaco in carica, rappresentato e
difeso dall’avvocato Emidio Morabito, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

ad opponendum:
Comune di Amendolara, in persona del Sindaco in carica, rappresentato e difeso
dagli avvocati Giancarlo Pompilio e Claudia Parise, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
Comune di Tropea, in persona del Sindaco in carica, rappresentato e difeso dagli avvocati Giovanni Spataro e Renato Rolli, con domicilio digitale come da PEC da
Registri di Giustizia;
CODACONS – Coordinamento delle Associazioni e dei Comitati di Tutela
dell’Ambiente e dei Diritti degli Utenti e dei Consumatori, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Gino Giuliano, Carlo Rienzi, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
Pasticceria Siciliana di Nicocia J.&C. S.n.c. in persona del legale rappresentante pro tempore, La Cambusa S.a.s. di Montalto Dino & C. in persona del legale
rappresentante pro tempore, Francesco Covello, Carmelo Pirri, rappresentati e
difesi dagli avvocati Fabrizio Criscuolo, Mauro Fortunato Magnelli, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; per l’annullamento

dell’ordinanza del Presidente della Regione Calabria del 29 aprile 2020, n. 37, recante «Ulteriori misure per la prevenzione e gestione dell’emergenza
epidemiologica da COVID-2019. Ordinanza ai sensi dell’art. 32, comma 3, della legge 23 dicembre 1978, n. 833 in materia di igiene e sanità pubblica: Disposizioni
relative alle attività di ristorazione e somministrazione di alimenti e bevande,
attività sportive e amatoriali individuali e agli spostamenti delle persone fisiche nel
territorio regionale», in relazione al suo punto 6, nel quale è stato disposto che, a
partire dalla data di adozione dell’ordinanza medesima, sul territorio della Regione
Calabria, è «consentita la ripresa delle attività di Bar, Pasticcerie, Ristoranti,


Pizzerie, Agriturismo con somministrazione esclusiva attraverso il servizio con
tavoli all’aperto».
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio della Regione Calabria;
Visti gli atti di intervento;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nella camera di consiglio del giorno 9 maggio 2020 il dott. Francesco
Tallaro e trattenuta la causa in decisione ai sensi dell’art. 84, comma 5 d.l. 17
marzo 2020, n. 18, conv. con mod con l. 24 aprile 2020, n. 27;
Rilevato in fatto e ritenuto in diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO

I – L’iter processuale

Oggetto dell’odierno giudizio è l’ordinanza del Presidente della Regione
Calabria del 29 aprile 2020, n. 37.
Con tale provvedimento, adottato ai sensi dell’art. 32, comma 3 l. 23 dicembre
1978, n. 833, sono state dettate misure per la prevenzione e la gestione
dell’emergenza epidemiologica da COVID-19.
In particolare, si controverte della legittimità del punto n. 6, con il quale è stato
disposto che, sin dalla data di adozione dell’ordinanza, è consentita, nel territorio
della Regione Calabria, la ripresa dell’attività di ristorazione, non solo con
consegna a domicilio e con asporto, ma anche mediante servizio al tavolo, purché
all’aperto e nel rispetto di determinate precauzioni di carattere igienico sanitario.

– Ad impugnare l’ordinanza, chiedendone l’annullamento a questo Tribunale
Amministrativo Regionale, è stata la Presidenza del Consiglio dei Ministri, con
ricorso notificato a mezzo PEC e depositato il 4 maggio 2020.
Ha resistito la Regione Calabria, la quale si è costituita nella medesima data.

– Unitamente al ricorso è stata proposta domanda cautelare di sospensione degli

effetti dell’ordinanza, nella parte impugnata, accompagnata dalla richiesta di

decreto cautelare monocratico ai sensi dell’art. 56 c.p.a.

In data 5 maggio 2020 il Presidente di questo Tribunale Amministrativo Regionale

ha sentito informalmente e separatamente le difese delle amministrazioni.

Esse, nell’interesse generale della giustizia, avuto riguardo oltretutto alla

delicatezza dei temi trattati in ricorso, che toccano i rapporti fra Stato e Regioni dal

punto di vista dei rispettivi poteri di intervento nell’attuale drammatica fase

epidemica in atto, hanno concordato sulla necessità di addivenire in tempi molto

brevi a una decisione collegiale, eventualmente anche quale sentenza in forma

semplificata ai sensi dell’art. 60 c.p.a.

Pertanto, l’Avvocatura dello Stato ha rinunciato all’istanza di tutela cautelare

monocratica ai sensi dell’art. 56 c.p.a.; entrambe le parti hanno rinunciato ai termini

a difesa di cui all’art. 55, comma 5 c.p.a.

  1. – È stata dunque fissata la camera di consiglio del 9 maggio 2020.
  2. – Al giudizio hanno inteso intervenire anche altre amministrazioni.
    In particolare, in data 6 maggio 2020 si è costituito, ad adiuvandum, il Comune di
    Reggio Calabria; al contrario, si sono costituiti ad opponendum nella medesima
    data del 6 maggio 2020 il Comune di Amendolara e nella successiva data del 7
    maggio 2020 il Comune di Tropea.
    In data 7 maggio 2020 si è costituito ad opponendum anche CODACONS –
    Coordinamento delle associazioni e dei comitati di tutela dell’ambiente e dei diritti
    degli utenti e dei consumatori.
    In data 8 maggio 2020 si sono costituiti, in pretesa applicazione dell’art. 28, comma
    1 c.p.a., alcuni operatori del settore della ristorazione, meglio individuati
    nell’epigrafe della sentenza.
    In vista della decisione la Presidenza del Consiglio dei Ministri e la Regione
    Calabria hanno depositato memorie ad ulteriore supporto delle argomentazioni
    difensive utilizzate.
  3. – Il ricorso è stato trattato collegialmente in data 9 maggio 2020 ai sensi dell’art.
  4. 84, comma 5 d.l. 17 marzo 2020, n. 18, conv. con mod con l. 24 aprile 2020, n. 27,
  5. e, ricorrendone i presupposti, è stato deciso nel merito ai sensi dell’art. 60 c.p.a.
  6. II – Le posizioni delle parti
  1. – La Presidenza del Consiglio dei Ministri ha dedotto l’illegittimità
    dell’ordinanza impugnata, nella parte di interesse, sotto tre diverse prospettive.
    7.1. – In primo luogo, essa violerebbe gli artt. 2, comma 1, e 3, comma 1 d.l. 25
    marzo 2020, n. 19, e sarebbe stata emanata in carenza di potere per incompetenza
    assoluta.
    Infatti, l’art. 2, comma 1 dell’atto normativo citato attribuisce la competenza ad
    adottare le misure urgenti per evitare la diffusione del COVID-19 e le ulteriori
    misure di gestione dell’emergenza al Presidente del Consiglio dei ministri, che
    provvede con propri decreti previo adempimento degli oneri di consultazione
    specificati.
    Per quel che rileva, il Presidente del Consiglio dei Ministri ha provveduto con
    d.P.C.M. del 26 aprile 2020 che, con efficacia dal 4 maggio 2020 al 17 maggio
    2020, dispone la sospensione delle attività dei servizi di ristorazione (fra cui bar,
    pub, ristoranti, gelaterie, pasticcerie) e, in via di eccezione, consente la ristorazione
    con consegna a domicilio nel rispetto delle norme igienico-sanitarie sia per
    l’attività di confezionamento che di trasporto, nonché la ristorazione con asporto,
    fermo restando l’obbligo di rispettare la distanza di sicurezza interpersonale di
    almeno un metro, il divieto di consumare i prodotti all’interno dei locali e il divieto
    di sostare nelle immediate vicinanze degli stessi.
    Come visto, l’ordinanza regionale, in contrasto con quanto disposto dal d.P.C.M.,
    ha autorizzato anche la ristorazione con servizio al tavolo.
    Ma tale intervento integrativo non sarebbe consentito dalla normativa applicabile,
    in quanto l’art. 3, comma 1 d.l. n. 19 del 2020 prevede che le Regioni possano
    adottare misure di efficacia locale «nell’ambito delle attività di loro competenza e
    senza incisione delle attività produttive e di quelle di rilevanza strategica per


l’economia nazionale», ma tale potere è subordinato a tre condizioni, e cioè che si
tratti di interventi destinati a operare nelle more dell’adozione di un nuovo
d.P.C.M.; che si tratti di interventi giustificati da «situazioni sopravvenute di
aggravamento del rischio sanitario» proprie della Regione interessata; che si tratti
di misure «ulteriormente restrittive» delle attività sociali e produttive esercitabili
nella regione.
Né l’ordinanza impugnata potrebbe trovare fondamento nell’art. 32, comma 3 l. n.
833 del 1978, e perché derogato dalla disciplina dettata dal d.l. n. 19 del 2020, e
perché l’emergenza sanitaria ha carattere nazionale, e dunque impone l’intervento
da parte del Governo centrale.
7.2. – Con il secondo motivo di ricorso si deduce che l’ordinanza sarebbe priva di
un’adeguata motivazione, non sarebbe stata supportata da una valida istruttoria,
sarebbe illogica e irrazionale.
In particolare, non emergerebbero condizioni peculiari che giustifichino, nel solo
territorio della Regione Calabria, l’abbandono del principio di precauzione; non
sarebbe stato adottato un valido metodo scientifico nella valutazione del rischio
epidemiologico; si porrebbe a rischio la coerente gestione della crisi
epidemiologica da parte del Governo.
7.3. – Infine, l’ordinanza sarebbe viziata da eccesso di potere, evidenziato dalla
violazione del principio di leale collaborazione.
Invero, l’ordinanza sarebbe stata emessa in assenza di qualunque interlocuzione
con il Governo.

  1. – La Regione Calabria ha posto una questione pregiudiziale di giurisdizione e si
    è difesa nel merito.
    8.1. – Pregiudizialmente ha dedotto che il ricorso è volto ad assumere che
    l’ordinanza del Presidente della Regione Calabria invada una sfera di attribuzioni
    propria del Governo centrale, sottraendogli così la possibilità di esercizio di una
    propria prerogativa.


La controversia assumerebbe, così, un tono costituzionale che attribuirebbe la
giurisdizione alla Corte costituzionale, quale giudice dei conflitti di attribuzione ai
sensi dell’art. 134 Cost.
8.2. – Nel merito, l’ordinanza impugnata troverebbe un sicuro fondamento nell’art.
32, comma 3 l. n. 833 del 1978 e sarebbe pienamente informata ai principi di
adeguatezza e proporzionalità espressamente richiamati dall’art. 1, comma 2 d.l. n.
19 del 2020, i quali richiedono di modulare i provvedimenti volti al contrasto
dell’epidemia al rischio effettivamente presente su specifiche parti del territorio.
Al contrario, a tali principi non si conformerebbe il d.P.C.M. del 26 aprile 2020,
che sottopone a una disciplina unitaria tutto il territorio nazionale, senza tener conto
delle differenze fattuali.
Peraltro lo strumento normativo utilizzato dal Governo (un d.P.C.M.) sarebbe
palesemente inadeguato perché la Costituzione non prevede la delegabilità dei
poteri di decretazione d’urgenza di cui all’art. 77 Cost.
8.3. – Per altro verso, la regolamentazione dettata dal Presidente della Regione
Calabria non sarebbe in contrasto con il contenuto del d.P.C.M. del 26 aprile 2020,
essendo invece da interpretare quale disposizione di dettaglio della medesima, in
funzione delle specificità della situazione epidemiologica presente nel territorio
regionale ed in presenza di alcune “misure minime” da adottare a tutela della salute
pubblica e del rischio di contagio.
Il ricorso, dunque, non dovrebbe essere esaminato per difetto di interesse.
8.4. – Infine, l’ordinanza sarebbe supportata da un impianto motivazionale
sufficiente, nel quale si dà atto che l’analisi dei dati prodotta dal Dipartimento
Tutela della Salute e Politiche Sanitarie della Regione Calabria ha fatto rilevare,
alla data del 27 aprile 2020, un valore del Rapporto di replicazione (Rt) con daily
time lag a 5 giorni, pari a 0,63; in generale, valori inferiori ad 1 indicano che la
diffusione dell’infezione procede verso la regressione.

  1. – Gli interventori hanno arricchito il giudizio con le loro deduzioni.
    9.1. – Il Comune di Reggio Calabria, invero, ha inteso condividere in tutto i
  2. contenuti del ricorso presentato dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri.
  3. 9.2. – Il Comune di Amendolara ha aderito all’eccezione di difetto di giurisdizione
  4. di questo giudice amministrativo in favore della Corte costituzionale e ha affermato
  5. l’infondatezza dei motivi di ricorso.
  6. Ha aggiunto che il d.l. n.19 del 2020, al quale non sarebbe aderente l’ordinanza del
  7. Presidente della Regione, sarebbe in contrasto con gli artt. 77, 13, 14, 15, 16, 17 e
  8. 41, 117, co. 3 e 120, co. 2, Cost.
  9. Partendo dal presupposto che l’ordinamento costituzionale italiano non prevede lo
  10. “stato di emergenza”, la normativa in questione sarebbe in contrasto con gli artt.
  11. 77, 13, 14, 15, 16, 17 e 41 Cost. in quanto demanderebbe al Presidente del
  12. Consiglio dei Ministri il potere di limitare le libertà garantite dalla Costituzione.
  13. Peraltro, si tratterebbe di normativa non essenziale per affrontare l’attuale stato di
  14. emergenza, in quanto nell’ordinamento sono contemplate diverse ipotesi in cui è
  15. consentita l’emanazione di ordinanze contingibili e urgenti per affrontare situazioni
  16. urgenti.
  17. Sotto altro profilo, il d.l. n.19 del 2020 priverebbe le Regioni della potestà
  18. normativa concorrente in materia di salute, prevista dall’art. 117 Cost. e
  19. rappresenterebbe esercizio di potere sostitutivo da parte dello Stato non previsto
  20. dall’art. 120 Cost.
  21. 9.3. – Il Comune di Tropea ha aderito anch’esso all’eccezione pregiudiziale di
  22. difetto di giurisdizione.
  23. Ha poi eccepito l’illegittimità costituzionale del d.l. n. 19 del 2020, che
  24. rappresenterebbe un indebito esercizio di potere sostitutivo da parte dello Stato in
  25. violazione degli artt. 117, comma 5 e 120 Cost., e una violazione dei principi di
  26. sussidiarietà e leale cooperazione.
  27. Nel merito, l’ordinanza sarebbe giustificata dall’art. 32, comma 3 l. n. 833 del 1978
  28. e sarebbe coerente con i principi di adeguatezza e proporzionalità, violati invece
  29. dalla decisione del Governo di predisporre una disciplina unitaria per tutto il

N. 00457/2020 REG.RIC.
territorio nazionale.
L’ordinanza avrebbe alla base l’analisi dei dati epidemiologici regionali e, a ben
guardare, nemmeno si porrebbe in contrasto con il d.P.C.M. del 26 aprile 2020, di
cui è mera specificazione.
9.4. – CODACONS ha argomentato nel senso che la lite, qualificabile in termini di
conflitto di attribuzioni, sarebbe devoluta ai sensi dell’art. 134 Cost. alla
giurisdizione della Corte costituzionale, cui ha chiesto di trasmettere gli atti.
9.5. – Gli operatori della ristorazione, infine, si sono qualificati in termini di
controinteressati e, costituitisi ai sensi dell’art. 28, comma 1, hanno domandato il
differimento dell’udienza camerale con assegnazione di termini per poter esercitare
correttamente i proprio diritto di difesa.
Nel merito, hanno aderito alle tesi difensive della Regione Calabria.
9.6. – Va infine notato che la Regione Calabria, nella memoria depositata in data 9
maggio 2020, ha lamentato di non aver potuto prendere posizione sui numerosi
interventi che si sono succeduti e ha invitato il Tribunale a valutare se, rispetto a
tale vulnus al diritto di difesa, si rendesse necessario o anche solo opportuno, un
differimento della Camera di consiglio.
III – Le questioni pregiudiziali e preliminari
III.1. – La questione di giurisdizione

  1. – È opinione del Tribunale di essere dotato di giurisdizione sul ricorso proposto
    dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri.
    Tale conclusione si basa su tre, concatenate osservazioni.
    10.1. – È innegabile che il provvedimento emanato dal Presidente della Regione
    Calabria abbia natura di ordinanza contingibile e urgente in materia di igiene e
    sanità, nel quadro della disciplina dettata dall’art. 32 l. n. 833 del 1978.
    Si tratta, dunque, di esercizio di potere amministrativo, sul quale il sindacato
    giurisdizionale è naturalmente attribuito al giudice della funzione pubblica, cioè il
    giudice amministrativo.


10.2. – Il fatto che le ragioni di illegittimità dedotte da parte ricorrente siano
inerenti anche ai confini delle attribuzioni assegnate ai diversi poteri dello Stato
non è sufficiente ad attribuire alla controversia un tono costituzionale.
In proposito, si richiama la costante giurisprudenza della Corte costituzionale,
secondo la quale il tono costituzionale del conflitto sussiste quando il ricorrente
non lamenti una lesione qualsiasi, ma una lesione delle proprie attribuzioni
costituzionali (ex plurimis, Corte cost. 14 febbraio 2020; Id. 14 febbraio 2018, n.
28; Id. 15 maggio 2015, n. 87; Id. 28 marzo 2013, n. 52).
È stato, in particolare, chiarito (da Corte cost. 29 ottobre 2019, n. 224) che non
basta che nella materia in questione vengano in gioco competenze e attribuzioni
previste dalla Costituzione, perché la controversia assuma un tono costituzionale.
La natura costituzionale delle competenze, infatti, così come il potere discrezionale
che ne connota i relativi atti di esercizio, non esclude la sindacabilità nelle ordinarie
sedi giurisdizionali degli stessi atti, quando essi trovano un limite «nei principi di
natura giuridica posti dall’ordinamento, tanto a livello costituzionale quanto a
livello legislativo» (Corte cost. 5 aprile 2012, n. 81 del 2012).
Ebbene, il ricorso con il quale è stato innescato il sindacato giurisdizionale da parte
di questo Tribunale Amministrativo Regionale fa valere la dedotta violazione, da
parte del Presidente della Regione Calabria, dei limiti che dalla legge, e in
particolare dal d.l. 25 marzo 2020, n. 19, derivano all’esercizio delle competenze in
materia di igiene e sanità spettanti al Presidente della Regione Calabria.
In questa prospettiva, l’atto è giustiziabile d’innanzi al giudice della funzione
pubblica, giacché questo giudice non è chiamato a regolare il conflitto sulle
attribuzioni costituzionali tra gli Enti coinvolti nella controversia, ma solo a
valutare la legittimità, secondo i parametri legislativi indicati nei motivi di ricorso,
dell’atto impugnato.
10.3. – In ogni caso, se pure si opinasse che nel caso di specie fosse attivabile, da
parte della Presidenza del Consiglio dei Ministri, il conflitto di attribuzione
d’innanzi alla Corte costituzionale, ciò non esclude che sia legittimamente
esperibile anche la via del ricorso d’innanzi al giudice amministrativo.
Secondo il costante insegnamento delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione
(cfr. Cass. Civ., Sez. Un., 19 luglio 2013, n. 17656; in precedenza, Id. 20 maggio
1978, n. 2492; Id. 28 maggio 1977, n. 2184; Id. 13 dicembre 1973, n. 3379; Id. 10
novembre 1973, n. 2966), infatti, vi è diversità di struttura e finalità fra il giudizio
per conflitto di attribuzione tra Stato e Regione ed il sindacato giurisdizionale
davanti al giudice amministrativo: il primo è finalizzato a restaurare l’assetto
complessivo dei rispettivi ambiti di competenza degli Enti in conflitto; il secondo,
viceversa, si svolge sul piano oggettivo di verifica di legalità dell’azione
amministrativa, con l’esclusivo scopo della puntuale repressione dell’atto
illegittimo. Ciò comporta la possibilità della loro simultanea proposizione, sicché
deve escludersi che in tali ipotesi sussista difetto di giurisdizione del giudice
amministrativo.
Anche il Consiglio di Stato (cfr. Cons. Stato, sez. VI, 27 dicembre 2011, n. 6834),
dal canto suo, ha affermato che il soggetto legittimato ad impugnare l’atto
autoritativo dinanzi al giudice amministrativo può valutare se sussistono i
presupposti per sollevare un conflitto di attribuzione, ovvero se avvalersi del
rimedio di carattere generale della giurisdizione generale di legittimità. Tale
conclusione risulta corroborata dalla considerazione per cui, mentre la Corte
costituzionale può decidere le censure attinenti al riparto delle attribuzioni, il
giudice amministrativo, ai sensi dell’art. 113 Cost., può decidere su ogni profilo di
illegittimità dell’atto, anche su dedotti aspetti di eccesso di potere, sicché, anche per
esigenze di concentrazione, l’Ente in conflitto ben può scegliere se, anziché
proporre due giudizi e devolvere alla Corte costituzionale l’esame dei profili
sul difetto di attribuzione, sia il caso di proporre un solo ricorso al giudice
amministrativo, deducendo tutti i possibili motivi di illegittimità dell’atto.
III. – Le condizioni dell’azione Benché la Regione Calabria non abbia contestato la legittimazione della Presidenza del Consiglio dei Ministri a ricorrere nel caso di specie al giudice amministrativo, la verifica delle sussistenza di tale condizione dell’azione deve essere operata d’ufficio.

11.1. – Il Tribunale ritiene, dunque, di dover esplicitare che sussiste la

legittimazione della Presidenza del Consiglio dei Ministri a impugnare

un’ordinanza ex art. 32, comma 3 l. n. 833 del 1978 del Presidente di una Regione

in virtù delle funzioni ad essa attribuite con riferimento al rapporto tra il Governo e

le Autonomie di cui la Repubblica si compone.

11.2. – Limitando l’esame ai rapporti tra Stato, Regioni e Province autonome, e

senza alcuna pretesa di esaustività, si rileva che spetta al Presidente del Consiglio

dei Ministri il compito di promuovere e coordinare “l’azione del Governo per

quanto attiene ai rapporti con le regioni e le province autonome di Trento e di

Bolzano” (art. 5, comma 3, lett. b) l. 23 agosto 1988, n. 400), nonché di

promuovere lo sviluppo della collaborazione tra Stato, Regioni e Autonomie locali

(art. 4 d.lgs. 30 luglio 1999, n. 303).

Per svolgere tali funzioni, il Presidente si avvale della Presidenza del Consiglio dei

Ministri (art. 2, comma 2, lett. d) d.lgs. n. 303 del 1999), presso la quale è istituito

un Dipartimento per gli Affari regionali (art. 4, comma 2 d.lgs. n. 303 del 1999).

Presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri è costituita la Conferenza

permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le Province autonome, che dal

Presidente del Consiglio è presieduta e che deve essere consultata sui criteri

generali relativi all’esercizio delle funzioni statali di indirizzo e di coordinamento

inerenti ai rapporti tra lo Stato, le Regioni, le Province autonome e gli enti

infraregionali (art. 12 l. n. 400 del 1988).

Spetta, infine, al Presidente del Consiglio dei Ministri “promuove le iniziative

necessarie per l’ordinato svolgimento dei rapporti tra Stato, regioni e autonomie

locali ed assicura l’esercizio coerente e coordinato dei poteri e dei rimedi previsti

per i casi di inerzia e di inadempienza” (art. 4, comma 1 d.lgs. n. 303 del 1999).


11.3. – In sintesi, la Presidenza del Consiglio dei Ministri costituisce il fulcro del
necessario coordinamento dell’attività amministrativa posta in essere dallo Stato e
dalle Autonomie di cui la Repubblica si compone.
In altri termini, in capo ad essa si sintetizzano i vari interessi alla cura dei quali le
amministrazioni pubbliche, statali, regionali e locali, sono preposte.
Alla Presidenza del Consiglio dei Ministri è attribuito il compito di assicurare
l’esercizio coerente e coordinato dei poteri amministrativi; cosicché è logica
conseguenza ritenere che ad essa sia assegnato dall’ordinamento anche il potere di
agire giudizialmente, in alternativa all’esercizio delle funzioni di controllo e sostitutive previsti dalla Costituzione, laddove l’esercizio dei poteri amministrativi
avvenga in maniera disarmonica o addirittura antitetica. Sussiste anche l’altra condizione dell’azione, invero messa in dubbio dalla
difesa della Regione Calabria, e cioè l’interesse ad agire.
In effetti, allo stato risultano in vigore sia l’ordinanza del Presidente della Regione
Calabria oggetto di impugnativa, sia il d.P.C.M. del 26 aprile 2020.
Benché sia stato negato in giudizio che il provvedimento regionale sia in contrasto
con il d.P.C.M., di cui costituirebbe invece mera specificazione, osserva il
Tribunale che il provvedimento impugnato ammette una nuova e diversa eccezione
alla sospensione delle attività dei servizi di ristorazione. Dunque, l’ordinanza
impugnata ha un contenuto parzialmente difforme dal d.P.C.M., rispetto al quale si
pone in posizione di antinomia.
Sicché, essendo effettivo ed attuale il contrasto tra i due provvedimenti, sussiste
l’interesse all’odierna decisione.
III.3. – Sui controinteressati, gli interventori e la loro posizione processuale – La Presidenza del Consiglio dei Ministri ha, in via prudenziale, notificato il
ricorso a un potenziale controinteressato, identificato in un imprenditore titolare di
un esercizio di ristorazione, il quale non si è costituito in giudizio.
13.1. – Tuttavia, è evidente che il provvedimento impugnato ha natura generale, sicché non sono individuabili contro interessati.
Infatti, la figura del contro interessato in senso formale, peculiare del processo
amministrativo, ricorre soltanto nel caso in cui l’atto sul quale è richiesto il
controllo giurisdizionale di legittimità si riferisca direttamente ed immediatamente
a soggetti, singolarmente individuabili, i quali per effetto di detto atto abbiano già
acquistato una posizione giuridica di vantaggio; per definizione, tale figura non è
ravvisabile nei riguardi dell’atto generale, atteso che esso non riguarda specifici
destinatari, che sia a priori che a posteriori non sono individuabili (cfr., per tutte,
Cons. Stato, Sez. VI, 15 dicembre 2014, n. 6153).
Poiché, dunque, nel caso di specie il terzo destinatario della notifica è
sostanzialmente estraneo alla presente controversia, la sua mancata costituzione non
impedisce la definizione del giudizio.
13.2. – Le medesime considerazioni valgono con riferimento all’intervento degli
operatori del settore della ristorazione.
A fronte di un atto amministrativo generale, essi non rivestono ruolo di
contro interessati, e il loro intervento, da riqualificare in termini di intervento
adesivo ai sensi dell’art. 28, comma 2 c.p.a., non comporta alcuna specifica
necessità di salvaguardia dei diritti della difesa, giacché, come infra sarà ricordato,
essi debbono accettare lo stato e il grado in cui si trova il giudizio. Occorre dunque occuparsi degli interventi adesivi spiegati, onde verificarne
l’ammissibilità.
14.1. – L’art. 28, comma 2 c.p.a. stabilisce che chiunque non sia parte del giudizio e
non sia decaduto dall’esercizio delle relative azioni, ma vi abbia interesse, può
intervenire accettando lo stato e il grado in cui il giudizio si trova.
In via generale, si deve osservare che tale norma recepisce una consolidata
tradizione pretoria, per cui l’intervento in giudizio va riconosciuto ammissibile
anche in presenza di un interesse di mero fatto, dipendente o riflesso rispetto a
quello delle parti.
Gli intervenienti, tuttavia, sono tenuti a chiarire nell’atto di intervento e a

dimostrare quale sia l’interesse che intendono tutelare (cfr. CGA 3 gennaio 2017, n.

14.2. – Quanto all’intervento ad adiuvandum, è ammesso dalla giurisprudenza più

recente anche da parte del cointeressato, purché non sia decaduto dall’esercizio

delle relative azioni e vi abbia interesse, senza tuttavia potere ampliare il thema

decidendum; l’intervento del cointeressato è, quindi, ammesso nei limiti della

domanda già proposta, in conformità allo strumento azionato, il quale comporta per

l’interveniente di accettare, ex art. 28 comma 2, c.p.a . lo stato e il grado in cui il

giudizio si trova (Cons. Stato, Sez. V, 30 ottobre 2017, n. 4973; cfr. anche TAR

Campania – Napoli, Sez. III, 14 gennaio 2019 , n. 201).

14.3. – Alla stregua di tali criteri, si deve ritenere ammissibile l’intervento degli

Enti locali e degli operatori del settore della ristorazione.

Quanto al Comune di Reggio Calabria, intervenuto ad adiuvandum, esso ha

espressamente dedotto che l’ordinanza di cui si discorre incide in maniera grave sul

diritto alla salute dei cittadini di cui è Ente esponenziale e che l’auspicato

accoglimento del ricorso comporterà un indiretto ma rilevante vantaggio nei

confronti del Comune di Reggio Calabria. Tanto più che il Sindaco del Comune ha

adottato in data 30 aprile 2020 l’ordinanza contingibile e urgente n. 44 con cui ha

disposto l’applicazione, sul territorio comunale, esclusivamente delle misure

adottate dal Governo.

Anche il Comune di Tropea, intervenuto ad opponendum, ha illustrato gli interessi

che hanno animato la sua iniziativa processuale, sebbene questi si pongano in una

prospettiva ribaltata rispetto al Comune di Reggio Calabria. Infatti, il territorio su

cui è costituito l’Ente ha forte vocazione turistica, sicché la chiusura forzata degli

operatori della ristorazione per attenuare i contagi da COVID-19 ha avuto effetti

devastanti sull’intero comparto economico, essendo state azzerate le presenze

turistiche per i mesi di aprile e maggio. La conservazione del provvedimento

impugnato rappresenta, in questo contesto, un vantaggio per la comunità di cui il Comune di Tropea è ente esponenziale, consentendo di riavviare le attività

imprenditoriali.

Le medesime considerazioni valgono per il Comune di Amendolara.

L’interesse fattuale degli operatori della ristorazione alla conservazione

dell’ordinanza regionale impugnata è, dal canto suo, evidentemente individuabile

nella possibilità di riprendere le attività imprenditoriali.

14.4. – Al contrario, è inammissibile l’intervento del CODACONS –

Coordinamento delle associazioni e dei comitati di tutela dell’ambiente e dei diritti

degli utenti e dei consumatori.

In effetti, esso ha depositato in giudizio il proprio Statuto, da cui si evince che

persegue il fine di «tutelare con ogni mezzo legittimo, ivi compreso il ricorso allo

strumento giudiziario, i diritti e gli interessi dei consumatori ed utenti […] tale

tutela si realizza nei confronti dei soggetti pubblici e privati, produttori e/o

erogatori di beni e servizi, anche al fine di contribuire ad eliminare le distorsioni

del mercato determinate dalla commissione di abusi e di altre fattispecie di reati

contro la P.A.».

Ma non ha specificato quale interesse, sussistente in modo omogeneo in capo agli

associati, l’intervento è inteso a tutelare.

  1. – Va infine esaminata la sollecitazione della difesa della Regione Calabria
    affinché il Tribunale differisca l’udienza camerale allo scopo di consentirle di
    prendere posizione sugli atti di intervento.
    Ebbene, poiché gli interventi spiegati, siano essi ad adiuvandum o ad opponendum,
    non hanno condotto a un ampliamento dell’oggetto del giudizio, in nessuno dei suoi
    aspetti, in quanto un simile ampliamento è vietato dall’ordinamento processuale,
    non sussiste alcuna lesione del diritto di difesa dell’amministrazione regionale, che
    ha avuto modo di argomentare su ciascuno dei motivi di ricorso proposti dalla
    Presidenza del Consigli dei Ministri.
    IV – Esame dei motivi di ricorso

  1. – Si può finalmente passare all’esame dei motivi di ricorso.
    Nondimeno, il forte interesse che nell’opinione pubblica ha suscitato l’odierno
    giudizio giustifica alcune sintetiche considerazioni di carattere generale.
    Non è compito del giudice amministrativo sostituirsi alle amministrazioni e,
    dunque, stabilire quale contenuto debbano avere, all’esito del bilanciamento tra i
    molteplici interessi pubblici o privati in gioco, i provvedimenti amministrativi.
    Tale principio, valido in via generale, è da affermare ancora con più forza quando,
    come nel caso di specie, il provvedimento amministrativo oggetto di sindacato sia
    stato adottato dal vertice politico-amministrativo, dotato di legittimazione
    democratica in quanto eletto a suffragio universale, di una delle Autonomie da cui
    la Repubblica è formata; e ad impugnarlo sia l’organo di vertice del potere
    esecutivo, anch’esso dotato di legittimazione democratica in quanto sostenuto dalla
    fiducia delle Camere.
    In questa prospettiva, l’operato dell’Autorità giurisdizionale, in questo caso del
    giudice amministrativo quale giudice naturale della funzione pubblica, è meramente
    tecnica, e finalizzata a verificare la conformità del provvedimento oggetto di
    attenzione al modello legale. – Si è già accennato al § 7.1. al contenuto del d.l. n. 19 del 2020.
    L’art. 1 prevede, per quel che in questa sede rileva, che, allo scopo di contenere e
    contrastare i rischi sanitari derivanti dalla diffusione del virus COVID-19, su
    specifiche parti del territorio nazionale ovvero, occorrendo, sulla totalità di esso,
    possono essere adottate una o più misure che, secondo principi di adeguatezza e
    proporzionalità al rischio effettivamente presente su specifiche parti del territorio
    nazionale ovvero sulla totalità di esso, possono prevedere, tra l’altro, la limitazione
    o sospensione delle attività di somministrazione al pubblico di bevande e alimenti,
    nonché di consumo sul posto di alimenti e bevande, compresi bar e ristoranti.
    Il successivo art. 2, comma 1, attribuisce al Presidente del Consiglio dei Ministri il
    potere di emanare, con d.P.C.M., tali misure.
    L’art. 3, comma 1 consente alle Regioni di adottare misure di efficacia locale «nell’ambito delle attività di loro competenza e senza incisione delle attività produttive e di quelle di rilevanza strategica per l’economia nazionale». Ma ciò è possibile solo a condizione che si tratti di interventi destinati a operare nelle more dell’adozione di un nuovo d.P.C.M.; che si tratti di interventi giustificati da «situazioni sopravvenute di aggravamento del rischio sanitario» proprie della Regione interessata; che si tratti di misure «ulteriormente restrittive» delle attività sociali e produttive esercitabili nella Regione. Il comma 3 dell’art 3, infine, precisa che «le disposizioni di cui al presente articolo si applicano altresì agli atti posti in essere per ragioni di sanità in forza di poteri attribuiti da ogni disposizione di legge previgente». Il Tribunale ritiene che non ci siano gli estremi per sospendere il giudizio e
    sollevare d’innanzi alla Corte costituzionale questione di legittimità del decreto
    legge il cui contenuto è stato illustrato.
    18.1. – Innanzitutto, va ricordato che l’odierna controversia riguarda
    esclusivamente la possibilità di svolgere, dal 4 maggio 2020 al 17 maggio 2020,
    l’attività di ristorazione con servizio al tavolo.
    In proposito, si osserva che l’art. 41 Cost., nel riconoscere libertà di iniziativa
    economica, prevede che essa non possa svolgersi in modo da recare danno alla
    sicurezza, alla libertà, alla dignità umana.
    Come noto, non è prevista una riserva di legge in ordine alle prescrizioni da
    imporre all’imprenditore allo scopo di assicurare che l’iniziativa economica non sia
    di pregiudizio per la salute pubblica, sicché tali prescrizioni possono essere imposte
    anche con un atto di natura amministrativa.
    Non si coglie dunque un contrasto, in particolare nell’attuale situazione di
    emergenza sanitaria, tra la citata norma costituzionale e una disposizione legislativa
    che demandi al Presidente del Consiglio dei Ministri di disporre, con
    provvedimento amministrativo, limitazione o sospensione delle attività di
    somministrazione al pubblico di bevande e alimenti, nonché di consumo sul posto di alimenti e bevande, compresi bar e ristoranti, allo scopo di affrontare l’emergenza sanitaria dovuta alla diffusione del virus COVID-19. Tanto più che, come rivela l’esame dell’art. 1 del d.l. n. 19 del 2020, il contenuto del provvedimento risulta predeterminato («limitazione o sospensione delle attività di somministrazione al pubblico di bevande e alimenti, nonché di consumo sul posto di alimenti e bevande (…)»), mentre alla discrezionalità dell’Autorità amministrativa è demandato di individuare l’ampiezza della limitazione in ragione dell’esame epidemiologico. 18.2. – Non vi può essere dubbio che lo Stato rinvenga la competenza legislativa all’adozione del decreto de quo innanzitutto nell’art. 117, comma 2, lett. q) Cost., che gli attribuisce competenza esclusiva in materia di «profilassi internazionale». Ma la competenza legislativa si rinviene anche nel terzo comma del medesimo art. 117 Cost., che attribuisce allo Stato competenza concorrente in materia di «tutela della salute» e «protezione civile». 18.3. – A tale ultimo proposito, occorrono alcune ulteriori osservazioni, che traggono le mosse dal duplice rilievo critico secondo cui l’impianto normativo delineato dal d.l. n. 19 del 2020 comporterebbe un’inammissibile delega al Presidente del Consiglio dei Ministri del potere di restringere le libertà costituzionali dei cittadini e comporterebbe un’alterazione alla ripartizione dei compiti amministrativi delineata dall’art. 118 Cost. Limitando, per evidenti ragioni, il campo dell’analisi alla sola possibilità di limitare o sospendere le attività di somministrazione al pubblico di cibi e bevande, il Tribunale ritiene di dover innanzitutto ribadire quanto già anticipato al § 18.1., e cioè che è la legge a predeterminare il contenuto della restrizione alla libertà di iniziativa economica, demandando ad un atto amministrativo la commisurazione dell’estensione di tale limitazione. Ciò posto, il fatto che la legge abbia attribuito al Presidente del Consiglio dei Ministri il potere di individuare in concreto le misure necessarie ad affrontare un’emergenza sanitaria trova giustificazione nell’art. 118, comma 1 Cost.: il principio di sussidiarietà impone che, trattandosi di emergenza a carattere internazionale, l’individuazione delle misure precauzionali sia operata al livello amministrativo unitario. 18.4. – Ma, una volta accertato che l’individuazione nel Presidente del Consiglio dei Ministri dell’Autorità che deve individuare le specifiche misure necessarie per affrontare l’emergenza è conforme al principio di sussidiarietà di cui all’art. 118 Cost., deve altresì essere affermato che ciò giustifica l’attrazione in capo allo Stato della competenza legislativa, pur in materie concorrenti quali la «tutela della salute» e la «protezione civile». È noto, infatti, che la Corte costituzionale ha ritenuto (sin dalla sentenza dell’1 ottobre 2003, n. 303, con cui ha per la prima volta teorizzato la c.d. chiamata in sussidiarietà) che l’avocazione della funzione amministrativa si deve accompagnare all’attrazione della competenza legislativa necessaria alla sua disciplina, onde rispettare il principio di legalità dell’azione amministrativa, purché all’intervento legislativo per esigenze unitarie si accompagnino forme di leale collaborazione tra Stato e Regioni nel momento dell’esercizio della funzione amministrativa (cfr., sul punto, Corte cost. 22 luglio 2010, n. 278). Nel caso di specie, conformemente al principio enucleato dalla Corte costituzionale, l’art. 2 d.l. n. 19 del 2020 prevede espressamente che il Presidente del Consiglio dei Ministri adotti i decreti sentiti – anche – i Presidenti delle Regioni interessate, nel caso in cui riguardino esclusivamente una regione o alcune specifiche regioni, ovvero il Presidente della Conferenza delle Regioni e delle Province autonome, nel caso in cui riguardino l’intero territorio nazionale. 18.5. – Quanto illustrato ai §§ che precedono esclude che si possa affermare che nel caso di specie siano stati attribuiti all’amministrazione centrale dello Stato poteri sostituitivi non previsti dalla Costituzione. L’art. 120, comma 2 Cost., invero, prevede che «il Governo può sostituirsi a organi delle Regioni, delle Città metropolitane, delle Province e dei Comuni nel caso di

N. 00457/2020 REG.RIC.
mancato rispetto di norme e trattati internazionali o della normativa comunitaria
oppure di pericolo grave per l’incolumità e la sicurezza pubblica, ovvero quando lo
richiedono la tutela dell’unità giuridica o dell’unità economica e in particolare la
tutela dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali,
prescindendo dai confini territoriali dei governi locali».
In tali casi deve essere seguita la procedura prevista dall’art. 8 l. 5 giugno 2003, n. 131.
Ma, come supra specificato, nel caso di specie non vi è stato un intervento
sostitutivo dello Stato, bensì avocazione delle funzioni amministrative in ragione del principio di sussidiarietà, accompagnata dalla chiamata in sussidiarietà della funzione legislativa. – Va conclusivamente affermato che le questioni di legittimità costituzionale
del d.l. n. 19 del 2020 sollevate appaiono manifestamente infondate, onde non occorre rimetterle alla Corte costituzionale. Il d.P.C.M. 26 aprile 2020, dal canto suo, non è un atto a carattere normativo,
bensì un atto amministrativo generale.
Esso non può essere oggetto di disapplicazione da parte del giudice amministrativo, essendo piuttosto onere del soggetto interessato promuovere tempestivamente
l’azione di annullamento.

– Giunti a questo punto, emerge chiaramente l’illegittimità dell’ordinanza del Presidente della Regione Calabria denunciata con il primo motivo di ricorso. Spetta infatti al Presidente del Consiglio dei Ministri individuare le misure necessarie a contrastare la diffusione del virus COVID-19, mentre alle Regioni è dato intervenire solo nei limiti delineati dall’art. 3, comma 1 d.l. n. 19 del 2020, che però nel caso di specie è indiscusso che non risultino integrati. Né l’ordinanza di cui si discute potrebbe trovare un fondamento nell’art. 32 l. n. 833 del 1978.
Infatti, come correttamente messo in evidenza dall’Avvocatura dello Stato, i limiti al potere di ordinanza del Presidente della Regione delineati dall’art. 3, comma 1


d.l. n. 19 del 2020 valgono, ai sensi del successivo terzo comma, per tutti gli «atti
posti in essere per ragioni di sanità in forza di poteri attribuiti da ogni disposizione
di legge previgente». È fondato, nei limiti di seguito specificati, anche il secondo motivo di ricorso.
Invero, l’ordinanza regionale motiva la nuova deroga alla sospensione dell’attività
di ristorazione, mediante l’autorizzazione al servizio al tavolo, con il mero
riferimento del rilevato valore di replicazione del virus COVID-19, che sarebbe
stato misurato in un livello tale da indicare una regressione dell’epidemia.
È però ormai fatto notorio che il rischio epidemiologico non dipende soltanto dal
valore attuale di replicazione del virus in un territorio circoscritto quale quello della
Regione Calabria, ma anche da altri elementi, quali l’efficienza e capacità di risposta del sistema sanitario regionale, nonché l’incidenza che sulla diffusione del virus producono le misure di contenimento via via adottate o revocate (si pensi, in proposito, alla diminuzione delle limitazioni alla circolazione extraregionale).
Non a caso, le restrizioni dovute alla necessità di contenere l’epidemia sono state adottate, e vengono in questa seconda fase rimosse, gradualmente, in modo che si possa misurare, di volta in volta, la curvatura assunta dall’epidemia in conseguenza delle variazioni nella misura delle interazioni sociali. Un tale modus operandi appare senza dubbio coerente con il principio di precauzione, che deve guidare l’operato dei poteri pubblici in un contesto di emergenza sanitaria quale quello in atto, dovuta alla circolazione di un virus, sul cui
comportamento non esistono certezze nella stessa comunità scientifica.
Si badi, che detto principio, per cui ogni qual volta non siano conosciuti con
certezza i rischi indotti da un’attività potenzialmente pericolosa, l’azione dei
pubblici poteri debba tradursi in una prevenzione anticipata rispetto al
consolidamento delle conoscenze scientifiche (cfr. Cons. Stato, Sez. III, 3 ottobre
2019, n. 6655), deve necessariamente presidiare un ambito così delicato per la salute di ogni cittadino come è quello della prevenzione (Corte cost. 18 gennaio


È chiaro che, in un simile contesto, ogni iniziativa volta a modificare le misure di
contrasto all’epidemia non possono che essere frutto di un’istruttoria articolata, che
nel caso di specie non sussiste. Va infine rilevata la fondatezza anche dell’ultimo motivo di ricorso.
Sul punto, occorre ricordare come la violazione del principio di leale
collaborazione costituisca elemento sintomatico del vizio dell’eccesso di potere (cfr. Cons. Stato, Ad. Plen. 14 dicembre 2001, n. 9).
Nel caso di specie, non risulta che l’emanazione dell’ordinanza oggetto di
impugnativa sia stata preceduta da qualsivoglia forma di intesa, consultazione o
anche solo informazione nei confronti del Governo.
Anzi, il contrasto nei contenuti tra l’ordinanza regionale e il d.P.C.M. 26 aprile
2020 denota un evidente difetto di coordinamento tra i due diversi livelli
amministrativi, e dunque la violazione da parte della Regione Calabria del dovere di leale collaborazione tra i vari soggetti che compongono la Repubblica, principio
fondamentale nell’assetto di competenze del titolo V della Costituzione.

– In conclusione, per tutte le ragioni esposte l’ordinanza, nella parte oggetto di impugnativa, deve essere annullata.
La novità, la complessità, la delicatezza della tematiche trattate giustifica l’integrale compensazione tra le parti delle spese e competenze di lite.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Calabria (Sezione Prima),
definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto:
a) dichiara inammissibile l’intervento di CODACONS – Coordinamento delle
associazioni e dei comitati di tutela dell’ambiente e dei diritti degli utenti e dei
consumatori;
b) accoglie il ricorso e, per gli effetti, annulla l’ordinanza del Presidente della
Regione Calabria del 29 aprile 2020, n. 37, nella parte in cui, al suo punto 6,

dispone che, a partire dalla data di adozione dell’ordinanza medesima, sul territorio della Regione Calabria, è «consentita la ripresa delle attività di Bar, Pasticcerie,
Ristoranti, Pizzerie, Agriturismo con somministrazione esclusiva attraverso il servizio con tavoli all’aperto»;
c) compensa tra le parti le spese e le competenze di lite.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Catanzaro nella camera di consiglio del giorno 9 maggio 2020 con
l’intervento dei magistrati:
Giancarlo Pennetti, Presidente
Francesco Tallaro, Primo Referendario, Estensore
Francesca Goggiamani, Referendario

L’ESTENSORE IL PRESIDENTE
Francesco Tallaro Giancarlo Pennetti

Un commento

  1. Ernesto Fiorillo 9 Maggio 2020 18:48

    Considerate che normalmente i giudici simpatizzano per la sinistra
    Quindi leggendo la sentenza ci si rende conto che la stessa si basa sui poteri conferiti al presidente del consiglio
    Poteri straordinari………che sono diventati ordinari!
    Quando saremo liberati dal giogo del Professor Conte?

    Secondo me. La sentenza va impugnata ed offro gratuitamente la attività del mio studio

    Chi ha un po’ di pratica di diritto legga la motivazione e si faccia una idea

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